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martedì, settembre 15, 2020

Rapportare i suoni

 Ho letto e sentito più volte, da parte di "esperti" di canto, paragonare il passaggio di registro al cambio dell'automobile. Quando parti stai in prima per un breve periodo dopodiché devi cambiare marcia se no rischi di fondere. Ma il paragone non regge. Nell'automobile il cambio è un apparato intermedio tra il motore e la trasmissione e serve a far diminuire il numero dei giri al motore man mano che si prende velocità; nella voce il numero delle vibrazioni delle c.v. aumenta sempre salendo, quindi è falso che mediante il cosiddetto passaggio si diminuisca alcunché. Molto più adeguato il riferimento alle corde di uno strumento tipo chitarra o arco, dove è necessario spostarsi da una corda all'altra sia salendo che discendendo; ci sta anche il fatto che su questi strumenti è possibile realizzare medesime note su diverse corde, dando colore e carattere diversi. Però anche su questo occorre prendere le distanze; in primo luogo noi abbiamo sì due corde vocali, ma che vibrano (devono vibrare) in sincrono (altrimenti c'è qualcosa che non va, di serio), quindi non c'è un passaggio da una corda all'altra, ma sono le medesime corde che possono atteggiarsi in modalità leggermente differenti. E' necessario, però, ricordarsi che le frequenze aumentano costantemente dalle note più basse alle più acute; cos'è che manca nelle voci che non hanno raggiunto l'esemplarità? il rapporto perfetto tra fiato e frequenza. Cioè il fiato potrà anche riuscire a mettere in vibrazione le c.v. su una sufficiente gamma vocale, ma il rapporto non è costante, quindi possiamo dire con certezza che va a scemare man mano che si sale. Molte persone oltre un certa limite, salendo non sono più in grado di far scaturire note, oppure risultano estremamente forzate (e teniamo presente che oltre al fiato siamo aiutati anche dall'apparato nervoso). Ma anche chi ha già studiato per un certo tempo o che ha una buona natura, e quindi riesce a salire con una certa facilità, oltre a un certo limite avvertirà un peggioramento qualitativo, si entra in una sorta di grido, di suoni striduli, decisamente inaccettabili. Quindi il consiglio "tecnico", porta al cosiddetto passaggio di registro, cioè modificare le caratteristiche delle c.v. (mediante modifiche alla colonna sonora) che diventeranno più tese e sottili, e ci permetteranno di salire con una migliore qualità sonora. All'inizio questo procedimento potrà non funzionare o portarci comunque a suoni scadenti, ma col tempo potranno migliorare considerevolmente fino a un'ottima qualità, anche se molto spesso la procedura del passaggio comporterà un tipo di emissione non del tutto omogenea con la gamma centrale. Questo per determinate caratteristiche anatomiche della parte delle c.v. preposte alla formazione delle note acute. La necessità del passaggio, però, non sarebbe realmente necessaria, e questo per due fattori:

1) come ho già scritto sopra, noi dobbiamo considerare che man mano che si sale dalle note gravi verso il centro-acuto, i rapporti tra fiato e frequenza tendono a peggiorare in modo quasi insensibile, quindi nelle note precedenti il punto dove è consigliato passare, questo rapporto è già labile, e l'emissione non più
valida, anche se accettabile dalla maggior parte delle persone (cioè del loro udito). 

2) la postura delle corde vocali è erroneo pensare che sia "binaria", cioè o così o cosà; questo è un grave errore che persiste da tempo immemore; già Tosi e Mancini nel 700 cadevano un po' in questa trappola, pur avendo una grande cultura del fiato. E' molto probabile che, quindi, sapessero superare il problema, ma non ce lo lasciano capire dagli scritti. Quindi dobbiamo riconoscere che nel momento in cui, mediante la corretta disciplina di studio, siamo in grado di rapportare perfettamente il fiato con il suono corrispondente, anche quando siamo nelle note gravi faremo sì che le c.v. si atteggino nella loro globalità a quel suono, quindi quando si arriva nelle note centro acute, dove le "tecniche" vorrebbero che si passasse di registro, ci si rende conto che è del tutto inutile, perché i suoni continuano ad essere belli, rotondi, appropriati, omogenei, per proseguire costantemente fino alle note più acute della gamma. In pratica è come se noi dovessimo superare una valle prima scendendo nella valle stessa, e poi risalendo sulla riva opposta, mentre con la giusta disciplina è come se noi riempissimo la valle e ci trovassimo sempre su un medesimo piano, seppur inclinato. Ciò di cui la maggior parte degli insegnanti e dei cantanti non si rende del tutto conto, è il fatto di "scendere"; si ha l'impressione di restare omogenei, ma il fatto stesso che a un certo punto subentri la necessità di "salire", cioè di non poter proseguire con la stessa vocalità, pena il gridare o comunque il deterioramento timbrico, è un segno evidente che questa presunta omogeneità non c'è, quindi significa che il fiato non è rapportato e le c.v. non si sono adeguate strutturalmente e gradualmente. 

sabato, settembre 12, 2020

La parola che espone (l'esponente)

Ancora una volta l'esperienza pratica mette in luce aspetti psicologici che influiscono o possono influire non poco sulla qualità del risultato. 

Schipa e Di Stefano possono essere considerati due tenori agli antipodi tra di loro. Bellissima la voce del secondo, decisamente meno bella quella del leccese, che però era in possesso di un magistero vocale come pochi, mentre Di Stefano nel volgere di pochi anni di carriera già mostrava segni di logoramento che andarono sempre peggiorando. Però qualcosa li accomunava, tant'è che ancor oggi Di Stefano è considerato quasi un mito: è la pronuncia. L'uno e l'altro si sono sempre contraddistinti, anche nelle interviste, per mettere a monte di tutto la parola scandita. A parte il timbro, che è un fatto soggettivo, la differenza di fondo è consistita nel fatto che Schipa era in possesso dei mezzi per poter sostenere efficacemente e per sempre la parola, mentre Di Stefano no. 

Ma in sostanza cosa ha reso grande fino alla mitizzazione il nostro Pippo? La generosità, la carica umana che ha potuto esprimersi attraverso un uso davvero sincero della parola. Questo ha potuto, anzi, può ancor oggi, far breccia nella sensibilità delle persone che lo ascoltano e che non si soffermano più di tanto sulle carenze dell'emissione. Per lui è stato un fatto innato, una carica insita nel soggetto. E' stato lo stesso per Schipa, che però ha potuto contare su uno studio lungo e meticoloso, oltre che una notevole intelligenza che gli ha offerto la possibilità di conservare quel tesoro intatto per tutta la vita.

Quindi la parola è la POTENZA (esponente) da dare al suono per poterlo elevare ad arte vocale. S^p=Av (è una definizione simile a quella del logaritmo, che guarda caso è alla base del funzionamento dell'orecchio)!

Ma come si spiega che nonostante io sostenga questa tesi da anni, la esemplifichi e dimostri fattivamente la sua verità, incontro spesso difficoltà di realizzazione da parte degli allievi?

I motivi sono due: uno, da sempre noto e alla base delle scoperte del m° Antonietti, consiste nella resistenza opposta dall'istinto di sopravvivenza e difesa della specie, che riconosce (essendo nel DNA) la parola come necessaria alla comunicazione verbale ma si oppone a uno sviluppo (o addirittura una evoluzione) della stessa oltre i limiti delle esigenze di vita comune.

Il secondo motivo è di carattere psicologico e consiste nella difficoltà che ha la maggior parte delle persone nell'esporsi pubblicamente. La voce, come ho espresso spesso anche in questo blog, porta fuori di noi molto della nostra interiorità e intimità, ma lo fa in modo inconscio, non immediatamente riconoscibile. Già la condizione di dover parlare in pubblico ci pone in difficoltà perché non ci piace "mettere in piazza" i nostri segreti, anche se non in modo palese. Ma perché ci vergogniamo e/o ci sentiamo in imbarazzo? Se poi dobbiamo anche cantare questo fenomeno cresce ancor più. Non capita, o in misura ridotta, se la nostra natura psicologica ci porta dalla parte opposta, cioè a voler manifestare con gioia la propria appartenenza alla sfera umana sotto l'aspetto spirituale, intimistico, più che fisico, senza alcuna vergogna o imbarazzo, giacché siamo tutti uomini e dunque accomunati dalle stesse leggi. 

Se questa scuola può intervenire efficacemente nell'affrontare e risolvere le questioni vocali legate alle difese istintive mediante un lungo e meticoloso lavoro che le aggiri e che possa far sorgere una sorta di nuovo senso (fonico), accettabile dall'istinto stesso, molto più complesso risulta affrontare il secondo problema.

Le persone avvertono col canto una "esposizione" pubblica, che le rende "fragili", attaccabili, vulnerabili, dunque sviluppano una resistenza e delle difese. E come si realizzano? Nascondendo la parola, cioè rendendola meno incisiva, meno "vera", meno sincera, meno comunicativa nella sua essenza, nel suo contenuto sensibile. Ci si rifugia nel suono, cioè nella pura vibrazione fisica, anche se ammantata da una pseudo pronuncia. Però per molti cantanti rifugiarsi nel puro esibizionismo funambolico delle coloriture, dell'agilità, è il massimo della tranquillità, della sicurezza. 

Sia chiaro: questo succede anche suonando uno strumento o in un complesso o orchestra, anche se non c'è una parola concretamente pronunciata, ma una cosciente sensibilità musicale può far scaturire dalle relazioni tra i suoni messi in campo dal compositore in una determinata sequenza e con specifiche caratteristiche di frequenza, di timbro, di dinamica, di ritmo, un contenuto "vero" con caratteristiche del tutto analoghe a quelle di un testo poetico musicato. La forza della parola non conosce limiti, però il mondo quotidiano non può sostenere il peso di parole con contenuti molto profondi e coinvolgenti, dunque il linguaggio comune è destinato al consumo semplicistico della routine; un ambiente più consono è quello della letteratura artistica, e ancor più quello della poesia, sempre più nascosto e scarsamente fruito. La potenza delle parole viene avvertito solo da pochi; anche qui ci sono questioni di sequenza, di ritmo, di colore... figuriamoci quindi cosa avviene nell'incontro verticistico tra parole di alta poesia e grande musica! Ma non si tratta di dare "veste" musicale alle parole, ma di percepire la loro vibrazione profonda, già musicale in sé, e potenziarla mediante ulteriori mezzi sonori. Potremmo definirla... musica al cubo! E' però un tipo di risultato che non possiamo aspettarci quasi mai nel campo operistico, dove i libretti, anche nei casi migliori, non possono aspirare ad essere testi letterari sublimi. Più probabili risultati di grande altezza possono aver luogo in lieder, romanze, chansons, songs, cioè brevi composizione su testi di grandissimi poeti e occasionalmente da testi "sacri", laddove il musicista si è servito di una lirica veramente ispirata, sublime. 

Tornando all'argomento, come si può superare l'ostacolo psicologico che impedisce o limita fortemente la capacità di esprimere con piena consapevolezza e verità le parole di un testo cantato (mentre si affronta con molta più disinvoltura un vocalizzo?

Questa realtà ci spiega anche perché hanno molto più successo le scuole di canto il cui metodo svia dalla perfetta pronuncia, alimentando l'idea che le "intervocali" cioè le vocali miste o impure, siano più efficaci per cantare, o come dice una notissima cantante bulgara, le vocali vanno "uniformate" sulla "U", in modo che non si capisce quasi più niente, ma anche quando si capisce, manca l'elemento di verità che può raggiungerci solo grazie a una pronuncia assolutamente perfetta.

Intanto, come sempre, il primo obiettivo è prendere coscienza dell'esistenza di questo ostacolo. Comprendere le ragioni della resistenza psicologica non è per niente facile, perché possono dipendere ma molti fattori. Un fattore frequente è già insito nel territorio. Ci sono regioni (nel mondo e nei singoli Stati) dove le popolazioni sono più aperte, generose, comunicative, e regioni "chiuse", dove regna la diffidenza, la scarsa comunicazione. Ma da lì il cerchio si stringe all'ambiente familiare, lavorativo, sociale. Superare questo ostacolo, quindi avere fiducia nel prossimo, sapere di poter esporre le proprie opinioni, sapendo sostenerle e sapendo di dover subire critiche e attacchi di qualunque genere... è un lavoro mentale molto impegnativo. Potrà sembrare eccessivo questo discorso legato "semplicemente" a imparare il canto, ma qui non si tratta di accedere a un canto piacevole e spensierato, nemmeno "serio", ma molto di più, si tratta di voler accedere a un canto LIBERO, a una comunicazione diretta, a quell'amore-conoscenza a cui tutti, in qualche modo, aspiriamo. In tutte le fasi è indispensabile adire al "riconoscimento", che è poi coscienza. Ascoltarsi e riconoscere se ciò che diciamo e poi cantiamo ha un connotato di sincerità, di comunicazione verosimile, convincente, o resta su un piano astratto, distaccato. Ogni frase dovremmo sentirla come se venisse detta a noi e dobbiamo percepire immediatamente se ci muove qualcosa. Infatti il fulcro della vera musica, come ogni verità, è il "movimento" interiore che ci procura. Se manca questo elemento resta tutto a livello di superficie, che ci sollecita giusto i terminali nervosi più affioranti, ma non scende, non ci conquista e dunque è destinato a scomparire. 

Aggiungo un pensiero: la pronuncia fasulla è anche un rifugio sicuro, tranquillo, comodo, dove difficilmente qualcuno può venirti a infastidire, specie se sai abbastanza giostrarti col suono. E' la parola, invece, quella che ti espone, ti mette in maggior risalto e quindi che ti può porre nel mirino dei narcisi e dei soloni che dalla verità prendono adeguatamente le distanze e che vogliono colpire chi vi si avvicina.

Ancora un'annotazione: perché siamo così toccati quando sentiamo cantare un bambino o un coro di voci bianche? Perché essi, se non sono stati "traviati", esprimono veramente con sincerità le parole di un brano, e anche se possono avere una vocalità difettosa, riescono comunque a esprimersi con una libertà e un trasporto molto superiore a quello della maggior parte dei cantanti adulti.

mercoledì, settembre 09, 2020

Siamo tutti musicisti, siamo tutti cantanti

 Ebbene sì, anche se vi può sembrare impossibile, siamo tutti musicisti e cantanti, nessuno escluso! Anche gli stonati? Sì; anche quelli che non sanno andare a tempo nemmeno con la banda che suona la marcia? Sì. Se uno vi chiede: "ma tu sei un musicista?" voi potete rispondere tranquillamente di sì, e lo stesso vale per chi vi chiede se siete un cantante. E potete anche rispondere: "pure tu!" Per non essere musicisti e cantanti bisogna non essere umani, oppure avere una grave patologia, per cui si è del tutto sordi dalla nascita. Diverso è essere artisti. Allora la frittata si rovescia, per cui anche persone che si definiscono musicisti, nel senso che hanno studi, diplomi, esperienze, possono non essere artisti. L'uomo, in quanto uomo (ovviamente anche donna), è automaticamente esso stesso musica. L'essere intonati o stonati non ha alcuna importanza, così come avere "il ritmo nel sangue". Chiunque, magari anche solo in momenti molto particolari, dovrà o potrà esprimersi affettivamente o sentimentalmente o espressivamente o drammaturgicamente con una sua musica e lo farà con la voce, quindi cantando. E sarà veramente musica, anche se stonando e non avendo alcun parametro ritmico che definiremmo corretto. La necessità comunicativa interiore del soggetto sarà comunque assolta. Questa possibilità è propria dell'umanità, quindi del suo stadio evolutivo. Quindi esistono le condizioni affinché si possa manifestare questa possibilità espressiva, che però non assurge a livello artistico. Qualcuno può trovarsi nella straordinaria condizione di poter cantare o suonare con invidiabile bravura. Tranne il caso, che possiamo escludere a priori perché si tratterebbe davvero di un'eccezione strabiliante, di un soggetto già evoluto a un grado superiore a quello umano comune, non possiamo parlare di un artista "nato". Possiamo invece parlare di soggetti "predisposti" a evolversi, ma comunque in una situazione difficile, perché necessitano di un ottimo maestro che li sappia guidare a quello stadio. Cosa estremamente difficile, perché chi si trova con una forte predisposizione difficilmente accetta di fare un percorso di studio molto impegnativo. E sarà invece molto pronto a buttarsi allo sbaraglio e a bruciarsi. Vediamo continuamente concorsi e show con la presenza di bambini dotati di incredibili doti (oggi con internet ne possiamo vedere frequentemente); ebbene questi fenomeni che fine fanno? I bambini si trovano in una situazione del tutto eccezionale, dal punto di vista creativo, cioè sono piccoli artisti e potenzialmente molto prossimi a diventarlo effettivamente, ma quella "muta", quel periodo adolescenziale crea una sorta di retrocessione ad una condizione più animale; si può dire che quella profusione di ormoni richiami l'uomo alla sua condizione fisica e istintiva di perpetuazione della specie. Questo periodo potremmo definirlo involutivo; ho potuto constatare dal vivo questo fenomeno, che naturalmente come tutti questi processi è alquanto soggettivo e variabile, per cui, fortunatamente, in diversi casi riesce a superare il momento e a mantenere la passione, o addirittura accentuarla, e quindi a tenere viva la fiamma, l'interesse e le capacità, anche se non di rado risultano più "annebbiate", ma con la possibilità di riprenderle e rinforzarle grazie alle maggiori doti intellettuali, fisiche e psicologiche della maturità e dell'esperienza. Però ricordiamo anche che tra la condizione spontanea e quella artistica, pur così distanti, c'è una relazione importante; proprio quella spontaneità e quella realtà "naturale" dell'essere musicisti e cantanti per nascita, dovrà essere la medesima quando si accederà all'arte, solo ... al quadrato! Tutto ciò che c'è in mezzo, cioè tutto l'apprendistato, tutti gli anni di studio... via! La scala che ci ha condotto alla perfezione, va abbattuta. Rimane quella stessa condizione nativa, semplice, comunicativa. Noi siamo cambiati: invece di trovarci allo stadio 1, siamo saliti al grado 2, cosa che apparentemente non mostra alcun segno. Il cambiamento sta nel fatto che quando vogliamo emettere un canto di qualunque tipo, la nostra voce sarà quella di un cantante fatto, senza pensieri di "impostazione". Non esisteranno più scalini di alcun genere, non ci sarà alcun pensiero, alcuna "posizione", luogo, necessità "tecnica" da assolvere. La semplice volontà  sarà sufficiente. Non significa propriamente far ciò che si vuole, bisogna avere accortezze e prudenze, perché siamo uomini anche nel senso "animale" e anche se giunti a un certo punto una involuzione non è più pensabile, il nostro corpo è comunque soggetto a un logoramento che può incidere sulla qualità e la tenuta di qualunque voce. Insomma, come ho detto molte volte, bisogna un po' tornare bambini, e riprendere contatto con quel mondo irrazionale e spontaneo che ci guida nei primi anni di vita.  

domenica, settembre 06, 2020

Il canto lungo

 La differenza sostanziale tra il parlato e il canto sta nel fatto che il parlato è costituito da tante cellule mentre il canto è, o dovrebbe essere, una linea continua che si interrompe solo nelle prese di fiato.

Questo è un po' il motivo per cui la maggior parte degli insegnanti di canto insiste fin dall'inizio sui vocalizzi, in quanto essi si prolungano per tutta un'arcata di fiato. Questo però porta all'insorgere di un grosso problema, cioè ci si convince che il parlato è difettoso perché interrompe il flusso di fiato e quindi "è nocivo" e bisogna puntare sulla continuità del suono, sminuendo la pronuncia delle consonanti.

Poveri gli antichi maestri, tanto acclamati dai "maestroni" odierni, e traditi totalmente in fase pratica! Non solo gli antichi, ma anche i "vecchi" maestri davano un'importanza capitale alla pronuncia e iniziavano lo studio del canto proprio dall'esercizio sillabico e fraseggiato. 

L'esercizio basato su brevi frasi o su cellule sillabiche ha lo scopo di abituare l'allievo a non separare le consonanti dalle vocali, a non dare colpi sulle vocali, ma a fondere tutto in modo che si crei una sonorità omogenea, quello che si vuol anche definire appoggio. 

Nella frase, poi, la continuità deve riguardare tutta la frase: "framartinocampanaro". Un esercizio utile consiste nel pronunciare molto lentamente la frase senza lasciare il più piccolo spazio tra una lettera e l'altra, anche sostando qualche istante sulle consonanti per rendersi conto che tutto prosegue senza interruzioni. Questo può essere considerato un "legato", che ha un ben preciso significato musicale; questo legato ha una parentela con il legato musicale, ma non è la stessa cosa.

Se eseguiamo la stessa frase su più note, ad esempio tre, la pronuncia corretta e musicalmente non legata, fa sì che ci si sposti sulle note successive legando la pronuncia, ma passando sulla nota senza fare il minimo portamento di suono. Questo salto tra una nota e l'altra verrebbe pieno di accenti e disomogeneità se non ci fosse un ottimo legato della pronuncia.

Viceversa, in base alla qualità del legato musicale che è necessario ottenere (e questo dipende dall'autore, cioè dall'epoca e dallo stile, e dal contesto dell'aria, indicato solitamente sullo spartito) noi andremo a fare un portamento più o meno accentuato. Per imparare il legato musicale, c'è un esercizio, non subito facilissimo per tutti, che consiste nel portare la vocale sulla nota successiva prima della sillaba. Cioè, riferendomi alla frasi anzidetta, faremo: fra-a-ma-ar-ti-i-no-o-ca-am-pa-a-na-a-ro-o. In questo modo impareremo a passare in modo più melodico da una nota all'altra. Poi toglieremo le vocali intermedie ma dovrà rimanere il senso di legato. Come dico spesso, nel canto è sempre sottinteso un legato forte, quasi un portamento continuo, anche nel sillabato più accentuato. Questo non dipenderà da una tecnica, ma dalla continuità che il nostro fiato avrà imparato ad assicurare, alla base, e alla libertà che avremo raggiunto o fatto raggiungere alla nostra voce.