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sabato, marzo 11, 2023

Suono ed esigenze evolutive

 Dopo poche pagine di lettura del libro della Valborg, ho trovato un argomento che inizialmente mi ha suscritato qualche dubbio. Anche lei è giunta alla determinazione che il suono è uno stadio intermedio rispetto alla voce, e ritiene che debba subire un processo di dematerializzazione, di spiritualizzazione. E' giusto, allora perché io non lo faccio e non ho neanche mai pensato di farlo? Beh, dopo poco ho trovato la risposta, che riguarda un po' tutto il pensiero didattico di questa scuola. Domanda: come facciamo a far sì che il fiato si evolva artisticamente? Partendo dal parlato ed estendendolo oltre la gamma del parlato comune. In questo modo si crea l'esigenza di una evoluzione respiratoria, in quanto il parlato è già contenuto nel nostro DNA, e solo un principio di economia fa sì che si limiti a una fascia ristretta, per cui il volerlo estendere non contrasta con i nostri principi istintivi. E questa è la filosofia di fondo di tutta la nostra didattica: c'è una esigenza spirituale che ci spinge a intraprendere lo studio di un'arte, la musica e il canto. Nel caso del suono, la Valborg vorrebbe spiritualizzare il suono, ma sulla base di quale esigenza? Facendo come lei suggerisce, diventa una tecnica, e una pratica piuttosto fine a sé stessa, quindi difficilmente sviluppabile. Lei poi fa sempre riferimento all'unità, ma pensare di sviluppare dei segmenti e poi sperare di unificarli resta, a mio avviso, una pratica molto tecnica e che il nostro corpo difficilmente può comprendere e a cui quindi dare agevolmente corso.

La nostra idea di evoluzione e quindi di sviluppo dei processi di "artistizzazione" della voce (come di altre arti) è che si deve sempre partire da ciò che si vuole ottenere individuando ciò che impedisce quel risultato e mettendo in opera esercizi che suscitino un'esigenza fisica che sblocchi gli elementi che impediscono il risultato atteso. Nel caso del suono vocale, cioè di una vibrazione fisica sonora, è evidente che si tratta di una emissione spontanea e piuttosto rozza (ma questo è anche un dato molto soggettivo). Siamo d'accordo che in un procedimento teso a un risultato artistico, esso vada raffinato, ma non in quanto suono slegato dal suo risultato ultimo, la voce parlata-cantata, bensì proprio dall'essere trainato dall'esigenza di avere una voce richiedente sfumature, colori, caratteristiche musicali ed espressive molto raffinate. Cioè anche l'idea di poter agire sul suono ed elaborandolo personalmente, ritengo ci sia un certo grado di presunzione. Lasciamo fare al nostro corpo e alle nostre elevate potenzialità di perfezione. E in questo senso mi riferisco anche ai tanti aspetti su cui insiste la Valborg nella "frantumazione" delle pratiche educative (ma lei dice fin dall'inizio che non si deve "educare" la voce... mi sarebbe piaciuto capire meglio cosa intendesse), tipo lavorare sulla tripartizione della lingua, e anche dei muscoli del viso, su cui sono abbastanza d'accordo, ma non c'è bisogno di "assumere a coscienza", come lei scrive, ogni muscolo, bensì permetterne lo sviluppo migliorando la pronuncia, che richiede l'uso di quesi muscoli. 

Facendo ancora riferimento a quanto scrisse la Valborg, ho meditato su un possibile equivoco, e cioè considerare dualistico il rapporto tra suono e voce. Per la verità io spingo molto a considerare come separati questi due elementi, dove a noi il suono non deve interessare, però è chiaro che non ci può essere una reale divisione. Il motivo per cui ne parlo come entità separate sta nella tendenza, molto accresciuta in questi ultimi anni, a premere o spingere sul suono (a causa della tendenza delle altre scuole a considerare il suono o voce internamente), il che può solo creare problemi. La realtà è che il suono è da considerare come il primo stadio di un processo evolutivo che si sviluppa nello spazio fino al suo punto focale massimo, che è esterno alla bocca. Non è da pensare in termini temporali, tutto avviene pressoché istantaneamente, però questo processo è di tipo dematerializzante, cioè dallo spazio appena superiore alle corde vocali, dove per l'appunto si forma il primo suono, del tutto anonimo e possiamo dire anche rozzo, grossolano, al punto focale esterno, c'è una perdita di materia, mentre cresce l'energia, la ricchezza timbrica, la velocità e ovviamente si perfeziona il significato. Tra il punto d'origine e il punto focale, c'è un sottilissimo legame relazionale, ma non deve essere concepito come un legaccio, come una corda o altra congiunzione forte e rigida, bensì come un raggio quasi inconsistente ed elastico. E' la voce che si alimenta, che "esige" una determinata materia cui attingere per dar vita alla parola o anche solo alla semplice vocale, quindi possiamo pensare al processo non come diretto dal fiato verso la parola, ma al contrario, cioè la parola che richiede, e ottiene se le premesse sono corrette. cioè di cui ha bisogno. 

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