Translate

venerdì, marzo 24, 2023

Cervello e spirito

 Nei tantissimi (troppi) scritti di questo blog, si trovano raramente riferimenti a cervello destro e sinistro. Viceversa la letteratura sull'arte si riferisce molto alle differenze tra questi due emisferi e indica, in particolare, a quello destro il luogo delle emozioni, della creatività, ecc. Sono d'accordo su questo, e non potrei non esserlo, visto che ci sono studi ed esperienze inoppugnabili. Ritengo però che concludere che tutto stia in questa condizione sia un assuunto incompleto. Il cervello, per quanto con differenze, a mio avviso può solo lavorare a livello fisico ed esperienziale, quindi come può intuire, come potrebbe inventare, ecc.? Abbiamo bisogno di un'entità che non abbia i limiti di tutto ciò che è fisico e materiale e che chiamiamo spirito, che poi ognuno può intendere come meglio crede. Lo spirito, poi, è anche ciò che modella e spinge il corpo e la mente in determinate direzioni e forme. Lo spirito è anche ciò che chiamo Conoscenza, in senso universale, cioè la Verità e perfezione cui tutto tende, pur frenato da un concetto stesso della verità, cioè la pericolosità della verità stessa, che per difendersi mette in campo le forze avverse e le difficoltà di comprensione ed elevazione. Non intendo entrare nello specifico della Gnoseologia, cioè lo studio della Conoscenza. E vorrei anche dire che non è così importante credere a quanto vado scrivendo a proposito. Va benissimo anche restare su parte dx e parte sx del cervello. Però mi pare anche giusto manifestare il mio, di pensiero, affinché si sappia in cosa credo e quali siano le fonti di quanto vado dicendo e scrivendo. Non chiedo a nessuno di condividerle, e tutto lo studio sulla vocalità che sto producendo può benissimo essere compreso anche senza approfondire questo aspetto. 

sabato, marzo 11, 2023

Suono ed esigenze evolutive

 Dopo poche pagine di lettura del libro della Valborg, ho trovato un argomento che inizialmente mi ha suscritato qualche dubbio. Anche lei è giunta alla determinazione che il suono è uno stadio intermedio rispetto alla voce, e ritiene che debba subire un processo di dematerializzazione, di spiritualizzazione. E' giusto, allora perché io non lo faccio e non ho neanche mai pensato di farlo? Beh, dopo poco ho trovato la risposta, che riguarda un po' tutto il pensiero didattico di questa scuola. Domanda: come facciamo a far sì che il fiato si evolva artisticamente? Partendo dal parlato ed estendendolo oltre la gamma del parlato comune. In questo modo si crea l'esigenza di una evoluzione respiratoria, in quanto il parlato è già contenuto nel nostro DNA, e solo un principio di economia fa sì che si limiti a una fascia ristretta, per cui il volerlo estendere non contrasta con i nostri principi istintivi. E questa è la filosofia di fondo di tutta la nostra didattica: c'è una esigenza spirituale che ci spinge a intraprendere lo studio di un'arte, la musica e il canto. Nel caso del suono, la Valborg vorrebbe spiritualizzare il suono, ma sulla base di quale esigenza? Facendo come lei suggerisce, diventa una tecnica, e una pratica piuttosto fine a sé stessa, quindi difficilmente sviluppabile. Lei poi fa sempre riferimento all'unità, ma pensare di sviluppare dei segmenti e poi sperare di unificarli resta, a mio avviso, una pratica molto tecnica e che il nostro corpo difficilmente può comprendere e a cui quindi dare agevolmente corso.

La nostra idea di evoluzione e quindi di sviluppo dei processi di "artistizzazione" della voce (come di altre arti) è che si deve sempre partire da ciò che si vuole ottenere individuando ciò che impedisce quel risultato e mettendo in opera esercizi che suscitino un'esigenza fisica che sblocchi gli elementi che impediscono il risultato atteso. Nel caso del suono vocale, cioè di una vibrazione fisica sonora, è evidente che si tratta di una emissione spontanea e piuttosto rozza (ma questo è anche un dato molto soggettivo). Siamo d'accordo che in un procedimento teso a un risultato artistico, esso vada raffinato, ma non in quanto suono slegato dal suo risultato ultimo, la voce parlata-cantata, bensì proprio dall'essere trainato dall'esigenza di avere una voce richiedente sfumature, colori, caratteristiche musicali ed espressive molto raffinate. Cioè anche l'idea di poter agire sul suono ed elaborandolo personalmente, ritengo ci sia un certo grado di presunzione. Lasciamo fare al nostro corpo e alle nostre elevate potenzialità di perfezione. E in questo senso mi riferisco anche ai tanti aspetti su cui insiste la Valborg nella "frantumazione" delle pratiche educative (ma lei dice fin dall'inizio che non si deve "educare" la voce... mi sarebbe piaciuto capire meglio cosa intendesse), tipo lavorare sulla tripartizione della lingua, e anche dei muscoli del viso, su cui sono abbastanza d'accordo, ma non c'è bisogno di "assumere a coscienza", come lei scrive, ogni muscolo, bensì permetterne lo sviluppo migliorando la pronuncia, che richiede l'uso di quesi muscoli. 

Facendo ancora riferimento a quanto scrisse la Valborg, ho meditato su un possibile equivoco, e cioè considerare dualistico il rapporto tra suono e voce. Per la verità io spingo molto a considerare come separati questi due elementi, dove a noi il suono non deve interessare, però è chiaro che non ci può essere una reale divisione. Il motivo per cui ne parlo come entità separate sta nella tendenza, molto accresciuta in questi ultimi anni, a premere o spingere sul suono (a causa della tendenza delle altre scuole a considerare il suono o voce internamente), il che può solo creare problemi. La realtà è che il suono è da considerare come il primo stadio di un processo evolutivo che si sviluppa nello spazio fino al suo punto focale massimo, che è esterno alla bocca. Non è da pensare in termini temporali, tutto avviene pressoché istantaneamente, però questo processo è di tipo dematerializzante, cioè dallo spazio appena superiore alle corde vocali, dove per l'appunto si forma il primo suono, del tutto anonimo e possiamo dire anche rozzo, grossolano, al punto focale esterno, c'è una perdita di materia, mentre cresce l'energia, la ricchezza timbrica, la velocità e ovviamente si perfeziona il significato. Tra il punto d'origine e il punto focale, c'è un sottilissimo legame relazionale, ma non deve essere concepito come un legaccio, come una corda o altra congiunzione forte e rigida, bensì come un raggio quasi inconsistente ed elastico. E' la voce che si alimenta, che "esige" una determinata materia cui attingere per dar vita alla parola o anche solo alla semplice vocale, quindi possiamo pensare al processo non come diretto dal fiato verso la parola, ma al contrario, cioè la parola che richiede, e ottiene se le premesse sono corrette. cioè di cui ha bisogno. 

mercoledì, marzo 08, 2023

Valborg Werbeck

 Grazie alla segnalazione di un lettore, ho potuto conoscere un testo che fin ora ignoravo: "La scuola del disvelamento della voce", di questa cantante svedese. Non ho perso tempo ad acquistarlo e leggerlo soprattutto perché ho subito notato il riferimento al grande antroposofo Rudolf Steiner. Ho poi anche appreso che esiste una scuola di canto, diciamo un metodo, intitolato a lei, e su youtube ci sono alcuni riferimenti a lei e alla sua scuola, che però mi pare perlopiù indirizzata a insegnamenti collettivi e di tipo terapeutico.

Dalla lettura ho tratto interesse ma anche forti perplessità. Non saprei se consigliarlo; il fatto che ci sia stata questa vicinanza con Rudolf Steiner, il quale ha approvato la sua scuola come inerente il mondo dell'antroposofia, è sicuramente positivo; anche diverse altre cose, di cui scriverò, non solo sono condivisibili, ma addirittura combaciano con alcune mie riflessioni e con le risultanze della mia scuola. Purtroppo ho trovato diversi aspetti assenti, poco o nulla fondati e alcuni anche molto discutibili. 

Comincerò col dire che trovo fondamentale, giusto e di sollievo che in un libro sul canto si parli ripetutamente di arte e di spiritualità, prendendo le distanze da ogni insegnamento meccanicista e materiale. Ciò che secondo me manca un po', in questa ottica, è un contributo più chiaro e specifico su cosa sia l'arte. Però, nella cornice steineriana, non potevano mancare i riferimenti all'unità, altra cosa fondamentale, che non ricordo aver letto su molti altri trattati o testi sulla voce. Dall'universo steineriano, poi ci sono frequenti riferimenti alla tripartizione, e qui le cose incominciano a complicarsi. Mentre l'ho trovato interessante per un lato, mi perplime da un altro la divisione in tre parti della corda vocale e della lingua, mentre non capisco perché manchi il fondamentale studio sulla tripartizione fiato-laringe-articolazione (ovviamente da unificare).

Sono contento che abbia precisato che l'insegnamento del canto può solo passare attraverso la frequentazione di un insegnante, e che sostanzialmente un libro non può insegnare. Come sempre, non può fare a meno di indicare molte attività pratiche, che rischiano di portare confusione ed errori anche non lievi!

Un altro elemento di similitudine con la mia scuola è il fatto di considerare come due entità il suono e la voce. Per la verità nella prima parte del libro c'è tutto un discorso su "nota" e "suono", che mi ha lasciato un po' perplesso, ma credo che ci sia difficoltà a comprendere a pieno a causa della traduzione dal tedesco, che infatti è segnalato nella prefazione. Il problema, grosso, è tutto un percorso che la Valborg descrive, per purificare il suono. Come sanno i miei allievi e lettori, sono quanto mai propenso a parlare di "purificazione", quindi di avvicinamento alla spiritualità e di dematerializzazione, però non con queste strane teniche. Questa è stata la fase che più mi ha lasciato meravigliato e confuso. Intanto il fatto di generare il suono con il discutibilissimo "NG", per cui come se si cantasse a bocca chiusa, che ho ampiamente dimostrato essere un metodo pessimo, portatore di problemi. Inoltre la cosiddetta "purificazione" passerebbe per strane tecniche che porterebbero la voce sopra la testa. Spiacente ma tutto questo non è stato svolto con sufficienti criteri e aspetti di fondamento che mi possano far capire i perché di tutto ciò. Peggio ancora la fase seguente, detta "espansione", dove lo stesso suono verrebbe indirizzato alle orecchie, internamente. 

La Valborg non fa mistero, e in questo siamo assolutamente sulla stessa onda, di non gradire l'intervento della scienza nell'insegnamento del canto. Ciononostante fa minuziose analisi della lingua e delle corde vocali, e infine spiega che il percorso è tutto basato sui muscoli, e che bisogna prendere coscienza di singoli elementi anche interni. Ritengo, pertanto, che ci siano non poche incoerenze.

Non sappiamo granché di come cantasse; una registrazione del 1905 presente su YT è relativa al suo primo periodo, prima che intraprendesse il percorso con Steiner, quindi è di scarso interesse. Non so se abbia cantato in italiano, ma ne dubito, considerando che nel libro lei si rifà anche a vocali non italiane; sono contento però che dia un risalto particolare alla "A". 

Altri punti oscuri: il plesso solare (quindi non il diaframma) lei lo indica come un elemento riflettente. Tutto il capitolo sul fiato; sono d'accordo che il respiro vada unificato, ma nella sua abituale suddivisione in diaframmatico e costale, mentre lei fa un riferimento alla respirazione epidermica, che esiste senz'altro, ma ho tanti dubbi su un suo ruolo attivo. E comunque non mi pare che consigli di unificare diaframmatica e costale, mentre resta legata alla diaframmatica, quindi mantenendo in vita una separazione, e anche questo mi pare contraddittorio. Alla fine scrive che non ci si deve accorgere della respirazione! Ah, meno male. 

Entra nel campo della parola, ma troppo poco. Anzi, all'inizio, lei "spara" contro il canto "parlato". Cosa significa non l'ho capito, ma non mi è piaciuto, Si intuisce che accenna a questo nel quadro di un canto "materiale", ma non è sufficientemente chiarito e induce a ulteriore confusione. 

Ho trovato piuttosto interessanti i suoi riferimenti all'orecchio (tranne quelli che vorrebbero far uscire la voce da lì!).

La sostanza del suo pensiero, da cosa ho potuto capire, è che i bambini hanno una vocalità ottima e che la pèrdono perché nessuno ha loro insegnato a cantare bene. Anche questo non è chiaro. Se cantano bene, cioè naturalmente, che bisogna ci sarebbe di insegnare? Se lo perdono è perché la vita li porta a cambiare. E che cosa è che li porta a cambiare? Un mutamento delle condizioni fisiologiche del corpo, nonché mutamenti socio-psicologici. Ma la cosa buffa che si dovrebbe evincere, è che dovrebbero essere i bambini ad insegnare ai loro compagni un po' più grandi a mantenere quello status vocale, la qual cosa però è quasi certo che non possa funzionare, perché i bambini sono inconsapevoli di come cantano (che poi mica tutti cantano bene), e non si può fare granché per fermare la muta, che è in gran parte responsabile delle difficoltà che subentrano nel canto. Non per nulla fu inventata quella barbara pratica della castrazione. 

In conclusione, ritengo sia un libro interessante sul piano filosofico, ma decisamente da non seguire sul piano teorico-pratico, per carenze conoscitive e voli pindarici non suffragati da chiarimenti oggettivi e fondamenti accuratamente svelati. Sicuramente nei prossimi giorni farò alcuni commenti relativi a specifici argomenti che mi hanno sollecitato dalla lettura di questo libro.


mercoledì, marzo 01, 2023

Della pressione

 In fondo tutto il problema della vocalità lirica gira attorno a questo tema: la pressione. Cosa sono l'appoggio, i registri, la gola larga, la laringe e il palato su o giù... se non un problema di pressione del fiato? Soltanto che questo apparente problema è come guardare il cielo con un cannocchiale rovesciato. E' stato ampiamente sperimentato e osservato scientificamente che di fiato per cantare ne basta pochissimo. Naturalmente anche in questa osservazione c'è un errore di fondo, cioè confondere la quantità con la qualità, ma a parte questo, posso anche dire che di pressione per un canto di alta qualità ne basta pochissimia. E invece è tutto il contrario. Come mai? La pressione c'è ed è anche piuttosto elevata, quanto più si cerca di cantare forte e di affrontare le note acute. Non si comprende che il nostro corpo non conosce il canto operistico e tende a confonderlo con lo sforzo. Il nostro corpo è programmato per affrontare sforzi di vario tipo. E' evidente a chiunque che nel momento in cui facciamo uno sforzo, tipo sollevare un peso, ma anche solo piegarsi in avanti e riprendere la posizione eretta, o anche fisiologicamente andare al bagno, la voce parlata non esce più con facilità, in proporzione allo sforzo che si compie. Se lo sforzo è notevole, la gola risulta del tutto chiusa. Quindi, semplicemente, per il nostro istinto il canto lirico è assimilato a uno sforzo, che solo in virtù di un processo di tolleranza, tende a diventare più dolce e meno aggressivo nel tempo, ma non per tutti. Ci sono stati e ci sono tutt'ora cantanti che si fanno quasi un vanto di cantare con fatica, vincere una opposizione. Pensate che coerenza: voler esercitare un'arte affrontando una guerra col proprio corpo. Però questo ha trovato e trova estimatori in chi vede i cantanti, soprattuto tenori e baritoni e soprattutto nelle opere più truculente, come eroi che devono lottare e vincere contro "il nemico"... ma ha senso che il nemico sia il proprio corpo? Dunque la verità è che noi dobbiamo considerare l'idea di abbassare il più possibile la pressione, perché è lei che causa i maggiori problemi e difetti, e questa fu una delle ultime affermazioni del m° Antonietti, cioè cantare piano e pianissimo, proprio per non suscitare aumento di pressione, finanche a passare al falsettino. Non che dal dire al fare non ci sia di mezzo il mare. La tendenza ad alzare l'intensità è sempre presente, e pressioni e contropressioni ci attirano e facciamo fatica a evitarle. Il vero parlato, quello quotidiano, ha sempre la pressione giusta, però quando usciamo dalla zona consueta della gamma dove esplichiamo il parlato, tendiamo a perdere l'incisività, la verità comunicativa. Non riusciamo più a dire "A", "E", "I", "O", "U", e tutte le sillabe e le parole. Allievi ancora dopo anni non riescono a pronunciare in modo esemplare in zone desuete, come l'acuta.Ci vuole una concentrazione che a volte sempre disumana. E invece è propria dell'uomo, ma ci costa tantissimo, però è l'unico mezzo se vogliamo raggiungere un obiettivo artistico davvero elevato.