In fondo tutto il problema della vocalità lirica gira attorno a questo tema: la pressione. Cosa sono l'appoggio, i registri, la gola larga, la laringe e il palato su o giù... se non un problema di pressione del fiato? Soltanto che questo apparente problema è come guardare il cielo con un cannocchiale rovesciato. E' stato ampiamente sperimentato e osservato scientificamente che di fiato per cantare ne basta pochissimo. Naturalmente anche in questa osservazione c'è un errore di fondo, cioè confondere la quantità con la qualità, ma a parte questo, posso anche dire che di pressione per un canto di alta qualità ne basta pochissimia. E invece è tutto il contrario. Come mai? La pressione c'è ed è anche piuttosto elevata, quanto più si cerca di cantare forte e di affrontare le note acute. Non si comprende che il nostro corpo non conosce il canto operistico e tende a confonderlo con lo sforzo. Il nostro corpo è programmato per affrontare sforzi di vario tipo. E' evidente a chiunque che nel momento in cui facciamo uno sforzo, tipo sollevare un peso, ma anche solo piegarsi in avanti e riprendere la posizione eretta, o anche fisiologicamente andare al bagno, la voce parlata non esce più con facilità, in proporzione allo sforzo che si compie. Se lo sforzo è notevole, la gola risulta del tutto chiusa. Quindi, semplicemente, per il nostro istinto il canto lirico è assimilato a uno sforzo, che solo in virtù di un processo di tolleranza, tende a diventare più dolce e meno aggressivo nel tempo, ma non per tutti. Ci sono stati e ci sono tutt'ora cantanti che si fanno quasi un vanto di cantare con fatica, vincere una opposizione. Pensate che coerenza: voler esercitare un'arte affrontando una guerra col proprio corpo. Però questo ha trovato e trova estimatori in chi vede i cantanti, soprattuto tenori e baritoni e soprattutto nelle opere più truculente, come eroi che devono lottare e vincere contro "il nemico"... ma ha senso che il nemico sia il proprio corpo? Dunque la verità è che noi dobbiamo considerare l'idea di abbassare il più possibile la pressione, perché è lei che causa i maggiori problemi e difetti, e questa fu una delle ultime affermazioni del m° Antonietti, cioè cantare piano e pianissimo, proprio per non suscitare aumento di pressione, finanche a passare al falsettino. Non che dal dire al fare non ci sia di mezzo il mare. La tendenza ad alzare l'intensità è sempre presente, e pressioni e contropressioni ci attirano e facciamo fatica a evitarle. Il vero parlato, quello quotidiano, ha sempre la pressione giusta, però quando usciamo dalla zona consueta della gamma dove esplichiamo il parlato, tendiamo a perdere l'incisività, la verità comunicativa. Non riusciamo più a dire "A", "E", "I", "O", "U", e tutte le sillabe e le parole. Allievi ancora dopo anni non riescono a pronunciare in modo esemplare in zone desuete, come l'acuta.Ci vuole una concentrazione che a volte sempre disumana. E invece è propria dell'uomo, ma ci costa tantissimo, però è l'unico mezzo se vogliamo raggiungere un obiettivo artistico davvero elevato.
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