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martedì, agosto 31, 2010

Il sapere "prima"

Con questo strano titolo mi riferisco a due fenomeni, apparentemente piuttosto lontani tra loro. Il più antipatico dei due riguarda molte persone che prima ancora di avere approfondito una qualsivoglia materia, per il solo fatto di interessarsene e avendo un bel po' di faccia tosta, si dichiarano competenti (questi li chiamo "i competenti prima"). Il mondo della lirica pullula di questi soggetti, che dopo aver sentito due dischi, aver "orecchiato" qualche nome, paiono avere una cultura enciclopedica. Mi è capitato diverse volte di aver a che fare con siffatte persone, che ti parlano con spavalderia, ma li vedi che tentennano appena fai qualche nome meno desueto o usi qualche titolo o termine più ricercato. Alcuni fanno una piccola marcia indietro e dicono "me ne intendo, non ai tuoi livelli, però..." altri, dotati di un metallo più coriaceo, proseguono indefessi nel dire castronerie. Questi sono anche pericolosi e problematici da gestire, perché se si sentono scoperti ti attaccano, cercano di metterti in contraddizione e così via. Sarebbero da allontanare senza troppi riguardi. Ma veniamo al secondo significato di quel "sapere prima". Questo è un fattore tecnico, istintivo e comune. Capita quasi continuamente a lezione di canto che si faccia fatica, nonostante gli stimoli e gli esempi, ad ottenere un certo suono. Si sprona l'allievo a comportarsi in un certo modo, ma il risultato stenta ad arrivare. Talvolta è il Maestro stesso che intuisce, talvolta l'allievo che esclama: "ma se faccio così succede... questo". Cioè l'allievo prima ancora di fare un suono, ha il timore che risulterà sbagliato o con caratteristiche negative. Questo è un suggerimento del nostro istinto, che non agisce solo per via fisica, ma anche psicologica (i centri dell'istinto sono anche quelli delle emozioni). Uno dei punti salienti dell'apprendimento risiede nella possibilità che l'azione vada oltre l'intenzione, cioè oltre le informazioni già possedute, per cui devo sottolineare che quel suono va fatto nel modo suggerito dal Maestro, e che solo dopo si potrà esaminare se è stato giusto o sbagliato. E' come se l'insegnante si trovasse oltre la cima di una montagna, nel pendio opposto, e spronasse l'allievo a raggiungerlo, ma questi facesse resistenza temendo che oltre la cima ci sia un precipizio. E' del tutto comprensibile, fa parte dell'istinto di difesa (paura) che prende il controllo sugli arti e impedisce o frena i movimenti. Ma il fatto stesso che il Maestro esemplifichi quel certo risultato, così come non precipiti dalla montagna, è il segnale che l'allievo può e deve fidarsi, e proiettare nel futuro le proprie aspettative e non lasciarsi fuorviare. E' questa la funzione ineliminabile del Maestro, senza il quale gli inganni dell'istinto risultano pressoché invalicabili.

martedì, agosto 17, 2010

Il fanciullino 2

Se da un lato, come ho esposto in precedenza, l'idea che si possa cantare pensando a un tipo di respirazione come i bambini è assurda, dall'altro c'è un aiuto che possiamo cogliere e applicare, anzi due. La voce dei bambini, specie quando sono alle prime esperienze, è molto cristallina e la dizione particolarmente spiccata. Dunque imitare i bambini, oppure pensare di insegnar loro a dire bene le parole è il modo giusto per esercitarsi nel parlato, con o senza intonazione. In particolare per le donne è fondamentale, non mi stancherò mai di ripeterlo, esercitare il falsetto nel modo più identico possibile al parlato infantile. Il secondo aiuto che ci viene dal mondo dell'infanzia è lo spirito puro e pulito che possiedono. Ogni cosa è nuova e li meraviglia. Lo studio del canto, lo studio dello spartito, affrontare un'esperienza artistica dovrebbe sempre essere compiuta con quello spirito meravigliato, ingenuo e intonso.

sabato, agosto 14, 2010

Il benessere nemico

L'istinto reagisce al tentativo di creare un risultato artistico per svariati motivi. Uno è che il nostro istinto non sopporta la fatica e induce l'uomo a lavorare (un po' paradossalmente) per faticare meno. In effetti tutta l'evoluzione umana non è altro che lo sforzo di inventare e costruire oggetti, sistemi e servizi che rendano la sua vita più comoda. E' ciò che definiamo benessere. Questo rende l'approccio a tutte le forme d'Arte, e in particolare a quelle, come il canto, che richiedono un impegno fisico, ma anche di volontà, molto più gravoso, e in questo senso possiamo far rientrare la crisi di "vocazioni" e risultati di grande valore. Oggi c'è anche crisi di lavoro, la musica e la lirica non danno alcuna garanzia, però il benessere pone di fronte ai giovani una pluralità di scelte, e sembra che non esista più quell'esigenza unica e indiscutibile verso l'Arte canora, come fu per molti dei miti lirici che tutti conosciamo. Da un lato l'istinto rende più "convincente" la propria riluttanza a farsi domare o addirittura commutare su un piano fisico, dall'altro ha anche carte vincenti sul piano psicologico, potendo contare su un benessere (molte volte più apparente che reale) che crea prospettive di vita più allettanti. Il cantante, anche nei casi più eccezionali, non è più un modello di VIP come poteva essere ai tempi di Caruso o ancora, seppur già molto ridimensionato, negli anni '50. Oggi questi modelli appartengono ad altre sfere dello spettacolo e soprattutto dello sport. Per questi motivi, pur potendo sempre contare su soggetti che comunque sentono il richiamo dell'Arte, che non potrà mai venire meno, il canto esemplare troverà sempre più difficoltà ad imporsi, e sempre più difficoltà a trovare voci straordinarie, perché la disciplina artistica risulterà sempre più ostica da accettare. A questo si aggiunga che il benessere modifica anche anatomie e fisiologie! Le persone diventano sempre più alte e "sottili", sia per un gusto estetico che per motivi alimentari e per il fatto che lavorando sempre meno sul piano fisico, le muscolature si assottigliano, diventano sempre meno toniche, e anche lo sport e il "culturismo" rimpiazzano solo apparentemente questo processo, perché non dettate più da reali esigenze di specie. Questo sta già modificando le classificazioni vocali (la riduzione di voci gravi possenti, la moltiplicazioni di voci acute, come i contraltini), e risulta difficile stabilire quanto potrà avvenire in seguito.

giovedì, agosto 12, 2010

Dal caos all'unità

In questi giorni romani, in cui la principale attività è lo studio della Fenomenologia della Musica, tornando al canto mi piace trasferire qualche concetto, a riprova della vicinanza tra queste Arti, che parlano la stessa lingua.
La Fenomenologia della Musica celibidachiana ci insegna che la Musica si può dare nel momento in cui il caos di milioni di note scritte anche dal più grande compositore (e già non è da tutti cogliere che si tratta di un caos, per la maggior parte delle persone quello stato primitivo è già musica) si può trasformare in un'unità. Il compito della trasformazione compete alla nostra coscienza, ma quello è un lavoro "automatico" che compie indipendentemente dal nostro stato di competenza, ed è anche piuttosto soggettivo; in alcuni musicisti è un fatto istintivo, così come in alcuni cantanti è innato il mettere il suono sul fiato, possedendone le caratteristiche fisiche. Dunque, trasferendo il concetto, noi possiamo dire che chi inizia lo studio del canto si trova in un caos, avallato dal nostro istinto di conservazione e difesa della specie, in cui il fiato non è in alcuna relazione con la laringe (o corde vocali) e con le forme e gli spazi sopraglottici, responsabili dell'amplificazione e dell'articolazione. Lo studio del canto si può dire con semplicità che consista nel mettere ordine in questo caos, e, più precisamente, di mettere in relazione i tre apparati affinché ciascuno possa dare il meglio di sé con il minimo impegno. Anche questo compito è svolto dalla coscienza, che deve ricevere tutte le informazioni possibili, ovviamente corrette, per poterlo svolgere. Dobbiamo anche constatare che il caos piace! Il livello basso è più comune, appartiene a una massa più grande di individui, e dunque a più popolo, mentre un livello alto di Arte, dove una determinata qualità e quantità di fiato è perfettamente rapportata al suono che si vuole ottenere, in altezza, timbro, intensità e volume, e trova la giusta forma e proporzionato spazio ad accoglierlo, dove il caos si è trasformato in un'unità sonora, non viene da tutti accettato, perché la mente delle persone è inquinata dal comune intendere, che ritiene impossibile un livello artistico di perfezione, riservato a una sfera divina. In realtà questo è possibile, pur essendo un traguardo difficilissimo da raggiungere, e deve partire da un'esigenza di elevazione da parte del soggetto che ritiene possibile tale traguardo (se non lo si ritiene possibile è inutile iniziare quel percorso, perché è precluso fin dall'inizio; il Maestro non può e non deve far opera di convincimento), in tempi mai brevissimi, ed è ciò che indichiamo come "flusso mentale operante", cioè il corpo, o meglio alcune parti di esso - in questo caso l'apparato fonatorio - a disposizione della mente. Il corpo, che essendo "animale" risponde prioritariamente ai comandi di una mente istintiva, materiale e occupata da problemi contingenti legati alla sopravvivenza e alle poche esigenze di relazione umana, viene invece indotto a rispondere, senza togliere la priorità vitale, a un bisogno di tipo spirituale, artistico, che può arrivare sino al limite estremo di un'esigenza superiore ai limiti del corpo, cioè divinizzarsi, diventare spirito puro, il che non è possibile, ma quel limite imposto è da considerarsi perfezione, in quanto "non oltre", non superabile dalla condizione umana. E' un limite allo stesso tempo soggettivo e oggettivo. E' soggettivo in quanto due o più soggetti che abbiano raggiunto quel limite, avranno caratteristiche diverse: di classe di appartenenza, di colore, di intensità, di volume, di estensione, ecc., ma quel livello di perfezione non è più graduabile, è lo stesso, e il loro linguaggio, a quel punto, sarà lo stesso. Il limite del linguaggio, che è un problema enorme nel caotico mondo del canto, come in tutti i campi artistici, può identificarsi solo nel momento in cui si raggiunge lo stesso livello. Il vero Maestro conosce tutti gli stadi evolutivi, non si trova su una torre d'avorio beandosi del proprio stato di perfezione, ma al contrario scende fino al livello più basso (sconosciuto ai tanti cantanti che hanno fatto una carriera più per disposizione che per studio) identificandosi con l'allievo alle prime armi, e sapendolo trarre da quella condizione in virtù della spazialità della sua condizione, che essendo "unica", cioè non essendo più suddivisa nei tre o più stadi fisio-anatomici del corpo, saprà sempre indicare la strada più breve e più adatta a quel soggetto (ed ecco quindi la futilità di un metodo) per portarlo nel regno dell'Arte fonica. Nonostante ciò i tempi, a meno che non si tratti di un soggetto particolarmente fortunato, non potranno mai essere brevi. Ciò che può costituire un serio ostacolo al raggiungimento di un obiettivo così elevato, è l'ego. In primo luogo occorre soffermarsi sul principio che un'Arte non è esibizione, non è celebrità e dunque manifestazione esteriore, caduca. L'Arte è per la Storia, è per l'umanità, è per gli altri, e l'ego può solo rappresentare un inquinante, un filtro che impedisce di vedere lontano; la fase più dura di una seria ma "pesante" scuola è quella detta anche della "doccia di chiodi", durante la quale il Maestro dovrebbe cercare di minare, sgretolare anche fino all'annientamento, quell'ego che si pone come un muro sulla strada dell'apprendimento. Questo non significa rinunciare alle gioie e agli aspetti di relazione e di esternazione di qualsivoglia tipo (anche se il Maestro che ha conquistato con sacrificio quel traguardo, potrà risultare un po' ascetico e inavvicinabile), ma con la coscienza di un sapere non superficiale, non destinato all'happening, ma a un evento che lasci un segno in chi è presente.

mercoledì, agosto 11, 2010

Il fanciullino

Ho sentito in diverse occasioni cantanti o insegnanti di canto additare i neonati come condizione ideale di imposto vocale. "il bambino urla delle ore e non resta mai senza voce". E' vero; "poi cresce e perde questa facilità; basterebbe farla riconquistare". Falsissimo. Non c'entra assolutamente nulla. E' come dire: guarda come mangia un bambino, mangiamo allo stesso modo e staremo bene! Credo che ognuno sia convinto che questa affermazione sia assurda. Ebbene, benché le due cose c'entrino poco, lo è anche la prima. Le esigenze esistenziali di un bambino sono ben diverse di quelle di un fanciullo di 3, poi di 5, poi di 7 anni, e così via. Il nostro istinto non è lo stesso per tutta la vita; nei primi anni di vita il "programma" varia di continuo, perché le esigenze vitali sono in rapida mutazione. Per i primi vent'anni, poi le cose tendono ad assestarsi e i mutamenti saranno sempre più lievi e lenti. Questo come primo punto; ma ne esiste anche un altro. Vogliamo parlare di proporzioni? In che rapporto stanno le dimensioni della bocca, dell'intera testa, della laringe, dei polmoni, ecc.? rispetto a quelli di un adulto. Ma poi... quanti sanno quale posto occupa la laringe nel neonato? Ad esempio ci si rende conto delle implicazioni che comporta il fatto che il neonato deve (e può) mangiare respirando contemporaneamente?? Ecco, se qualcuno, prima di buttare frasi ad effetto credendo di aver rivelato chissà quale verità, si informasse un po', forse si accorgerebbe di aver detto qualche sciocchezza senza fondamento, e dunque dovrebbe rivedere completamente la propria "teoria" sul canto.

Il Maestro proiezione di noi

In questi giorni di agosto, una delle tante chiacchierate col M° Raffaele Napoli mi suggerisce una immagine che ritengo illuminante nel percorso di apprendimento. L'immagine è quella di un Maestro non "fuori di noi", ma proiezione di una propria spiritualità. Ovviamente il M° deve esistere, e non è detto che lo si trovi, o chissà in quali tempoM; però alcuni, pochi, uomini (nel senso di appartenenti alla specie umana)che hanno in sè una "scintilla" che sprona l'individuo a una esigenza di promozione superiore, vanno alla ricerca, coscientemente o meno, di un Maestro. L'insegnante comune, anche molto bravo, non appagherà la propria sete di apprendimento profondo. Quando si avrà la ventura di trovarlo, pur esistendo ed essendo una persona fisica, esso va anche inteso come proiezione di una propria ricerca, e anche di ciò che quell'individuo vuole, limitatamente alla sfera di quell'arte, raggiungere. Molti allievi del M° Antonietti lo hanno criticato, anche piuttosto aspramente, pur riconoscendogli il supremo grado di conoscenza, per il brutto carattere e certi modi di fare molto discutibili. Questa però è una sfera dell'uomo che deve esulare dal discorso. Il "nostro" Maestro non è l'uomo, ma ciò che il suo spirito ha conquistato (o, meglio, ha appagato - la conoscenza è una "cifra" che esiste a priori; per potersi rivelare ha bisogno di un Maestro, o, in casi più unici che rari, riuscire a autoinformarsi di tutto ciò che ha bisogno per poter rivelare il proprio, elevatissimo, livello artistico, o di conoscenza). Questo discorso per dire che chi ritiene di aver trovato un Maestro, deve riflettere anche sul fatto che ha trovato una immagine spirituale di sè, e dunque un possibile futuro, se questo non è troppo pesante da sopportare (il più delle volte lo è!).

martedì, agosto 03, 2010

Dell'intonazione

Quando un cantante, o un musicista in genere, si possono definire intonati? La questione non è per niente semplice. Come credo sia noto, il sistema di accordatura "temperato" è un sistema artificiale, adottato per risolvere alcuni problemi tecnici di difficile soluzione, in particolare organi, prima, e pianoforte e tastiere, poi. In realtà gli organi avevano risolto parzialmente il problema, perché erano intonati su una determinata tonalità, e tendenzialmente si suonava su quella. Se ascoltiamo oggi un organo intonato con il sistema equabile, ci sembra stonatissimo! (esistono alcune registrazioni). I due sistemi di riferimento sono quello degli armonici e quello "naturale", cioè dell'orecchio umano. In particolare nelle intonazioni non temperate, diesis e bemolli risultano leggermente diversi. Uno dei campi di più aspra battaglia sul problema intonazione è quello dei violinisti, che intonano tutto ad orecchio. Molti celebri violinisti lanciano strali contro colleghi "stonati", cioè che usano un sistema di base leggermente diverso, ma che a un orecchio "fine" può risultare assai fastidioso. Nel campo canoro la questione è assai più complessa e difficoltosa. Diciamo subito che la prima difficoltà è rappresentata dal sostegno, per cui è già cosa assai difficile per un cantante mantenere l'intonazione dall'inizio alla fine di un'aria. In campo corale questo rappresenta il problema più spinoso, perché molti cantanti ovviamente saranno portati a "stonare" molto più di un singolo. Ci sono casi divertenti, in cui un coro inizia e finisce in tono giusto, ma in mezzo ci sono calamenti e crescite evidenti. I cori operistici sono più portati a calare rispetto ai cori amatoriali. Questo potrà sembrare strano, perché nei cori amatoriali pochi hanno studiato canto, ma in realtà questo significa due cose: il canto cosiddetto "naturale", cioè senza studio, non necessariamente è del tutto difettoso, anzi, se saputo sfruttare con una minima ma efficace guida, può realizzare buone cose (certo in un ambito non operistico e non professionale); il canto operistico, quasi sempre realizzato "gonfiando" i suoni all'interno, porta a calamenti anche notevoli, nonostante un uso più frequente del diaframma e dell'appoggio. Dunque, una lezione di canto comporta fatalmente un compromesso difficilmente superabile: il suono intonato è da intendersi come quello che entra perfettamente in sintonia con l'equivalente suono prodotto da uno strumento perfettamente intonato. Siccome lo strumento che si usa è sempre un pianoforte, o una tastiera, il suono intonato sarà da considerarsi quello "temperato", che come abbiamo detto in realtà non è da considerarsi come perfetto. In ambito corale esistono tecniche di intonazione del coro molto interessanti, basate sugli armonici; per il canto singolo non si ricorre pressoché mai a queste tecniche. Dobbiamo poi considerare che il cantante viene accompagnato o dal pianoforte, con quanto abbiamo detto, o dall'orchestra, che invece può essere considerata uno strumento a intonazione naturale, in quanto archi e fiati sono in grado di aggiustare l'intonazione, anche se il modello temperato finisce per essere sempre quello considerato esatto, con dibattiti accesissimi da parte dei filologi (poi c'è la celebre cantante, stonata, che afferma di cantare secondo l'intonazione antica, e che gli ascoltatori non capiscono...). Ma la questione non finisce qui, anzi. Ci sono innanzi tutto problemi di ascolto da parte di persone che credono di avere un orecchio eccellente, e invece non è vero, per cui sentono intonati cantanti che sono perennemente calanti, anche se costantemente, e sentono stonati cantanti perfettamente intonati, ma con difformità di colore. Un giorno feci una scoperta interessante. Un mio zio, che non capisce niente di musica e di canto, mi sentì fare un suono e mi disse che era più acuto di un altro che avevo fatto poco prima. in realtà non era vero, avevo fatto la stessa nota; riprovai, e mi ripetè la stessa sensazione. Questo mi spiegò anche un altro avvenimento. Anni prima, un signore molto appassionato d'opera, che aveva sentito centinaia di recite nella sua vita, disse che Schipa non avrebbe mai potuto contare l'Otello di Verdi. Non ricordo bene perché la discussione fosse finita a quel punto, ma io ammisi, ovviamente, che Schipa non avrebbe potuto cantare l'Otello per evidenti limiti drammatici, ma musicalmente sì. E lui insistette per un po', affermando che "non aveva le note". Cioè esiste un diffuso equivoco secondo il quale le voci più chiare e piccole hanno meno note di quelle gravi e drammatiche, il che, come sappiamo, non è vero. Ora, la questione del colore ha dei riflessi piuttosto importanti e non trascurabili. Una voce difettosa, ingolata o molto indietro, quella che secondo noi ha "omogeneizzato il difetto", ha buone probabilità di essere considerata perfettamente intonata, anche quando ha un calamento costante (il che è naturale, perché l'appoggio non sul fiato è sempre imperfetto), rispetto a chi cantando sul fiato con perfetta dizione, ha qualche, anche lievissima, differenza di colore su varie vocali. Se il passaggio da una I a una A od O non rimane sulla stessa scia, darà immediatamente l'impressione di un suono calante, e nel caso contrario, da A od O, a I, l'impressione di un suono crescente. Però diciamo pure che per chi vuole un canto perfetto, sul fiato, l'intonazione sarà uno scoglio duro da superare. In sintesi: chi canta male, per le orecchie foderate di pelle di patata della maggior parte degli ascoltatori, che si considerino esperti o meno ("io non me ne intendo, però..."; e se non te ne intendi, taci, no??!), ha sempre migliori probabilità di cavarsela rispetto a chi, con tanti sacrifici e studio indefesso, vuole promuovere la propria voce ad arte, perfezione, verità. In medio stat virtus... MA CHI HA DETTO STA FESSERIA!!?? Comunque, si mediti: a volte meglio una scuola mediocre, che ti fa raggiungere un obiettivo soddisfacente per il tuo ego, che non una scuola di perfezione, come la nostra, che ti pone di fronte a tutti gli ostacoli possibili e immaginabili... Promozione dello spirito o della materia?

lunedì, agosto 02, 2010

Esigenze

Lo studio del canto artistico finisce per essere uno "scontro" tra esigenze. Da un lato l'esigenza esistenziale, che rallenta, frena e persino impedisce non solo l'apprendimento di un canto esemplare, ma addirittura nozioni di base del canto, a meno di possedere doti straordinarie; dall'altra l'esigenza artistica di possedere una vocalità perfetta, esemplare, un "flusso mentale operante" come la definì con, come al solito, incredibile perspicacia terminologica, il m° Antonietti. Da un lato l'istinto animale, che guarda solo alla sopravvivenza dell'individuo e della specie umana, dall'altro la forza di uno spirito divino che vuole promuoversi oltre le esigenze comuni di specie, non per la gloria di un momento, ma per una reale esigenza dello spirito, una caratterizzazione che chiameremo "conoscenza", che non si apprende e non migliora o peggiora, perché è fissata in noi; cosa richiede è la presenza di qualcuno che possa aiutarci a rivelarla, a farla emergere. In casi strordinariamente rari, come fu per il M° Antonietti, a costi umani inimmaginabili, il soggetto può anche raggiungere da solo l'alta meta. Quindi un grande spirito di volontà, che porta i soggetti a fare "follie" (come l'andare a studiare a centinaia di km di distanza, quando si intuisce che solo "là" potrà abbeverarsi alla fonte che potrà colmare quella sete), è sempre la condizione indispensabile per fronteggiare l'esigenza istintiva, che cercherà sempre di opporsi a ogni tentativo di commutazione di un proprio apparato vitale in altro artistico, inutile e dannoso alla vita comune.