Translate

mercoledì, marzo 08, 2023

Valborg Werbeck

 Grazie alla segnalazione di un lettore, ho potuto conoscere un testo che fin ora ignoravo: "La scuola del disvelamento della voce", di questa cantante svedese. Non ho perso tempo ad acquistarlo e leggerlo soprattutto perché ho subito notato il riferimento al grande antroposofo Rudolf Steiner. Ho poi anche appreso che esiste una scuola di canto, diciamo un metodo, intitolato a lei, e su youtube ci sono alcuni riferimenti a lei e alla sua scuola, che però mi pare perlopiù indirizzata a insegnamenti collettivi e di tipo terapeutico.

Dalla lettura ho tratto interesse ma anche forti perplessità. Non saprei se consigliarlo; il fatto che ci sia stata questa vicinanza con Rudolf Steiner, il quale ha approvato la sua scuola come inerente il mondo dell'antroposofia, è sicuramente positivo; anche diverse altre cose, di cui scriverò, non solo sono condivisibili, ma addirittura combaciano con alcune mie riflessioni e con le risultanze della mia scuola. Purtroppo ho trovato diversi aspetti assenti, poco o nulla fondati e alcuni anche molto discutibili. 

Comincerò col dire che trovo fondamentale, giusto e di sollievo che in un libro sul canto si parli ripetutamente di arte e di spiritualità, prendendo le distanze da ogni insegnamento meccanicista e materiale. Ciò che secondo me manca un po', in questa ottica, è un contributo più chiaro e specifico su cosa sia l'arte. Però, nella cornice steineriana, non potevano mancare i riferimenti all'unità, altra cosa fondamentale, che non ricordo aver letto su molti altri trattati o testi sulla voce. Dall'universo steineriano, poi ci sono frequenti riferimenti alla tripartizione, e qui le cose incominciano a complicarsi. Mentre l'ho trovato interessante per un lato, mi perplime da un altro la divisione in tre parti della corda vocale e della lingua, mentre non capisco perché manchi il fondamentale studio sulla tripartizione fiato-laringe-articolazione (ovviamente da unificare).

Sono contento che abbia precisato che l'insegnamento del canto può solo passare attraverso la frequentazione di un insegnante, e che sostanzialmente un libro non può insegnare. Come sempre, non può fare a meno di indicare molte attività pratiche, che rischiano di portare confusione ed errori anche non lievi!

Un altro elemento di similitudine con la mia scuola è il fatto di considerare come due entità il suono e la voce. Per la verità nella prima parte del libro c'è tutto un discorso su "nota" e "suono", che mi ha lasciato un po' perplesso, ma credo che ci sia difficoltà a comprendere a pieno a causa della traduzione dal tedesco, che infatti è segnalato nella prefazione. Il problema, grosso, è tutto un percorso che la Valborg descrive, per purificare il suono. Come sanno i miei allievi e lettori, sono quanto mai propenso a parlare di "purificazione", quindi di avvicinamento alla spiritualità e di dematerializzazione, però non con queste strane teniche. Questa è stata la fase che più mi ha lasciato meravigliato e confuso. Intanto il fatto di generare il suono con il discutibilissimo "NG", per cui come se si cantasse a bocca chiusa, che ho ampiamente dimostrato essere un metodo pessimo, portatore di problemi. Inoltre la cosiddetta "purificazione" passerebbe per strane tecniche che porterebbero la voce sopra la testa. Spiacente ma tutto questo non è stato svolto con sufficienti criteri e aspetti di fondamento che mi possano far capire i perché di tutto ciò. Peggio ancora la fase seguente, detta "espansione", dove lo stesso suono verrebbe indirizzato alle orecchie, internamente. 

La Valborg non fa mistero, e in questo siamo assolutamente sulla stessa onda, di non gradire l'intervento della scienza nell'insegnamento del canto. Ciononostante fa minuziose analisi della lingua e delle corde vocali, e infine spiega che il percorso è tutto basato sui muscoli, e che bisogna prendere coscienza di singoli elementi anche interni. Ritengo, pertanto, che ci siano non poche incoerenze.

Non sappiamo granché di come cantasse; una registrazione del 1905 presente su YT è relativa al suo primo periodo, prima che intraprendesse il percorso con Steiner, quindi è di scarso interesse. Non so se abbia cantato in italiano, ma ne dubito, considerando che nel libro lei si rifà anche a vocali non italiane; sono contento però che dia un risalto particolare alla "A". 

Altri punti oscuri: il plesso solare (quindi non il diaframma) lei lo indica come un elemento riflettente. Tutto il capitolo sul fiato; sono d'accordo che il respiro vada unificato, ma nella sua abituale suddivisione in diaframmatico e costale, mentre lei fa un riferimento alla respirazione epidermica, che esiste senz'altro, ma ho tanti dubbi su un suo ruolo attivo. E comunque non mi pare che consigli di unificare diaframmatica e costale, mentre resta legata alla diaframmatica, quindi mantenendo in vita una separazione, e anche questo mi pare contraddittorio. Alla fine scrive che non ci si deve accorgere della respirazione! Ah, meno male. 

Entra nel campo della parola, ma troppo poco. Anzi, all'inizio, lei "spara" contro il canto "parlato". Cosa significa non l'ho capito, ma non mi è piaciuto, Si intuisce che accenna a questo nel quadro di un canto "materiale", ma non è sufficientemente chiarito e induce a ulteriore confusione. 

Ho trovato piuttosto interessanti i suoi riferimenti all'orecchio (tranne quelli che vorrebbero far uscire la voce da lì!).

La sostanza del suo pensiero, da cosa ho potuto capire, è che i bambini hanno una vocalità ottima e che la pèrdono perché nessuno ha loro insegnato a cantare bene. Anche questo non è chiaro. Se cantano bene, cioè naturalmente, che bisogna ci sarebbe di insegnare? Se lo perdono è perché la vita li porta a cambiare. E che cosa è che li porta a cambiare? Un mutamento delle condizioni fisiologiche del corpo, nonché mutamenti socio-psicologici. Ma la cosa buffa che si dovrebbe evincere, è che dovrebbero essere i bambini ad insegnare ai loro compagni un po' più grandi a mantenere quello status vocale, la qual cosa però è quasi certo che non possa funzionare, perché i bambini sono inconsapevoli di come cantano (che poi mica tutti cantano bene), e non si può fare granché per fermare la muta, che è in gran parte responsabile delle difficoltà che subentrano nel canto. Non per nulla fu inventata quella barbara pratica della castrazione. 

In conclusione, ritengo sia un libro interessante sul piano filosofico, ma decisamente da non seguire sul piano teorico-pratico, per carenze conoscitive e voli pindarici non suffragati da chiarimenti oggettivi e fondamenti accuratamente svelati. Sicuramente nei prossimi giorni farò alcuni commenti relativi a specifici argomenti che mi hanno sollecitato dalla lettura di questo libro.


Nessun commento:

Posta un commento