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mercoledì, gennaio 26, 2022

Scuole filosofico-spirituali

 Oggi chi studia musica, ovvero uno strumento, compreso il canto, è orientato a fare ripetutamente esercizi meccanici, come un allenamento sportivo, eventualmente studiare il funzionamento dello strumento (compresi gli apparati fisio-anatomici), studiare trattati di varie epoche e metodi. Cosa c'è in tutta questa didattica di filosofico? Direi niente; non ricordo di aver conosciuto nessuno studente di un qualsivoglia strumento che abbia detto di aver approfondito, nel corso di studi, anche un percorso filosofico e quindi spirituale. Ci sono motivi perché questo non avvenga. La filosofia viene studiata nei licei in senso storico, un po' distaccato, per lo meno così a me pare, da aspetti di vita reale. In effetti quando parlo di "filosofia" non parlo di una materia di studio, una panoramica storica su tutti i grandi pensatori della specie umana che hanno lasciato importanti tracce di un elemento fondamentale e specifico dell'uomo, cioè la Conoscenza. Approcciarsi all'arte non può (NON PUO') prescindere dalla spiritualità, e quindi da ogni campo che ne sondi ogni aspetto, che si chiama propriamente gnoseologia, ma che per semplicità definiamo filosofia. Le scuole a cui faccio maggior riferimento, cioè il canto e la musica con particolare riferimento alla direzione d'orchestra, e specificamente quelle che discendono dal m° Mario Antonietti e Sergiu Celibidache, sono massicciamente permeate dalla filosofia, intendendo non astratte riflessioni e citazioni dei celebri nomi, ma applicazioni e riferimenti alla realtà. Se non si ammette e si prende atto con piena coscienza che il canto, come qualunque serio studio della musica, è un'arte, e non può quindi prescindere da un'analisi filosofica, che ne sta alla base, non si può pensare di raggiungere alcun obiettivo di verità, di perfezione, quindi di arte. Se si parte con la concezione di una materia prettamente di studio morfologico, di regole, di esercizi ripetuti e basati su metodi e trattati che si fondino su aspetti fisico-fisiologico-anatomici, si dovrebbe anche sapere che ci indirizza verso una materia distaccata dal centro creativo dell'uomo, che è poi la fonte della passione e della pulsione che ci ha portati ad abbracciare questa strada. Negheremmo, quindi, la fonte stessa del motivo per cui studiamo canto o musica. 

Ma questo cosa vuol dire in sostanza?

Colui che si avvicina convintamente a una scuola di questo genere, dovrebbe rendersi conto che non potrà accontentarsi dell'aspetto morfologico, fisico, metodologico, "sportivo". C'è un universo dietro il mondo della vocalità ridotta a "suoni", ed è proprio in quell'universo che i due protagonisti maggiori, Antonietti e Celibidache, hanno trovato le basi, i fondamenti, i principi dei rispettivi magisteri didattici che li hanno caratterizzati. In cosa si caratterizza dunque il rapporto tra un insegnante di queste scuole e chi vi si rivolge? In primo luogo dalle domande. Domande che dovrebbero partire dai discenti, ma in mancanza di ciò dovrebbero partire dall'insegnante, che però possono diventare imbarazzanti e problematiche. Ma il fatto è che un allievo in una scuola di questo tipo, di fatto dovrebbe essere conscio di volere riconoscere la verità che qui può trovare svelamento, quindi non può ridursi alla "lezioncina" e a qualche esercizietto casalingo, ma vuol dire un impegno costante e pienamente coinvolto, cioè che si apre alla intera esistenza, alla Storia, ai grandi "perché" della vita, propria e altrui. Può sembrare assurdo che dallo studio del canto o della musica in genere, possano derivare riflessioni e sostanziali discorsi riguardanti le motivazioni per cui siamo qui e cosa ci stiamo a fare. Ma questa è la tematica fondamentale di qualunque arte, che oggi chiamiamo in questo modo riduttivo, almeno nell'immaginario collettivo, che si restringe a manifestazioni esteriori e non si rende conto che queste non possono non avere un retroterra fondamentalmente di profondo pensiero. I grandi periodi storici di massima espressione artistica, cioè un lungo periodo della civiltà greca, e un più breve periodo durante il Rinascimento, hanno coinciso con unità di varie espressioni artistiche tra cui dobbiamo includere anche la filosofia, e dobbiamo affermare con sicurezza che è stato grazie a quest'ultima se si sono potuti raggiungere i risultati che tutti conoscono.

Naturalmente non si può obbligare nessuno a entrare nell'ambito filosofico se non se ne sente attratto o si sente in difficoltà ad approfondire questo tema. La scuola funziona ugualmente, però deve sapere che è vivere l'esperienza in una percentuale piuttosto esigua rispetto alla sua potenzialità reale. 

lunedì, gennaio 24, 2022

La pronuncia immaginaria

 La nostra mente, organo fondamentalmente fisico e teso a controllare e coordinare i movimenti del corpo, quando non parliamo normalmente ma intendiamo pronunciare qualche sillaba o vocale, ci guida a produrle mediante movimenti muscolari e quindi isolandole da quell'unità fiato-laringe-articolazione che si attiva durante il normale eloquio, che è SENSORIALE, cioè non dipende dalla mente volitiva, ma da quella istintiva. La mente razionale è in grado di farci parlare, ma non con la scorrevolezza e la facilità di quella istintiva, in quanto non riesce a mettere in sintonia i tre apparati. Ecco perché il compito di una grande scuola di canto artistico è quello di far diventare senso anche la produzione del parlato lontano dalla sua sede naturale (cioè dalla zona tonale in cui avviene normalmente) e nella produzione melodica o musicale del parlato, ovvero nel canto. Quando si cerca cantare emettendo vocali o sillabe o parole o frasi, subentra la mente a guidarci e quindi si spezza -o, per meglio dire, non si attiva per niente, l'unità degli apparati, per cui qualunque vocale o sillaba o parola noi cerchiamo di dire, lo facciamo meccanicamente, muscolarmente, separando l'articolazione dal suo "motore", il fiato, e dal suo organo produttore, la laringe. I tre apparati si muovono in modo scoordinato, non sapendo esattamente cosa stanno facendo, perché la "centralina" non è programmata per quel compito. Allora ci troviamo in una situazione di disorientamento, dove ogni consiglio può aiutare ma anche peggiorare la situazione. Se infatti io peroro la maggior cura della pronuncia, da un lato tendo al perfezionamento di quelle vocali o sillabe o parole, ma stimolo anche un maggior intervento muscolare, fisico. E infatti gli allievi esagerano con le "smorfie", e spingono e schiacciano facilmente ritenendo di migliorare, ma questo avviene solo in parte, e non necessariamente la parte migliore. Come ho già scritto diverse volte, la pronuncia è "immaginaria", cioè non la dobbiamo "fare", ma dobbiamo lasciare che si manifesti, noi la dobbiamo soltanto ascoltare. Quindi nessuna "boccaccia", nessun intervento interno agli spazi oro-faringei, ma solo rilassamento e ascolto, mettendosi in quella condizione passiva che ci fa credere che non riusciremo a fare niente. La nostra mente è incredula di fronte al fatto di non fare niente quando noi invece vogliamo fare, ma questo è proprio il compito dei sensi, che lavorano in assenza di una volontà attiva. Per l'appunto il parlato si comporta come il camminare, l'ascoltare, il fiutare, il degustare, cioè azioni passive, che svolgiamo continuamente senza il minimo impulso della volontà. Ho messo in elenco il camminare, in quanto si potrebbe pensare che gli organi di senso sono solo quelli inarticolati, come l'odorato o il tatto, ma in realtà già l'udito si basa su un'articolazione (martello-incudine-staffa) del tutto involontaria, come del resto avviene nella laringe. Oggi si studia l'apparato vocale nei minimi particolari come se questo avesse qualcosa a che fare con un qualsivoglia miglioramento nel canto stesso! Purtroppo il più delle volte quello porta a peggioramento, perché il pensare di agire sugli apparati toglie la fluidità e la spontaneità che consente l'unità. Quindi di fatto rompiamo l'unità. Solo quando avremo imparato ad ascoltare la nostra voce nello spazio esterno senza intervenire fisicamente, ma lasciando che ogni nostra emissione si produca liberamente, potremo raffinare e perfezionare definitivamente ogni vocale in modo da stimolare il fiato ad alimentarle perfettamente, cioè avremo creato l'esigenza respiratoria e di conseguenza avremo innescato quell'evoluzione che ci potrà portare alla completa artisticità, verità, del nostro gesto. Purtroppo mi rendo sempre più conto che questo stato di cose è davvero per pochi; non lo dico per snobismo, ci mancherebbe, io vorrei davvero che tutti ci arrivassero, ma da un lato c'è l'impazienza, da un lato il menefreghismo, più o meno volontario, di chi è più guidato dal proprio ego che dalla propria passione, ma dall'altro ancora ci sta il limite di chi non possiede l'umiltà e la vera capacità analitica e l'infinita pazienza di studiare con la finalità che ho poc'anzi esposto. E comprendo che chi vuole cantare, chi ha proprio il piacere e la voglia di cantare, non possa sopportare a lungo, se non lunghissimo, di continuare a sentirsi dire dei NO ogni volta che apre bocca. Allora si lascia fare, ci si accontenta. Chissà.

martedì, gennaio 11, 2022

Non scegliere

 Il nostro ego ci illude che possiamo essere artefici della nostra voce, cioè che possiamo scegliere la voce da emettere. Quante voci possediamo? infinite, è vero, ci sono una miriade di aspetti, fisici, psicologici, ambientali, che intervengono e possono intervenire a modificare i parametri che stanno alla base della fonazione, ma esisterà sempre e solo UNA voce "hic et nunc" che possiamo definire vera, sincera, libera, incondizionata. Non può essere scelta, perché la stessa illusione o volontà di poterla scegliere comporterà l'impossibilità di realizzarla. E' il concetto di libertà che impedisce la scelta. Se è libera, vuol dire che deve e può realizzarsi da sé, senza interventi o condizioni di alcun tipo. Si potrebbe dunque pensare che questa sia una voce "naturale"? La voce naturale è senz'altro una voce libera, che non viene scelta, ma è circoscritta al ruolo che la Natura le ha riservato all'interno dell'ecosistema. Ma all'uomo non basta questo ruolo, ha voluto trascenderlo, andare oltre (anche questa non è stata una scelta, è stata la sua natura umana, la spinta della sua spiritualità, della sua scintilla divina a guidarlo a questo passo), dunque la voce naturale non può accontentare il suo desiderio di perfezione, cioè di raggiungere quel grado di libertà che possa spingersi fino al "non oltre" fisico. Ma non appena si prova a superare quel grado di libertà della nostra voce naturale, ecco che la natura stessa che è noi, che possiamo definire istinto (perché è l'istinto che guida la specie animale) si mette di traverso, perché ci permettiamo di voler trasgredire le sue regole e i suoi cardini. Questa ambizione è anche arroganza, superbia, presunzione, e ciò non ci può guidare nella giusta direzione. Allora si può parlare di una SuperNatura, cioè di un sentiero che non trasgredisce le regole, non cozza contro ciò che possediamo, non si arroga un potere, un dominio con la forza, con una volontà predominante, ma segue umilmente e sostiene il faticoso impegno di guadagnare punto a punto - meritandoselo - il progresso che ci viene donato. Dobbiamo partire da ciò che la Natura ci ha elargito, più o meno generosamente, non discostarci nel corso dello studio, ma confrontarci continuamente con essa. Ogniqualvolta noi trasformiamo ciò che possediamo, cioè la parola, tanto nell'eloquio corrente quanto nell'espressione melodica, in qualcosa di diverso, cioè in suono anonimo (che definiremo voce cantata, voce lirica, voce impostata o mille altre accezioni) noi già abbiamo tradito, abbiamo "deragliato", non possiamo puntare all'obiettivo di trasformare in "senso" la voce cantata quale massima espressione musicale dell'uomo. Ma l'ipotesi di questa superba meta ci ottenebra lo spirito, ci spinge a volerla conquistare con ogni mezzo, si diventa avidi, ingordi, bramosi di "dimostrare" qualcosa... e naturalmente tutto ciò ci fa perdere la bussola e andare completamente fuori strada. Non scegliamo la nostra voce. Lasciamo che essa si liberi mantenendo la piena coscienza della semplice recitazione. E' mantenendo la naturalezza in ogni piccolo passo che cerchiamo di compiere, che si determinerà la conquista. Ogni artificio, ogni trucco, ogni arma che noi mettiamo in campo ci porterà un danno. Quale più straordinaria voce potrà scaturire da una liberazione di essa, come se fosse, come è, una componente animica (propria dell'anima) del nostro corpo, dotata di una energia, una bellezza (e quindi verità) che nessuno può immaginarsi.

La domanda legittima che si può porre è: ma allora tutte quelle voci che sono in grado di emettere volontariamente (scura, chiara, ruvida, dolce, ecc.), dovrei dimenticarle? Non sono funzionali a certi caratteri, certi contesti, cioè non sono necessari per eseguire correttamente determinate situazioni che si ritrovano nell'opera o in brani da cantare? Certo che sì. Allora spiegherò meglio. Dobbiamo partire da un dato, cioè che noi possiamo liberare UNA voce, propria di un soggetto. Il canto, basato su un testo, include determinati caratteri e contesti. Se nella vita reale io mi arrabbio, oppure devo consolare una persona, o devo parlare affettivamente, ecc. ecc., NON SCELGO la voce da usare! Sarà la natura a far sì che quelle parole siano pronunciate con una voce adeguata, che raggiunga le "corde" affettive dell'altra persona e incida sulla sua sensibilità. Certo che posso imitare e falsificare quel certo tipo di voce, e sarò un guitto, un attorucolo o cantantucolo. Se sono un artista, non avrò alcun bisogno di falsificare o cercare il colore o carattere da impiegare, perché sarà il contesto testuale a far sì che si determinino i giusti caratteri vocali collegati. Come ho scritto più sopra, la voce è "hic et nunc", cioè "qui e ora", vale a dire che non esiste la voce assoluta e monocromatica; la voce "vera" si adatterà in base al nostro stato d'animo, ma non sarà una scelta, ma una determinazione complessiva (olistica) della mia natura umana (cioè natura più spiritualità).

Sempre naturalmente, siamo uomini, e come tali siamo legati a tutte quelle brame che ci impediscono di scegliere la semplicità, la bellezza, la purezza, la serenità, la calma, e dunque impediscono alle nostre attitudini più straordinarie, di manifestarsi pienamente e liberamente, perché, quando ci accorgiamo di possederle, le vogliamo estrarre subito, con forza, con violenza, perché le vogliamo possedere, le vogliamo dominare, vogliamo farne strumento di sfoggio, di apparenza, di narcisismo per i nostri desideri più materiali e mondani. La voce, come ogni altra arte, se così la vogliamo trattare, deve servire agli altri. Dobbiamo donarla, metterla a disposizione affinché le persone possano percepire e vivere le qualità che sono in loro.

sabato, gennaio 01, 2022

Il raggio laser

 Ho sempre invitato allievi e simpatizzanti che leggono questo blog, a TOGLIERE, ad ASSOTTIGLIARE, ad ALLEGGERIRE, e ogni altra incitazione diminuente. Per contro a NON SPINGERE, non PREMERE, non COSTRUIRE, non FORZARE e ogni altro "NON" legato ad azioni volontarie. Il sunto è: lasciare che la voce esca senza alcun nostro contributo attivo. Il nostro corpo è in grado di far scaturire un suono bello, pieno, sonoro, ampio, ricco senza che noi interveniamo, anzi proprio nel momento in cui noi NON facciamo niente per farlo. E' un concetto di disarmante semplicità, ignoto alla nostra mente, perché troppo facile, eppure è ciò che facciamo regolarmente quando parliamo, quando camminiamo, e facciamo molte altre cose spontaneamente, senza pensare. Ed ecco quindi anche il mio suggerimento a NON PENSARE. Purtroppo questo è il contrario di ciò che dicono tutti gli insegnanti, e spesso anche a me talvolta viene da dire: "pensa...". Ma quando me ne accorgo mi correggo, e subito riparo, NON PENSARE, lascia che la voce "si canti" da sé. Ma questo non basta, non basta mai. E' impossibile sradicare questa forza dalla nostra volontà, visto che è sostenuta implacabilmente dal nostro istinto e dal nostro ego. E' solo con l'insistenza e l'esempio adeguato che man mano ci si può avvicinare, e poi con il costante impegno a prendere coscienza. In ogni modo provo in tutti i modi a dare contributi che possano aiutare in questo avvicinamento. 

Il fatto di perorare la causa della voce fuori, comprendo che può indurre l'allievo a premere e spingere, credendo che bisogna far ciò per ottenere quel risultato, mentre è esattamente l'opposto. Ma c'è anche il discorso delle proporzioni e della quantità. La quantità è sempre opposta alla qualità. Ritenere di dover far uscire tanta voce (e magari grande) non può che peggiorare la situazione. Ciò che serve è una quantità minimale di voce, che abbia però caratteristiche tali da potersi espandere, anche in quantità, nello spazio esterno. Cercavo qualche analogia, un filo di seta, forse, ma è sempre qualcosa di fisico e materiale, per quanto delicato e sottile. Alla fine ciò che può rappresentare al meglio questo percorso è un raggio laser (innocuo), cioè un microscopico filamento luminoso, quindi senza materia, pura luce, qualcosa che non può essere governato dai muscoli, che scorre senza coinvolgere i muscoli o gli apparati, del tutto autonomo. 

Quindi dobbiamo giungere a una dematerializzazione del flusso vocale, arrivare pressoché a perdere la percezione della voce (propriocezione), al massimo sentire uno sfioramento del palato. Questo "raggio laser" percorre dalla trachea fino al palato alveolare ed esce libero quasi bucando l'osso mandibolare, senza per questo subire alcun rallentamento o freno. E questo micro raggio, una volta all'aperto si apre come un fiore, che può assumere anche dimensioni ragguardevoli, ma solo in virtù di qualità endogene, non per spinte o pressioni indotte dalla nostra volontà. Questo livello elevato, potrebbe presentarsi anche naturalmente in qualche raro soggetto, ma le possibilità che restino in un cantante per molto tempo sono assai remote. In arte ciò che vogliamo (o vorremmo) che risultasse radicato in noi, necessita di essere vissuto con piena coscienza. Questa è la vera difficoltà. 

Alla base c'è il sospiro. Quando si vuol emettere un suono, c'è sempre la volontà di dovergli infondere energia per farlo uscire ma soprattutto per fornirgli potenza, grandezza, forza, timbro, ecc. Non siamo pronti ad accettare che possa uscire pressoché da solo con tutte le caratteristiche utili allo scopo. Ma sarebbe anche logico quando si è iniziato da poco lo studio, però non impossibile. Partiamo dal constatare che il parlare in genere non ci costa alcuna fatica, consuma solo fiato e nemmeno tanto. Cantare può raggiungere la stessa condizione, anzi, potenzialmente lo è fin dal primo momento. L'unico problema è che c'è un cambio di condizioni, cioè non ci appartiene più nel mondo dell'incoscienza, sentiamo la necessità di sapere come fare a cantare, non lo sentiamo procedere autonomamente, o per lo meno non pensiamo che possa succedere. Questo stato di inconsapevolezza ci rende se non incapaci non del tutto capaci, e quindi ci affidiamo alle nostre ragioni fisiche per sopperire, e queste causano i guai. Se riuscissimo a cantare senza pensiero, senza paure, senza volere fare chissà che, avremmo quello che si può definire un canto "naturale", che volendo è già un buon risultato. Il problema che si pone è, anzi sono, le spinte, le reazioni istintive endogene. Ecco dunque che non si può fare a meno di una disciplina che porti il parlato-intonato a un livello superiore. Non mi dilungo ulteriormente, rientrando l'argomento in tesi già ampiamente esposte e ampiamente presenti nel blog.