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mercoledì, dicembre 06, 2023

"... coraggio aver conviene..."

 Verso la fine del 1° atto del Don Giovanni, tre personaggi dell'opera, il tenore e due soprani, si presentano mascherati alla festa data dal protagonista per scoprire chi costui sia veramente, se il "nobil cavalier" o il malvagio seduttore. E la verità verrà a galla. Nel presentarsi, per l'appunto, si fanno coraggio, perché intuiscono che Don Giovanni può essere anche pericoloso, se emergesse, come emergerà, che è lui l'uccisore del padre di Donna Anna. 

Allora bisogna riconoscere che studiare canto in una scuola che vuole svelare come stanno davvero le cose, richiede molto coraggio. La voce per affrontare il canto artistico non è riconosciuta dalla nostra mente, quindi viene osteggiata e per chi è alle prime armi o sta percorrendo strade errate, è inconoscibile, coperta da uno strato di fumo denso. Quindi ci si avvicina guidati dall'insegnante che conosce la strada giusta anche al buio, e bisogna fidarsi, fidarsi delle proprie risorse e credere nella possibilità di perfezione insita nella nostra natura umana, che è fatta di corpo (animale) e di spirito (divino). Ad ogni passo ci sentiremo legati e intimoriti dalla paura di commettere errori, gridare, spingere, ingolare... quindi bisogna togliere, alleggerire, semplificare, e questo comporterà altre paure. Siate eroi. non demordete, ma nell'umiltà, nella determinatezza. 

domenica, novembre 12, 2023

Chi l'ha... detto?

 A me non interessa sapere "CHI" e "COSA" ha detto o ha formulato determinate cose riguardanti il canto; a me interessa sapere "PERCHE'" le ha dette, ovvero, su quali basi, su quali fondamenti. Tutto il resto... è noia!

sabato, novembre 04, 2023

Le unità

 Conquistare un'arte significa in sintesi: UNIFICARE. Nel caso della voce noi abbiamo: 1) unificazione dei tre apparati alimentante (fiato), produttivo (laringe) e articolatorio-amplificante (bocca e spazi oro-faringei); 2) unificazione dei registri (cosiddetti petto e falsetto-testa) che significa anche unificazione delle posture cordali e relative meccaniche nonché tutto ciò che si relazione con essi in modo diversificato, a cominciare dal fiato. Se il fiato alimenta in modo differenziato la voce parlata centrale e quella acuta, c'è una dualità e quindi una difformità e una impossibilità di rendere il tratto unico ed esemplare (del resto, anche petto e testa sono una dualità risonante, da unificare!). 

Dopodiché abbiamo le unificazioni di tipo musicale, che attengono alla fenomenologia, quindi unificare gli intervalli e fino a un intero brano, quindi vivere la fine contenuta nell'inizio. 

Ogni volta che ci si trova di fronte a una dualità, occorre meditare su come annullarla, perché viceversa non sarà mai possibile un risultato artistico.

martedì, ottobre 31, 2023

Lo "sgancio" della laringe

 Una delle cose più importanti e meno facili nello studio del canto, consiste nello "sganciare" la laringe dal suo ruolo fisiologico di valvola dei polmoni. Purtroppo è anche una delle cose meno risapute, per cui nell'insegnamento di tanti, non si fa caso a questo problema, anche se si coglie che un problema c'è, nel senso che si fa presente agli allievi che la laringe non dovrebbe alzarsi (il che in realtà è un altro grave errore) e quindi invitano a premere verso il basso per non farla alzare. 

La questione in realtà è piuttosto semplice. Parto, però, già dalla conclusione per poi spiegare tutta la questione come sta. La parola ben pronunciata è quella che richiama la laringe al suo ruolo musicale. Quando parliamo, la laringe non svolge, se non in rari momenti e per frazioni minime di tempo, il suo ruolo fisiologico, ed è al servizio della parola. Nel momento in cui vogliamo cantare, cioè emettere SUONI o cantare ma senza dare il dovuto rilievo alla parola, la mente non avverte più l'esigenza primaria del parlato, e torna ad agganciare la laringe al fiato fisiologico, che quindi tornerà ad esercitare la pressione sottoglottica in modo inopportuno dal punto di vista canoro, provocandone il sollevamento. Ovviamente la soluzione di premere verso il basso è la peggiore possibile, perché si mette in moto una catena di azioni e reazioni che sicuramente non possono essere virtuose, né per il canto né per la salute dell'apparato respiratorio-vocale. 

Il fatto di privilegiare il vocalizzo alla sillabazione e al parlato è infausto, perché risulta difficile poter dare alla semplice vocale lo stesso rilievo di una parola o di una sillaba ben detta. Ecco perché il passaggio alla vocale andrà fatto prudentemente partendo dalla parola. Ad es. pronunciando e cantando la frase "ma l'amore va" un po' di volte, ci si potrà fermare una volta sulla "O" (ma l'amoooooo), una volta sulla "A" (ma l'amore vaaaaa), e così via, ma tornando sempre sulla frase, in modo da non discostarsi da quella condizione e soprattutto dalla posizione che si guadagna grazie al parlato.

La laringe è un organo mobile, per cui DEVE potersi abbassare e alzare, e il volerla tenere ferma è un errore micidiale, anche se sappiamo che molti cantanti con questo "trucco" riescono a cantare, o meglio, fare suoni anche rilevanti, ma addossando un carico insalubre alla laringe stessa, che qualcuno potrà pagare caramente.

Ciò che ho scritto in questa pagina, è una delle conquiste più importanti che si possono arrivare a fare in questo studio, in quest'arte, ed è pazzesco che pochissimi nella Storia siano arrivati a comprenderlo e a metterlo in pratica. Ancora all'inizio del 900 parecchi cantanti avevano una emissione straordinaria, quindi possiamo arguire che, intuitivamente, diversi ci erano arrivati. Poi, per presunzione, arroganza, fretta, narcisismo, è stato buttato tutto alle ortiche e oggi si viaggia con le idee più strampalate in testa, e i cantanti che sono in carriera, pressoché unicamente per doti e privilegi innati, cantano come possono, e anche quando cantano bene durano poco, perché quella condizione non è conquistata dalla coscienza, quindi non è conosciuta e quindi ricondotta alle funzioni esistenziali. 

venerdì, ottobre 27, 2023

Dei muscoli e della tridimensionalità

 Mi sono soffermato lungamente sulla necessità di sganciare la vocalità dalla muscolatura interna, cioè il contrario di quanto si fa in genere nelle scuole di canto attuali. Però nella fase iniziale dello studio, capita che richieda una certa partecipazione di alcuni muscoli facciali, al punto da definire tutta la parte compresa tra mento e zigomi "la tastiera del cantante". E' infatti evidente che la corretta emissione di alcune specifiche vocali, come la "I", la "é" e la "O" richiedano un certo atteggiamento dei muscoli facciali. Questo atteggiamento è genericamente dolce e spontaneo nelle persone, durante il normale eloquio, ma si tende ad abbandonarlo quando si passa al canto, specie se impegnato. Questo fatto può far pensare a una contraddizione. Come ho già spiegato in diversi momenti, l'insegnamento del canto non può sintetizzarsi in un unicum, ma richiede non meno di tre fasi. Una fase che possiamo definire propedeutica, una fase di stabilizzazione e una di perfezionamento. In questi momenti le problematiche da gestire sono o possono essere differenti, e differenti, quindi, anche gli strumenti da impiegare. Nella prima fase il problema più cogente è quello di far sì che la voce nasca e si sviluppi esternamente. Se questo avviene naturalmente quando si parla, è molto più difficile che avvenga appena si intona, specie se si vuol dare maggiore intentistà e se ci si avventura se tessiture più acute. Come è noto, il modo più corretto per sviluppare il fiato consiste nel partire dal parlato, perfezionarlo ed estenderlo. Ma per molti è una linea troppo lunga e impegnativa, o almeno così a loro appare, e dunque bisogna affrettarsi a passare al vocalizzo e al canto, dove le conseguenze della reattività del corpo sono più forti. Pertanto, ecco che occorre ricorrere a qualche mezzo che possa tenere sotto controllo le reazioni e consentire alla voce di portarsi avanti. Un utilizzo sapiente della muscolatura labiale, risoria e zigomale permette di pronunciare adeguatamente le tre vocali suddette. Tutto bene, quindi? Non proprio. La muscolatura esterna ha dei riflessi su quella interna, per cui se si applicano delle tensioni, possiamo essere certi che la fluidità vocale ne avrà riscontro, quindi è necessario che, qualora l'insegnante abbia ritenuto di far ricorso a questa modalità, dovrà poi insistere per toglierla, il prima possibile. Quale deve essere la vera condizione del canto? Che tutto si formi esternamente, e anche la muscolatura esterna del viso resti pressoché impassibile, con appena accenni della pronuncia. Questa è una condizione che per molti risulterà al limite dell'impossibile! Eppure occorre assolutamente arrivarci. La voce è come se venisse vista, oltre che udita, non formulata muscolarmente!

Adesso passiamo a un altro fattore, non meno importante e legato in parte al precedente. Lo studio del canto si associa, nelle parole degli insegnanti, a procedure dimensionali, che solitamente sono solo due, cioè sopra e sotto, o alto e basso. L'alto è il regno della "maschera", delle cavità sopraglottiche, della bocca, del naso, del faringe; il sotto è il regno sooprattutto del diaframma, della pancia, della schiena e per qualche insegnante anche più giù. Per me questa dimensione è da lasciar stare! Più interessante è quella orizzontale, che però non riguarda "avanti" e "dietro", ma solo l'"avanti", dove però ci sta la terza dimensione, cioè il laterale, destra e sinistra. Spiego meglio. Prima di tutto questo avanti non è generico, ma è relativo all'intensità e all'altezza della tessitura. Siccome la colonna d'aria, man mano che si sale nella tessitura, a causa dell'aumento di tensione, tende a raddrizzarsi e a portarsi verso il centro della calotta cranica, noi dobbiamo fare in modo che questo NON avvenga, perché porterebbe allo spoggio! Il palato è l'elemento che può impedire il raddrizzamento e proiettare la voce verso l'arcata mandibolare superiore e verso l'esterno, Questo però, specie nei primi tempi, creerà una pressione non indifferente, per cui sarà probabile che spesso la voce arretri e si opacizzi. In ogni modo, anche quando si riuscirà a crearla esternamente, questo dato non potrà essere generico. Se parliamo di vocali perlopiù verticali, come la A e la O (anche la "è"), man mano che si sale nella scala occorrerà compensare il fatto di non salire (NON SI DEVE PENSARE IN ALCUN MODO DI ALZARE) lanciando la voce più lontano. Banalmente a volte consiglio di pensare alle diverse note come a delle orbite, e quindi saltare da un'orbita all'altra più lontana salendo. Questo succede anche nella vocali più orizzontali, come la "I" e la "é", che però hanno necessità di una espansione laterale, per cui salendo occorre anche lanciare maggiormente a destra e sinistra. 

martedì, settembre 19, 2023

I due motori

 Si può dire che nel canto possiamo contare su due motori [dal lat. motor -oris, «che mette in movimento»], uno attivo e uno passivo. Il motore attivo è la parola, è ciò che motiva e aziona la "macchina" vocale. Se il testo non suscita l'interesse e la volontà del cantante, cioè non è coinvolto da essa, il motore non funziona, ovvero non aziona correttamente l'altro. Il motore passivo è il fiato-diaframma. Nelle scuole di canto non si fa che agire (o meglio, tentare di agire) su di esso con varie tecniche ed espedienti, quasi tutti fallaci e comportanti difetti più o meno gravi. E' assurdo spingere, premere, affondandare, ecc. Il fiato ha un proprio fuinzionamento istintivo, basato su principi fisici e fisiologici perfetti. Ciò che manca a questo meccanismo nel canto artistico è la qualità, ovvero la costanza, la regolarità, la relazione mirabile con la laringe e l'articolazione. Ma, per l'appunto, questa caratteristica si sviluppa e si raggiunge proprio grazie a come si pronuncia e si muovono il parlato e la melodia. Affinché la parola sia ricca di significato e abbia il giusto carattere, la giusta intensità, necessita del giusto apporto respiratorio. Quindi è concentrandosi su questi aspetti che essa azionerà il motore respiratorio opportuno. Così e non diversamente, cioè non azionandolo volontariamente secondo modalità del tutto prive di relazioni e arbitrarie. 

domenica, settembre 03, 2023

Il salto quantico

 E' stato osservato che ogni tanto l'elettrone, all'interno dell'atomo, cambia orbita, modificando anche la propria energia. E' un salto (cui è stato dato il nome di salto quantico) di cui non si conosce a fondo la motivazione e la meccanica, in ogni modo... succede! Quindi, per analogia, si parla di salto quantico ogni qual volta c'è un cambio di vita, di posizione mentale. Nell'apprendimento dell'arte, è necessario un salto quantico, che corrisponde a: lasciar andare, cioè non preoccuparsi più di ciò che succede e soprattutto succederà. Lo studio, l'esercizio, creano le condizioni evolutive, che successivamente metteranno il soggetto in grado di produrre arte senza fare niente, cioè "naturalmente", ovvero aver reso naturale ciò che originariamente non lo era, in quanto non conosciuto. Se si continua a intervenire volontariamente con azioni pensando di guidare, di indirizzare, di correggere, ecc., impediamo di fatto che ciò che abbiamo educato possa operare liberamente. Non pensate, non cercate, non agite, lasciate fare, non mettete i bastoni tra le ruote!