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mercoledì, febbraio 16, 2022

A bocca aperta

 Capita spesso che io chieda di aprire molto la bocca, specificando che non deve essere una apertura indotta da una pressione o tensione muscolare sulla mandibola, ma un rilassamento. La mandibola è un osso pesante, dunque basta un atteggiamento rilasciato per far sì che la bocca si apra e l'osso si abbassi naturalmente, senza comportare smorfie e varie tensioni sulla muscolatura facciale. Una buona indicazione è "meravigliati"! Pensa di spalancare una finestra e assistere a un magnifico tramonto, un'atmosfera quieta e accogliente... e ti stupisce fin nell'anima. Usa quell'espressione.

Qual è la ragione di tale sollecitazione? 

Come è noto, quando l'aria non è del tutto libera di uscire, come avviene quando le c.v. sono addotte, si crea una certa pressione per vincere la loro resistenza per mezzo di una risalita dell'aria sospinta principalmente dal diaframma, che genera ciò che viene detto: pressione sottoglottica. Questa pressione tende ad aumentare in base alle condizioni vocali intraprese e la pressione non si esercita più solo nella zona sottoglottica, ma coinvolge la mandibola e spesso anche la lingua, che perde la sua autonomia e rilassatezza, ma tende ad alzarsi o indietreggiare o ad assumere forme innaturali. Il nostro intento deve essere quello di far sì che si eviti ogni compressione del fiato verso laringe, mandibola, ecc. ma arrivi libera fino al palato alveolare e all'osso mandibolare, dietro ai denti superiori anteriori. L'intento è quello di creare un'unica colonna aerea tra il diaframma e questo polo superiore, permettendo così alla laringe di "fluttuare" liberamente, assumendo così ogni posizione idonea a quanto si vuole emettere. La laringe infatti non deve mai essere fissata in un punto, perché ogni colore e ogni altezza sonora necessitano di posizioni specifiche, che non possiamo immaginare e conoscere razionalmente, ma si determinano spontaneamente (cioè le stabilisce la nostra mente involontaria). La condizione su descritta, del doppio polo diaframma-osso mandibolare, permette quella libertà e quella rilassatezza dei tessuti muscolari oro-faringei per cui il fiato, con la sua pressione fonica, è in grado di far assumere alla gola quella forma e quell'ampiezza anch'essa specifica e relativa ai vari suoni vocali che si emettono. E' il famoso "aprire la gola", che non manca mai in ogni scuola di canto, ma che è assurdo richiedere agli allievi di fare volontariamente, per almeno due motivi: immaginando di aprire la gola si determinerà quel punto come attacco del suono, e proseguendo a voler tenere la gola aperta si otterrà semplicemente canto ingolato; dilatando volontariamente la gola si irrigidiranno le pareti stesse del faringe, impedendo quella vibrazione per simpatia che genererà ricchezza e bellezza timbrica. C'è anche un terzo motivo, e cioè che questa dilatazione è in parte illusoria, perché se non c'è una condizione motrice interna, la dilatazione sarà solo parziale, compensata da una chiusura sottostante. La capacità volontaria di agire su questi muscoli è infatti solo parziale, e non consente di avere un controllo pieno su tutta questa zona; peraltro sempre con i difetti che ho appena esposto. 

Cosa può intralciare il cammino dello scorrimento di aria-suono in questo lungo tubo? L'idea di pronunciare le vocali. Se la pronuncia viene pensata come un atto interno, è un disastro, perché la colonna d'aria viene spezzata nel punto in cui si immagina di pronunciare, che comunque è sempre la gola. Pertanto è evidente che la pronuncia deve essere esterna, cioè sulla punta di quel fiato. Inizialmente può essere utile emettere un sospiro (il sospiro non è l'H, che è un'emissione di aria dalle c.v., bensì un alito anteriore) con l'ampiezza di una "A", ma senza cercarne subito la timbratura, perché si ricadrà facilmente in gola. La vocale piano piano si genererà davanti a noi come se l'aria si addensasse, si comprimesse fino a creare in modo completo e perfetto quella vocale. Sembrerà una cosa irreale e strana, ma in realtà non abbiamo fatto altro che ricreare, in una condizione molto più elevata, la stessa nostra emissione parlata spontanea. Quindi si sarà creata una unità tra fiato-strumento e articolazione-amplificazione che non potrà che dare risultati esponenzialmente superiori a qualsivoglia emissione meccanica, cioè legata a movimenti muscolari e a pensieri posizionali, tipo "maschera". Puntualizzo ancora che questa, che può essere una necessità nel corso dello studio, specie primario, sparirà del tutto con il tempo; la bocca si aprirà in modo del tutto naturale in base a ciò che si dirà.

Attenzione: non è un suono nasale, però può dare quell'impressione per via della vibrazione del palato alveolare che confina con la cavità nasale.


sabato, febbraio 12, 2022

Non suoni... ma parole ben dette

 Il suono è la vibrazione regolare di corpi elastici o di aria racchiusa in tubi. Nel corpo umano abbiamo entrambe le situazioni, anche se la fonte principale è la vibrazione delle cosiddette corde vocali.

Quindi abbiamo suoni, come avviene in tutti gli strumenti musicali. Mediante i suoni, è possibile arrivare, con estrema difficoltà, a far musica, il che significa trascendere l'aspetto fisico del suono per accedere al mondo che potremmo definire metafisico, cioè che va oltre il puro aspetto vibrazionale, in quanto la musica si realizza mediante gli intervalli, che non possiamo definire, sono cambiamenti di frequenza che agiscono sulla coscienza umana e producono movimenti che chiamiamo sentimenti, emozioni, affetti, ... bellezza e verità. Ma l'uomo ha un'ulteriore risorsa: la parola. 

Non solo la parola è un mezzo straordinario di conquista della conoscenza superiore, ma è anche mezzo educativo per la voce stessa, in quanto la parola è portatrice di verità, dunque non può non poter raggiungere essa stessa il livello più elevato possibile. Certo, come è facile comprendere, non è che basta parlare e si arriva ovunque! La parola usata quotidianamente è abusata, logora, bolsa, sciatta, strascicata, volgarizzata e quant'altro. E' chiaro che non è adatta a raggiungere un orizzonte così lontano come quello che proponiamo. La disciplina da attuare per raggiungere una vera arte del canto si sviluppa su almeno tre stadi: 1) elevare la parola, mediante esercizi che migliorino gradatamente la dizione, 2) evoluzione respiratoria alimentante, come ricaduta della fase precedente; 3) naturalizzazione del parlato come raggiungimento estremo della fase precedente. Nella prima fase il dover parlare correttamente necessita di un'articolazione molto evidente, che prevede anche movimenti piuttosto ampi e persino, talvolta, estremi, delle forme orali. Men mano che si realizza la seconda fase, questa esasperazione andrà man mano scemando, e, al contrario, si dovrà proprio lavorare per far sì che si canti con la stessa naturalezza con cui si parla abitualmente. L'applicare la melodia alla parola, che definiamo canto, è l'ostacolo più importante che si frappone tra il parlare naturale e il cantare artistico. La mente non lo concepisce e non ce lo lascia fare se non entro determinati, soggettivi, limiti. L'istinto si oppone e ci crea problemi fisici e psicologici, anche molto importanti, per cui anche persone molto costanti, caparbie e desiderose di conquistare l'arte vocale, si trovano di fronte a ostacoli che reputano incomprensibili e quasi insormontabili. La semplicità, la facilità, l'assottigliare, l'alleggerire, il lasciar fluire, il liberare, il rilassare, il lasciar andare, il non fare niente, sono tutte condizioni che risultano al limite dell'impossibile, incomprensibili e inconoscibili fin quando non li si sarà provati, e non solo una volta, perché la possibilità di non afferrare e quindi di tornare indietro, sarà sempre presente, fino a quel limite soggettivo che è insuperabile. Si tratta di afferrare l'inafferrabile, di entrare in una condizione irreale e soprattutto immateriale, cioè che trascende il fisico, che possiamo solo afferrare quando entriamo nella dimensione spirituale, come fosse una meditazione che raggiunge il suo apice, una sorta di "trance". Non so se mi spiego, ma si tratta di far nascere un nuovo senso, il senso fonico, una condizione umana possibile, ma al limite delle sue potenzialità. 

Giustamente si può chiedere: ma ha un senso? è necessario? Per arrivare a cantare, seppur bene, bisogna fare un calvario simile? Posso tranquillamente rispondere di no, giacché milioni di cantanti di tutti i tempi, pur portati in palmo di mano, non si sono nemmeno avvicinati a quella condizione, così come è avvenuto per milioni di musicisti, che si sono illusi e hanno illuso di far musica, ma hanno solo agito sui suoni. Ma esiste un'arte, è una necessità di alcune anime che non possono fare a meno di impegnarsi anche fino alla follia per perseguire l'obiettivo della perfezione, della verità. Allora questi proiettano il maestro che potranno incontrare e che li porterà su quella strada. Sarà il raggiungimento di un traguardo sublime, che non necessariamente sarà accolto benevolmente nell'ambiente, non sarà riconosciuto da molti, non è detto che darà lavoro, onori e allori, se non alla coscienza di chi la conquista. Quindi ognuno sia avvertito che la strada della vera arte non è quello dell'avere e dell'apparire. 

Il suono è sempre presente quando si canta, ma il compito dell'artista cantante è quello di "staccare", la parola perfetta, perfettamente intonata e calibrata al contesto psico-drammatico in cui si trova e che ha mosso determinati stimoli musicali da parte del compositore, che ha ritenuto di sostenerla mediante un determinato impianto melodico e armonico (nonché strumentale) e che il cantante ha il dovere di seguire e rispettare con grande umiltà, dalla matrice sonora, che resta interiormente agli spazi oro-faringei, e di cui ci dobbiamo totalmente disinteressare, in quanto non utile all'obiettivo che ci poniamo. Anche quando si canta strumentalmente, cioè si vocalizza (e il termine non è casuale), siano essi esercizi o parte del canto, non lo si fa solo con il misero suono, ma sempre con una vocale perfettamente pronunciata. Questo perché è la vocale che ci assicura il raggiungimento di tutti i parametri della perfezione vocale e musicale. Ecco anche perché la cosa più sbagliata che si possa fare è il vocalizzo a bocca chiusa. E' una vera barbarie didattica dei nostri tempi, un'assurdo, la cui spiegazione, che alcuni insegnanti vogliono esibire, è a dir poco ridicola. La parola, il parlato, si manifestano sempre nell'ambiente esterno, nell'acustica naturale, lontano dal suono, indipendente, anche se relazionata con esso, che è la sua fonte vibrazionale. Mediante il pochissimo, le potenzialità incredibili della voce umana, ovvero del nostro corpo saggiamente guidato dal nostro spirito, possono produrre le più strabilianti possibilità amplificanti da parte del luogo in cui ci si esprime. Più si cerca di dare potenza, forza, spinta, più ci si farà del male e si peggioreranno i risultati. Semplicità, togliere, lasciar andare, non partecipare, rendere indipendente la voce parlata-cantata. Ripetere queste parole come un mantra ogni giorno fin quando, dopo milioni di ripetizioni, si sarà compreso che non erano state comprese, e si illumineranno. Quello è il momento buono. Buon canto.

mercoledì, febbraio 02, 2022

Non preparare

Può accadere che anche la scuola possa generare qualche difetto, involontariamente. Però deve rendersene conto e provvedere tempestivamente. Sappiamo che l'allievo può essere teso e trattenuto a lezione e l'attenzione che ci mette nel cercare di far bene invece di produrre benefici può indurre la muscolatura a tendersi e dunque a chiudere o ridurre gli spazi. In particolare noto che sovente il dover fare una vocale induce l'allievo a prepararla, il che è un grave errore. Ciò che può credere un atteggiamento corretto, di attenzione, disciplinato, si può tradurre invece in una trappola. Qualunque esercizio, come poi il canto, non va preparato ma "gettato"; l'unica possibile preparazione può consistere nel rilassamento. L'attacco deve avvenire quasi imprevedibilmente, come se ci venisse in mente in quell'istante una cosa che ci eravamo dimenticati, un appuntamento, il forno acceso..:! Non con violenza, naturalmente, sempre con dolcezza e facendo scorrere, fluire la voce come un liquido denso e con la minore intenzione possibile. Lo scopo ricordiamo sempre che è la libertà o la liberazione! Non ci sono solo gli ostacoli fisici diretti e indiretti, cioè che si creano durante i movimenti e le articolazioni, ma ci sono gli ostacoli indotti dai comportamenti psicologici, anche tendenzialmente positivi, ma che si rivelano negativi in quanto non facilitano lo scorrimento ma anzi generano quelle rigidità, tensioni, che ostacolano il flusso sonoro.