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martedì, gennaio 07, 2025

Dosare il fiato

 Uno dei problemi che i trattatisti del canto si sono sempre posti, fornendo varie soluzioni, è stato quello del dosaggio del fiato durante l'emissione. I primi grandi e celebri maestri hanno identificato l'origine della forza propulsiva al petto. Mancini, in particolare, ne parla spesso nel suo trattato, Questo avveniva già in precedenza, mentre successivamente il petto ha perso centralità nell'attività respiratoria, mentre è andato assumendo sempre più importanza il diaframma. Nel primo e nel secondo caso, comunque, questo ruolo ha sempre occupato un posto fortemente attivo. Che fosse il petto o che fosse il diaframma, i maestri han sempre ritenuto che l'uno o l'altro dovessero premere, provocare pressione sul fiato, che poi si ripercuotesse sulla voce. 

Una forza esterna al fiato stesso, ovvero ai polmoni, genera una pressione incontrollabile, o comunque difficilmente controllabile, e sempre maggiore rispetto quella effettivamente necessaria. Questa è la causa principale della spinta, che non può che avere ripercussioni negative sulla voce. In particolare questo genera la perniciosa confusione con lo sforzo, cioè quella attività istintiva che si genera quando compiamo determinate attività, fisiologiche (come il parto o la defecazione o il semplice riacquistare la posizione eretta quando ci si piega in avanti, specie se sollevando un peso) o lavorative. 

Petto e diaframma non è che non abbiano un ruolo, ma... passivo! Passato un certo periodo di tempo dall'inizio della disciplina, quindi superate le reazioni istintive più violente, quando è consigliabile utilizzare una respirazione diaframmatica leggera, si potrà integrare quel tipo di respirazione con una costale, che significa sostanzialmente aprire le costole e tenere il torace alto e avanzato, omde permettere la massima espansione polmonare, sostenendolo con la muscolatura toracica, ma senza farlo richiudere, il che significa che non ci sarà pressione sul fiato stesso, il quale "galleggerà". Ciò che servirà al fiato per avere la giusta dose di energia, è il polmone stesso, che è dotato di una elasticità sufficiente al bisogno. Perché il suo apporto sia efficace, è necessario che la respirazione avvenga orizzontalmente, cioè tra le due ascelle. Questo comporta una dilatazione del polmone (e del suo involucro), che subito dopo vorrà riprendere le dimensioni iniziali, fornendo una modesta pressione sull'aria, senza le forze squilibrate dell'intera cassa toracica. Quanto al diaframma, come ho spiegato più volte, è importante che non abbia movimenti istintivi repentini. Esso ha un moto regolare che permette ai polmoni, appoggiati su di esso, di mantenere un ampio contatto e di fondare su di esso un efficace appoggio, che non deve essere aumentato, a costo di reazioni molto controproducenti. 

domenica, dicembre 29, 2024

Amore e pallottole

 Tosca. I personaggi e l contrasti.

Affinché una storia abbia una vita, deve contenere contrasti, a diversi livelli.

Cominciamo da Mario Cavarodossi. Primo elemento di contrasto: egli è un artista, non sappiamo quanto importante, ma il fatto che esegua un affresco in una importante chiesa romana, ci fa pensare che sia di elevata qualità. Ordunque egli è anche un "volterriano", cioè un seguace delle idee di Voltaire, quindi teso al regime repubblicano e democratico, in netto contrasto con quello aristocratico e anche quello papale. Vive questo contrasto perché deve fare soldi, e sappiamo che anche gli esponenti religiosi mal lo sopportano (persino il sagrestano!), ma lo accettano in virtù delle sue opere. 

Tosca è anch'essa un'artista, una cantattrice, e anch'essa di valore, ma apprezzata sotto tutti i punti di vista in quanto profondamente religiosa, potremmo dire persino bigotta. Il contrasto sta con Cavarodossi che è di idee opposte, ma il sentimento affettivo vince il contrasto. Però ce n'è un'altro che risulterà fatale: la gelosia.

Questi due personaggi potrebbero vivere, comunque, il loro amore senza problemi, se non capitasse inaspettatamente e sfortunatamente, all'improvviso sul loro cammino un evaso, Angelotti, "console della spenta Repubblica Romana", che si rifugia nella chiesa dove lavora Cavarossi, che naturalmente lo aiuterà a nascondersi, essendo della stessa fede politica. 

I contrasti elencati sono basilari per la storia, perché saranno la leva utilizzata dalla polizia per arrivare ad acciuffare, morto, l'evaso. 

Il barone Scarpia, capo della polizia, è notoriamente un essere abbietto, pure lui bigotto, che ha come obiettivo poter possedere belle donne (nel caso presente Tosca), facendo giochi sporchi pur di arrivare alla sua meta, e contando sul potere che possiede, che però dipende sempre dai risultati di tipo politico, per cui potrebbe perderlo se non riprende Angelotti. Come entra in chiesa e raccoglie i primi indizi, nella sua mente prende forma un ingegnoso piano per raggiungere tutti i suoi traguardi, riprendere Angelotti, possedere Tosca e mettere fuori gioco Cavaradossi. E riesce, fino a un certo punto, sfruttando i contrasti, in particolare la gelosia di Tosca e il suo amore fortissimo per il pittore. Infatti sfruttando il dipinto della Vergine con gli occhi azzurri, insinua nella mente della cantante che egli sia amante dell'Attavanti, sorella di Angelotti, che giorni prima aveva deposto un travestimento nella chiesa, per aiutare la fuga del fratello e in quel momento raffigurata da Cavarodossi nel dipinto. Infatti i collaboratori di Scarpia colgono Tosca e Mario nella villa poco distante, ma non trovano l'evaso.

Poco importa, ha ancora frecce al suo arco. Puntando sull'amore dei due artisti, mettendo alla tortura l'amante, giunge a farle rivelare a Tosca il nascondiglio del Console, che per non farsi catturare si toglie la vita. Dopodiché vuol barattare la vita dell'amante con un ora d'amore (diciamo così), che lei è costretta ad accettare. A questo punto Sardou compie il grande contrasto in qualche modo risolutivo. Ciò che Scarpia, che si crede invincibile, non può neanche lontanamente immaginare, è che nonostante la profonda fede religiosa e la delicatezza della sua arte, ella in fondo, grazie anche al suo amore per Mario, possa arrivare ad uccidere, anche spietatamente. E questo succede, e Scarpia, che sulla carta doveva essere il vincitore assoluto, perde. Purtroppo in questa storia perdono tutti, perché nel piano ingegnoso del barone, non c'era la salvezza per Mario, quindi la finta fucilazione promessa, era solo un inganno, e quindi riceverà la scarica di pallottole proprio di fronte alla donna amata, che a questo punto non potrà che togliersi la vita teatralmente, buttandosi da Castel Sant'Angelo. 

domenica, ottobre 20, 2024

L'A sguaiata e l'oscuramento

 Stavo ascoltando un vecchio filmato di Luciano Pavarotti che spiega ed esemplifica che facendo una A e portandola verso gli acuti, diventa sguaiata (cosiddetto suono aperto), sicché la rifà facendo un leggero oscuramento, per cui quella A non diventa più sguaiata. Però, aggiungo io, non è neanche più A, ovvero perde brillantezza, armonici, verità. Gli acuti di diversi cantanti del passato (ad es. Tamagno), erano veri, e piacevoli. Dunque? 

La verità sta in quanto ho scritto più e più volte! Se la vocale nasce internamente nelle frequenze centrali, man mano che viene spostata verso l'acuto, tende a verticalizzarsi e a portarsi verso il grido, Oscurandola, si porta più verso la parte anteriore del palato, diventando più morbida. Ma se la A, come qualunque altra vocale, nasce esternamente, quindi alimentata dalla giusta respirazione, non ha alcuna necessità di oscuramento, resta omogenea su tutte le frequenze (canto aperto). 

Detto così può sembrare piuttosto semplice e rapido, ma purtroppo così non è! Far nascere la vocale esternamente può essere abbastanza semplice, perché il nostro parlato si genera già in quella posizione, ma quando lo si intona, già i riferimenti vengono persi, anche perché psicologicamente si vuole "cantare", cioè creare un timbro e un volume considerevoli, e questo porta a modificarlo e gonfiarlo. Se anche si riesce a mantenerle corrette nel centro, diventa sempre più difficile farlo in zona acuta, anche perché richiede una
qualità respiratoria molto evoluta, che richiede molto tempo per essere raggiunta. 

domenica, settembre 08, 2024

Non cantar con la bocca

 C'è una questione fondamentale nel canto. In tanti sostengono che si canti con il fiato, ma ben pochi credo dicano che non si canta con la bocca. Però bisogna spiegare. Anche quando si comincia a cantare bene, quindi e tutto il processo avanza verso l'esterno e si tolgono gli ostacoli interni, ne resta ancora uno, cioè la bocca, con cui molti credono di pronunciare correttamente. Bisogna invece considerare che la pronuncia esterna e perfetta è una proiezione mentale, senza quasi alcun apporto fisico. Allora ad esempio dire una bella A aprendo molto la bocca, che può essere necessario durante i primi periodi di studio, a un certo punto diventa invece controproducente. La mandibola può offrire un ostacolo notevole allo scorrimento del fiato e addirittura un punto di appoggio al sollevamento del diaframma, impedendo la corretta articolazione. Il cantante deve arrivare a cantare con la stessa semplicità con cui si parla, quindi con movimenti minimali della bocca. Quando si prova le prime volte a non aprire molto, si ha la tendenza a irrigidire, quindi dobbiamo renderci conto che implicitamente stiamo schiacciando verso il basso, impedendo di fatto la fluidità aerea. Dobbiamo lasciare che il fiato scorra e investa la parte alta della cavità. Il fiato non deve essere in alcun modo guidato o indirizzato, perché di fatto non è possibile, quindi ciò che ci dà questa impressione è la tensione faringea che modifica l'anatomia del "tubo" e quindi della colonna d'aria.Dobbiamo ascoltarci esternamente e non "fare" materialmente la pronuncia con muscoli e ossa, ma lasciare che sia la mente a formulare i fonemi, con minime e inavvertiti movimenti delle labbra e di qualche muscolo, solo a scopo di creare la forma corretta. Non dobbiamo presuntuosamente pensare di insegnare a cantare, o, peggio, pronunciare al nostro corpo. Lo sa benissimo, molto meglio di quanto riteniamo. Dunque lasciamo che sia lui a farlo, senza interferire. Leggerezza e rilassamento sono le parole d'ordine.

giovedì, agosto 29, 2024

"Che di’, questa testa?..."

 Molti cantanti, e sopratutto allievi, hanno la tendenza, specie quando si avvicinano alla zona acuta, di piegare la testa. I tenori hanno le tendenza a piegarla all'indietro, quindi come se guardassero in alto, mentre vedo spesso le donne che tendono a piegarla in avanti. E' una questione che in passato veniva affrontata anche in maniera assai discutibile. Forse non tutti sanno che in un tempo nemmeno tanto remoto, inizio 900 e poi 800, alcuni (pessimi) insegnanti facevano uso di alcuni strumenti che potremmo far rientrare tra quelli di tortura (mi pare che siano anche esposti in qualche museo), tipo l'abbassalingua, ma anche uno strano aggeggio simile a un misuratore di altezza che con la sua asticella superiore aveva lo scopo di far abbassare la testa a coloro che avevano la tendenza ad alzarla. Veniva considerato uno strumento per migliorare gli acuti. La situazione paradossale è che quando la media qualitativa del canto era enormemente superiore a quella odierna, c'erano anche situazioni pessime nell'ambito dell'insegnamento. Pensate che parrucchieri, truccatori e altri artigiani teatrali, si improvvisavano maestri di canto perché erano stati a lungo a contatto con grandi cantanti, di cui facevano nomi e cognomi, e con cui avevano instaurato lunghe chiacchierate. Allora ritenevano di aver colto i loro "segreti" e di poterli applicare ai giovani aspiranti cantanti. 

Tornando all'argomento, come ho già scritto in passato e come ho anche descritto nel libro, la fisicità è sempre in agguato e occorre riconoscerla e affrontarla. L'aumento di pressione del fiato quando si va verso gli acuti, porta la colonna d'aria, che istintivamente è piegata a L, seguendo la piegatura del palato, a cercare di raddrizzarsi e puntare verso l'apice della calotta cranica. Questo fatto, che molti insegnanti e trattatisti ritengono positivo, è invece da scongiurare, perché non solo la voce va indietro, ma perde appoggio, in quanto il punto di riflessione sul palato alveolare, dietro ai denti anteriori superiori, diventa un "puntello" della colonna d'aria che in questo modo frenerà la tendenza a sollevarsi. In più, ricordiamo che quel punto è anche fondamentale per l'amplificazione, perché l'osso mandibolare si comporta come il ponticello di uno strumento a corde, cioè trasmette la vibrazione alla parte superiore del cranio, confutando quindi quelle assurde teorie secondo cui per aumentare l'amplificazione occorrerebbe far passare la voce dal palato posteriore, dove invece proprio la sollecitazione a sollevare il velo pendulo impedisce quel transito, senza contare la montagna di effetti secondari sulla qualità della voce. 

Quindi, sollevare la testa, che ha origine, soprattutto nei tenori e ancor più nei contraltini, nel fatto che la laringe è molto alta, e può dare un senso di fastidio all'attaccatura tra collo e mento, può avere ripercussioni negative nel fatto che la colonna d'aria perde il punto di appoggio anteriore e quindi perde squillo e pienezza. Quindi l'insegnante deve sempre insistere affinché la testa stia posizionata normalmente, senza alzarsi o abbassarsi. Nelle donne, che hanno una maggior tendenza a inclicarla in avanti, il difetto può essere indotto dagli insegnanti, che con la storia della maschera, insistono per far "girare" (mio dio) il suono dietro e portarlo poi (sì, bona notte) verso la maschera. Il problema, come dicevo, è che in questo modo si perde appoggio e amplificazione. In entrambi i casi, poi, si perde anche dizione, perché il sistema articolatorio non può più funzionare correttamente. Quindi rispondiamo alla domanda del titolo come fa Rigoletto: "è ben naturale che far di tal testa": tenetela "normale", guardate in avanti. Se l'allievo prova fastidio nella posizione alta della laringe, deve solo rilassare.

lunedì, agosto 12, 2024

Uomo o animale?

 Si può cantare in quanto animali, certamente con un buon grado evolutivo, oppure come uomini dotati di un più o meno ampio bagaglio spirituale. La maggior parte dei cantanti odierni e della maggior parte degli insegnanti di canto, perlomeno per quanto osservo, si riferisce al primo modo, cioè considerando gli apparati così come sono in natura. Ma questo non può diventare un canto d'arte, nemmeno se il soggetto è un fenomeno privilegiato. Mi si fa notare che un tenore abbastanza celebre posta spesso dei brevi video in cui propone un suo metodo, che purtroppo è zeppo di errori molto gravi. Lui considera la laringe una valvola, e ha perfettamente ragione (purtroppo tantissimi insegnanti questo non lo sanno e non lo considerano), peccato però che il suo uso in questo modo sia antivocale. Se si vuol fare un canto di qualità, noi dobbiamo far superare alla laringe questa condizione esistenziale e farla diventare, mi pare ovvio, uno strumento musicale. Nel momento in cui assolve la funzione valvolare, si crea un blocco, ovvero un'apnea, come si può facilmente notare dal video. Altro errore: lui dice che le vocali si formano nella laringe. Per dimostrarlo mostra un breve spezzone video della Olivero che chiude una frase della traviata. Intanto farei notare che la voce della Olivero è cinque o sei milioni di anni luce più avanti della sua, il che già la dice lunga. Secondo lui il fatto che la Olivero non modifichi in modo evidente la forma delle labbra è un segno che la vocale viene fatta con la laringe. Allora, mi piacerebbe vedere lui eseguire tutte le vocali correttamente senza muovere le labbra. E' vero che ci sono persone che riescono a parlare muovendo quasi indistintamente le labbra, ma è il faringe, grazie alla sua elasticità e plasticità che riesce nell'intento, per quanto assolutamente non adeguato a un canto, nemmeno di bassa qualità. La laringe può solo emettere suoni "anonimi", cioè privi di una qualificazione semantica. Oltre ai ventricoli del Morgagni, è poi il tratto compreso tra le false corde e il velopendulo che origina un COLORE, chiaro o scuro o variamente sfumato, in base alle esigenze foniche. Dopodiché tutto il complesso apparato articolatorio, composto da lingua, labbra, velopendulo, faringe, mandibola, cioè tutto l'insieme mobile della cavità orale, modellerà la risonanza e produrrà i fonemi. Non entro nei particolari, comunque la sostanza è questa, e pensare che le corde vocali e la laringe abbiano a che fare con la pronuncia, è pura follia. Noi parliamo e siamo in grado di pronunciare con varie gradazioni qualitative fondamentalmente grazie alla nostra spiritualità, che ci ha donato l'uso della parola e che è entrata, ad un livello modesto, nella nostra natura. Ad un basso livello perché richiede energia, e quindi, facendone un uso molto intenso, sarebbe folle consumare molto. Il canto artistico, essendo di utilità specifica nei momenti in cui si utilizza per scopi superiori, può anche consumare più energia, però occorre una lunga disciplina per far sì che il corpo si metta nella condizione di sostenere questo lavoro, alla cui base deve esserci una forte esigenza che posso definire esistenziale, cioè talmente potente da convincere la mente ad accettarlo. Non si tratta di una esigenza di volontà, ma interiore, cioè che proviene dalla Conoscenza stessa che ha riconosciuto in un essere umano la forma e le condizioni per poter raggiungere quello straordinario risultato conoscitivo. Per concludere il commento sui video di cui sopra, aggiungo che questo cantante dice, alla fine, che si canta "sul fiato" e non "col fiato". A parte che si deve per forza cantare col fiato, se no la voce non potrebbe prodursi, è lapalissiano, ma il problema grave del suo metodo è che la voce non è per niente sul fiato (è palesemente ingolata), ma poggia propriamente dove lui indirizza tutto, cioè sulla laringe. Altro che diaframma (che tra l'altro non si capisce esattamente dove sarebbe, secondo lui, così come non si capisce bene dove starebbe il fiato). 

lunedì, agosto 05, 2024

Parola d'arte

 L'umanità ha potuto avvalersi di un raro dono da parte dello spirito: la parola. Un dono che a buon diritto possiamo chiamare artistico. Toccò in sorte molto probabilmente solo a una quantità ristretta di ominidi, che però grazie a questa dote ebbero la meglio su altre specie, che si estinsero, mentre sempre più esemplari nascevano con questa abilità, che si fissò definivamente nel DNA. La parola, che si realtzzò solo a seguito della postura su due gambe e sulla modificazione rilevante del cranio e degli apparati respiratorio e digerente con la discesa della laringe sopra la trachea (precedentemente, come nei neonati, si trovava nella zona del velopendulo), è una particolare qualificazione non del suono prodotto dalle corde vocali, ma della risonanza, cioè dell'eco del suono negli spazi oro-faringei. Qualcuno la definisce una materializzazione del pensiero, ma non mi trova molto d'accordo. Non c'è, infatti, alcunché di materiale. Il pensiero plasma, modella in modo incorporeo; ci sono appena piccoli movimenti anatomici per incanalare e dare la giusta forma alla cavità che dovrà fornire la risonanza adatta a quanto si vuole dire. 

Dunque l'uomo conserva in sé il dono artistico della parola, passando così nel regno della Natura. L'attributo artistico si riconosce nell'unitarietà che si realizza tra fiato, laringe e apparato articolatorio-amplificante. Peraltro, ovviamente, tale prerogativa diffusa su tutta l'umanità, non poteva non avere dei limiti, anche notevoli, per cui si è attestata su una intensità e una estensione legata alle necessità, piuttosto modeste, anche se, in quanto espressione d'arte, in rari casi può manifestarsi a livelli molto elevati, che però il soggetto può perdere se non lo porta a coscienza. 

La parola posso definirla come uno "stargate", cioè un portale che può farci transitare verso il regno della completa vocalità canora. Essendo essa un attributo artistico, ci mostra la strada, le condizioni per far diventare espressione artistica tutta la voce soggettivamente presente in ciascuno di noi. Grazie alla parola già in nostro possesso, esercitandola affinché dia sempre il meglio di sé su ogni semitono, genererà la respirazione idonea a sostenerla per tutta la gamma. Naturalmente sotto la guida di un maestro che sappia riconoscere il più piccolo errore, la più lieve carenza e rimettere l'allievo sui giusti binari e sensibilizzarne l'udito affinché la sua coscienza si arricchisca