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martedì, febbraio 21, 2023

La forza vitale

 Da un interessante breve documentario, apprendo che il celebre fisico Tesla, da un lato, e il grande antroposofo Rudolf Steiner dall'altro, sono arrivati a una medesima conclusione, e cioè che la scienza non ha compreso che l'energia non è solo quella elettromagnetica che prende normalmente in considerazione, ma esiste una energia più "sottile" a cui è stato dato il nome di forza vitale. La questione è un po' la stessa che riguarda materia e spirito, infatti di queste energie si sono occupati e si occupano tutt'ora, le filosofie (pratiche) orientali. Si pensi ad esempio all'agopuntura e alla digitopressione, ma anche più semplicemente alle discipline respiratorie contenute nelle pratiche di tutte le varie scienze tipo Yoga. In un certo senso posso dire che la nostra scuola di canto può raggiungere esiti simili, cioè "togliendo", raffinando, purificando, dematerializzando, possiamo conquistare quella condizione eterica per cui la voce può correre, espandersi, penetrare in ogni anfratto e anche nell'anima delle persone, e non accontentarsi di percuotere solo fisicamente i sensi. Consideriamo che come le onde elettromagnetiche, anche i suoni sono vibrazione, dunque sono fisici, materiali; tutto ciò che è fisico, incontrando altra materia, incontra opposizione, resistenza e quindi interferenza e problemi, dove uno dei due oggetti, voce e ostacolo, o entrambi, ne subiranno delle conseguenze. La voce, pur essendo in origine suono, può aspirare a una dimensione di energia eterica, dunque pressoché priva di materialità, quindi che penetra, attraversa la materia senza interferenze, senza resistenza, dunque non perdendo le caratteristiche potenziali e non creando problemi in ciò che incontra. Questo a cominciare dalla fonte emittente, cioè dagli apparati stessi del corpo. "Togliere" e "liberare" sono le due parole chiave che utilizzo maggiormente nell'insegnamento; saranno banali e forse anche scontate, ma ci sono i criteri e i fondamenti per poterne dare concreta realizzazione. La voce artistica, cioè svincolata, proiettata realmente nello spazio senza interferenze fisiche, cioè senza resistenze, ostacoli, opposizioni da parte del corpo, assume all'ascolto caratteristiche fantastiche, di pura energia, che lascia attoniti per la purezza, la ricchezza, la pienezza, l'omogeneità e la verità che promana. La straordinarietà è che chi canta con questa libertà, quasi non si accorge di cantare, talmente la voce procede nello spazio quasi indipendentemente, con un distacco e una autonomia da sembrare magici, impalpabili. Però quel "togliere", quel quasi non far niente, ai cantanti non sempre piace, e risulta una condizione che non è immaginabile e che a molti può parere una mancanza di impegno e di partecipazione. In realtà l'impegno c'è e pure la partecipazione, ma non sono fisici, non sono corporei, e in un certo senso neppure mentali, esclusa la concentrazione, perché è un impegno più profondo, che quasi non si avverte al livello sensoriale più superficiale. Però è un risultato che richiede tempo e che, ripeto, non tutti sono disposti ad accettare.

giovedì, febbraio 09, 2023

La conquista della libertà

 Leggevo poco fa un post su un "social" dove si diceva: "l'arte è la scienza della libertà, ecco perché siamo tutti artisti". Costui intenderebbe dire che siamo tutti liberi? Mi pare sia un grande sogno e che l'umanità in genere sia molto ma molto lontana da un ideale di libertà! Siamo, a mio parere, schiavi di abitudini (pensiamo solo alla dipendenza dall'orologio e dal cellulare!), di plagi, di convenzioni, e purtroppo anche del potere di alcuni. Posso dire che la frase è condivisibile, dal punto di vista potenziale. Tutti "possiamo" essere liberi, perché in noi c'è l'anelito alla libertà, e ci sono le possibilità di conquistarla. La Storia è piena di grandi uomini che hanno lottato e si sono dedicati strenuamente non solo a conquistare la libertà, ma anche a diffondere strumenti affinché altre persone possano rendersi liberi. Le vie possibili sono tante, ma il tratto distintivo è quello dell'arte. Quando si parla di arte c'è la tendenza, avvalorata da definizioni e indicazioni culturali non proprio corrette, di pensare alla pittura e scultura, poi alla musica, alla letteratura e a poco altro. Per contro c'è una diffusa tendenza a dichiare artistico ogni esibizione originale e fuori dagli schemi tradizionali. Anche questo è un sistema erroneo per confondere le acque e far passare per valido anche ciò che non ha alcun valore, e questo purtroppo è l'arma più affilata dell'ego. Convengo che l'arte sia conquistabile pressoché da chiunque, e possa riguardare qualsiasi attività umana, ma quella conquista è possibile solo da pochissimi, perché richiede un percorso di conseguimento di enorme difficoltà, che necessita quindi di uno spirito di sacrificio non comune, e quindi di un'esigenza di conquista straordinaria. Il canto, già a partire dalla vocalità, possiede questa possibilità in nuce, ma colgo sempre più essere un miraggio che una concreta possibilità, non perché le persone si sottraggano all'impegno necessario, ma perché è carente il "fuoco" interiore che spinge a superare qualsiasi ostacolo pur di raggiungere la meta. Però non so quanto questo sia un "peccato", o piuttosto una opportunità, perché solo in rari casi l'arte conquistata si dimostra realmente illuminante e gioiosa come è comunemente inteso. L'uomo è sempre più preda dei vizi, abitudini, modi di vivere di una società malata, la quale però ci mostra, accanto ai suoi peggiori effetti, gli aspetti più confortanti (che possiamo sintetizzare con: la vita comoda - mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione e diffusione, abitazioni e edifici di ogni genere, elettrodomestici e strumenti di lavoro meccanici, ecc.) che ci spingono verso una bambagia in cui crogiolarsi e a cui non riusciamo a rinunciare. (si veda il fatto che oggigiorno non vediamo più cortei, manifestazioni, proteste, rivoluzioni come un tempo contro ingiustizie e provvedimenti antidemocratici). In realtà non è che dobbiamo rinunciare realmente, ma è come se lo dovessimo fare, cioè dobbiamo eliminare quell'attaccamento a valori materiali e di possesso che ci rendono schiavi. Liberati dall'ego e dai legami delle abitudini, ecco che deve iniziare la disciplina per arrivare all'arte che ci è congeniale, che a questo punto diventa possibile, ma che è lunga e ci impone altre rinunce e fatiche, più mentali, psicologiche, che altro, che sono per lo più a "togliere", cioè a semplificare, ad alleggerire e a scoprire che il contrario. Quando si enuncia questo programma, tanti si entusiasmano, pensando di avere la forza e le caratteristiche per vincere, e si sentono già vincitori. Ma la realtà è ben altra e diversa e a volte la rinuncia arriva presto, oppure una continua attività che però non raggiunge mai l'obiettivo perché realmente manca un'accettazione sincera di quel traguardo, intuendo che non è propriamente ciò che ci si aspettava e che ci si illudeva di trovare.

La frase è di ASO Joseph Beuys, e l'ho trovata in questa pagina: https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/la-lezione-di-joseph-beuys-arte-scienza-della-liberta. Ci sono riflessioni sicuramente di un certo interesse, che quindi invito a leggere ed approfondire. 

mercoledì, febbraio 01, 2023

Significante, significato E vibrazione

 Succede che una persona parla, dice cose, ma noi non ascoltiamo realmente ciò che dice. E' una cosa che capita spesso. Andiamo a una conferenza, all'inizio il relatore ci "prende", ma pian piano ci distraiamo, cominciamo a pensare a cose nostre e non sentiamo più ciò che dice. Eppure lui parla, emette fonemi. Quindi manteniamo la capacità percettiva, ma perdiamo la coscienza percettiva, perché distratti dai pensieri (dualità). Questo può persino accadare quando siamo in due, uno parla e uno... NON ascolta. I nostri pensieri possono toglierci la coscienza percettiva persino in un colloquio uno a uno. Cosa ci arriva? Il significante, cioè le parole, ma perdiamo la capacità di cogliere il significato (anche se nel subcosciente è possibile che qualcosa arrivi ugualmente). Se la persona, magari accorgendosene, cominciasse a dire cose strane, di poco senso, forse non ce ne accorgeremmo, o perlomeno non subito. Se invece la persona cominciasse a parlare in un'altra lingua, o produrre suoni privi di senso, ce ne accorgeremmo, perché noi conserviamo la coscienza del significante, cioè finché la persona di fronte a noi dice cose che rientrano nel nostro codice, noi la sentiamo passivamente, anche se non raccogliamo i significati; se cambia il linguaggio, allora ci risvegliamo e ci accorgiamo anche che non stavamo ascoltando. Quindi i primi due livelli sono significante, codice, e significato, coscienza di ciò che ci viene detto, che comprendiamo. Finisce qui? No. Ciò che ci viene detto e che comprendiamo perché condiviamo un codice comune, non è detto che penetri in noi, ovvero che MUOVA la nostra coscienza. Non basta che noi prendiamo atto di ciò che ascoltiamo, ma è importante che i contenuti producano in noi movimenti della coscienza, che, detto in parole povere, chiamiamo emozioni (E-MOVEO = muovere fuori). La maggior parte delle cose che diciamo durante il giorno, possiamo dire siano neutre; parliamo del tempo, ci lamentiamo degli accadimenti socio-politici. Capita però che qualcuno ci parli magari delle condizioni di salute di un amico o un parente, o ci dia informazioni di qualche accadimento o di qualche previsione che ci colpisce (un forte aumento dei prezzi, ad es.) e ci fa provare qualcosa di spiacevole oppure di piacevole (la persona guarita, un aumento di stipendio...). Quando una persona ci dice qualcosa di molto forte, non nel senso dell'intensità fonica, ma del significato, possiamo dire che aggiunge un elemento ai due precedenti, e cioè una vibrazione specifica. Sappiamo che il suono è vibrazione, ma potremmo dire essere una vibrazione "anonima", cioè che ha esclusivamente un carattere fisico, ovvero è quella condizione esistenziale per cui un fenomeno può essere comunicato, può passare da un essere a un altro essere. In sè non c'è nessuna conoscenza e nessuna qualità specifica, può essere alto basso, forte, piano, ecc. ma non ci dà alcuna informazione. Se però i suoni vengono mossi, cioè si passa da una frequenza ad un'altra, ecco che già la coscienza si mette in attenzione e può cogliere dei significati. Potremmo definirlo un "codice macchina"; come saprete, un computer funziona, a livello base, semplicemente con segnali "acceso-spento", o "aperto-chiuso", che è il codice binario (0-1). Tutto ciò che noi vediamo o digitiamo su un computer, deriva o viene tradotto da una sequenza lunghissima di 0 e 1. Per arrivare a dialogare a un livello che sia facilmente accessibile da tutti, occorrono una serie di "interfacce", cioè traduttori, che passino dal codice binario a codici più elaborati, fino allo schermo con parole, icone, video, ecc. Tutti questi passaggi richiedono un lavoro, che causa rallentamenti. Per questo nel tempo sono stati necessari sempre più potenziamenti delle macchine, capacità mnemoniche, materiali "superveloci" che supportino quel lavoro. Anche la nostra mente e il nostro corpo possiedono un codice base, fatto di impulsi elettrici, nervosi, che trasportano informazioni e interagiscono tra di loro. La enorme differenza tra il lavoro di un pc e il nostro corpo-mente, sta nel fatto che il pc è "asettico", privo di coinvolgimenti, mentre il nostro codice è esattamente il contrario, cioè è quello che ci fa provare sentimenti e reazioni. Possiamo dire che il pc non coglie quella vibrazione complessiva che denota comunicazioni più profonde e complesse. Se io scrivo "amore" su un pc, sarà sempre una sequenza di caratteri, non sarà mai colta nella sua interezza di parola con una carica sentimentale, significato, ovvero resterà sempre al suo livello di significante, non solo, ma non potrà mai cogliere il contesto, quindi non solo cogliere il significato, ma anche se insieme alla parola giunge anche la vibrazione, cioè diciamo la passione, l'intenzione, proveniente dalla coscienza di colui o colei che pronuncia quella parola. Un bravo attore che recita, sa bene tutto ciò, quindi nel suo lavoro sa porre in giusto risalto e all'interno del giusto contesto le parole e le frasi, e riesce a far provare agli spettatori le stesse sensazioni che si potrebbero provare se quella scena fosse reale. In campo operistico, c'è un elemento intermedio tra il testo e l'attore (che più comunemente chiamiamo cantante, ma si tratta sempre di un attore, con una caratteristica in più), cioè il musicista, che inserisce un valore musicale-espressivo alla recitazione, cioè assume il ruolo della recitazione al posto dell'attore. Il problema che nasce molto spesso (molto molto spesso!) è che a farne le spese sono le protagoniste principali, cioè la parola e le frasi. Se per qualche Secolo musica e parola sono andate su per giù a braccetto (ma progressivamente riducendo il ruolo testuale), tra Ottocento e Novecento, ma in particolare nel secondo  dopoguerra e straordinariamente negli ultimi vent'anni, il ruolo della parola e delle frasi è venuto drasticamente meno. Le persone conoscono le melodie, magari un po' anche il testo, ma senza capirne davvero il o i significati (magari storpiando anche le parole), colpevoli spesso anche i librettisti. In questo quadro quindi noi ci ritroviamo in una desolante situazione di superficialità, dove sentiamo cantanti che di fatto urlano o farfugliano facendoci arrivare, se va bene, una parte del testo e insieme all'orchestra tutto il flusso musicale che però resta privo del proprio contesto drammaturgico, perché il compositore si è lasciato prendere dal testo per scrivere quella musica, quindi se nella realizzazione concreta il testo non viene adeguatamente esposto, mancherà un elemento fondamentale.