Translate

mercoledì, dicembre 06, 2023

"... coraggio aver conviene..."

 Verso la fine del 1° atto del Don Giovanni, tre personaggi dell'opera, il tenore e due soprani, si presentano mascherati alla festa data dal protagonista per scoprire chi costui sia veramente, se il "nobil cavalier" o il malvagio seduttore. E la verità verrà a galla. Nel presentarsi, per l'appunto, si fanno coraggio, perché intuiscono che Don Giovanni può essere anche pericoloso, se emergesse, come emergerà, che è lui l'uccisore del padre di Donna Anna. 

Allora bisogna riconoscere che studiare canto in una scuola che vuole svelare come stanno davvero le cose, richiede molto coraggio. La voce per affrontare il canto artistico non è riconosciuta dalla nostra mente, quindi viene osteggiata e per chi è alle prime armi o sta percorrendo strade errate, è inconoscibile, coperta da uno strato di fumo denso. Quindi ci si avvicina guidati dall'insegnante che conosce la strada giusta anche al buio, e bisogna fidarsi, fidarsi delle proprie risorse e credere nella possibilità di perfezione insita nella nostra natura umana, che è fatta di corpo (animale) e di spirito (divino). Ad ogni passo ci sentiremo legati e intimoriti dalla paura di commettere errori, gridare, spingere, ingolare... quindi bisogna togliere, alleggerire, semplificare, e questo comporterà altre paure. Siate eroi. non demordete, ma nell'umiltà, nella determinatezza. 

domenica, novembre 12, 2023

Chi l'ha... detto?

 A me non interessa sapere "CHI" e "COSA" ha detto o ha formulato determinate cose riguardanti il canto; a me interessa sapere "PERCHE'" le ha dette, ovvero, su quali basi, su quali fondamenti. Tutto il resto... è noia!

sabato, novembre 04, 2023

Le unità

 Conquistare un'arte significa in sintesi: UNIFICARE. Nel caso della voce noi abbiamo: 1) unificazione dei tre apparati alimentante (fiato), produttivo (laringe) e articolatorio-amplificante (bocca e spazi oro-faringei); 2) unificazione dei registri (cosiddetti petto e falsetto-testa) che significa anche unificazione delle posture cordali e relative meccaniche nonché tutto ciò che si relazione con essi in modo diversificato, a cominciare dal fiato. Se il fiato alimenta in modo differenziato la voce parlata centrale e quella acuta, c'è una dualità e quindi una difformità e una impossibilità di rendere il tratto unico ed esemplare (del resto, anche petto e testa sono una dualità risonante, da unificare!). 

Dopodiché abbiamo le unificazioni di tipo musicale, che attengono alla fenomenologia, quindi unificare gli intervalli e fino a un intero brano, quindi vivere la fine contenuta nell'inizio. 

Ogni volta che ci si trova di fronte a una dualità, occorre meditare su come annullarla, perché viceversa non sarà mai possibile un risultato artistico.

martedì, ottobre 31, 2023

Lo "sgancio" della laringe

 Una delle cose più importanti e meno facili nello studio del canto, consiste nello "sganciare" la laringe dal suo ruolo fisiologico di valvola dei polmoni. Purtroppo è anche una delle cose meno risapute, per cui nell'insegnamento di tanti, non si fa caso a questo problema, anche se si coglie che un problema c'è, nel senso che si fa presente agli allievi che la laringe non dovrebbe alzarsi (il che in realtà è un altro grave errore) e quindi invitano a premere verso il basso per non farla alzare. 

La questione in realtà è piuttosto semplice. Parto, però, già dalla conclusione per poi spiegare tutta la questione come sta. La parola ben pronunciata è quella che richiama la laringe al suo ruolo musicale. Quando parliamo, la laringe non svolge, se non in rari momenti e per frazioni minime di tempo, il suo ruolo fisiologico, ed è al servizio della parola. Nel momento in cui vogliamo cantare, cioè emettere SUONI o cantare ma senza dare il dovuto rilievo alla parola, la mente non avverte più l'esigenza primaria del parlato, e torna ad agganciare la laringe al fiato fisiologico, che quindi tornerà ad esercitare la pressione sottoglottica in modo inopportuno dal punto di vista canoro, provocandone il sollevamento. Ovviamente la soluzione di premere verso il basso è la peggiore possibile, perché si mette in moto una catena di azioni e reazioni che sicuramente non possono essere virtuose, né per il canto né per la salute dell'apparato respiratorio-vocale. 

Il fatto di privilegiare il vocalizzo alla sillabazione e al parlato è infausto, perché risulta difficile poter dare alla semplice vocale lo stesso rilievo di una parola o di una sillaba ben detta. Ecco perché il passaggio alla vocale andrà fatto prudentemente partendo dalla parola. Ad es. pronunciando e cantando la frase "ma l'amore va" un po' di volte, ci si potrà fermare una volta sulla "O" (ma l'amoooooo), una volta sulla "A" (ma l'amore vaaaaa), e così via, ma tornando sempre sulla frase, in modo da non discostarsi da quella condizione e soprattutto dalla posizione che si guadagna grazie al parlato.

La laringe è un organo mobile, per cui DEVE potersi abbassare e alzare, e il volerla tenere ferma è un errore micidiale, anche se sappiamo che molti cantanti con questo "trucco" riescono a cantare, o meglio, fare suoni anche rilevanti, ma addossando un carico insalubre alla laringe stessa, che qualcuno potrà pagare caramente.

Ciò che ho scritto in questa pagina, è una delle conquiste più importanti che si possono arrivare a fare in questo studio, in quest'arte, ed è pazzesco che pochissimi nella Storia siano arrivati a comprenderlo e a metterlo in pratica. Ancora all'inizio del 900 parecchi cantanti avevano una emissione straordinaria, quindi possiamo arguire che, intuitivamente, diversi ci erano arrivati. Poi, per presunzione, arroganza, fretta, narcisismo, è stato buttato tutto alle ortiche e oggi si viaggia con le idee più strampalate in testa, e i cantanti che sono in carriera, pressoché unicamente per doti e privilegi innati, cantano come possono, e anche quando cantano bene durano poco, perché quella condizione non è conquistata dalla coscienza, quindi non è conosciuta e quindi ricondotta alle funzioni esistenziali. 

venerdì, ottobre 27, 2023

Dei muscoli e della tridimensionalità

 Mi sono soffermato lungamente sulla necessità di sganciare la vocalità dalla muscolatura interna, cioè il contrario di quanto si fa in genere nelle scuole di canto attuali. Però nella fase iniziale dello studio, capita che richieda una certa partecipazione di alcuni muscoli facciali, al punto da definire tutta la parte compresa tra mento e zigomi "la tastiera del cantante". E' infatti evidente che la corretta emissione di alcune specifiche vocali, come la "I", la "é" e la "O" richiedano un certo atteggiamento dei muscoli facciali. Questo atteggiamento è genericamente dolce e spontaneo nelle persone, durante il normale eloquio, ma si tende ad abbandonarlo quando si passa al canto, specie se impegnato. Questo fatto può far pensare a una contraddizione. Come ho già spiegato in diversi momenti, l'insegnamento del canto non può sintetizzarsi in un unicum, ma richiede non meno di tre fasi. Una fase che possiamo definire propedeutica, una fase di stabilizzazione e una di perfezionamento. In questi momenti le problematiche da gestire sono o possono essere differenti, e differenti, quindi, anche gli strumenti da impiegare. Nella prima fase il problema più cogente è quello di far sì che la voce nasca e si sviluppi esternamente. Se questo avviene naturalmente quando si parla, è molto più difficile che avvenga appena si intona, specie se si vuol dare maggiore intentistà e se ci si avventura se tessiture più acute. Come è noto, il modo più corretto per sviluppare il fiato consiste nel partire dal parlato, perfezionarlo ed estenderlo. Ma per molti è una linea troppo lunga e impegnativa, o almeno così a loro appare, e dunque bisogna affrettarsi a passare al vocalizzo e al canto, dove le conseguenze della reattività del corpo sono più forti. Pertanto, ecco che occorre ricorrere a qualche mezzo che possa tenere sotto controllo le reazioni e consentire alla voce di portarsi avanti. Un utilizzo sapiente della muscolatura labiale, risoria e zigomale permette di pronunciare adeguatamente le tre vocali suddette. Tutto bene, quindi? Non proprio. La muscolatura esterna ha dei riflessi su quella interna, per cui se si applicano delle tensioni, possiamo essere certi che la fluidità vocale ne avrà riscontro, quindi è necessario che, qualora l'insegnante abbia ritenuto di far ricorso a questa modalità, dovrà poi insistere per toglierla, il prima possibile. Quale deve essere la vera condizione del canto? Che tutto si formi esternamente, e anche la muscolatura esterna del viso resti pressoché impassibile, con appena accenni della pronuncia. Questa è una condizione che per molti risulterà al limite dell'impossibile! Eppure occorre assolutamente arrivarci. La voce è come se venisse vista, oltre che udita, non formulata muscolarmente!

Adesso passiamo a un altro fattore, non meno importante e legato in parte al precedente. Lo studio del canto si associa, nelle parole degli insegnanti, a procedure dimensionali, che solitamente sono solo due, cioè sopra e sotto, o alto e basso. L'alto è il regno della "maschera", delle cavità sopraglottiche, della bocca, del naso, del faringe; il sotto è il regno sooprattutto del diaframma, della pancia, della schiena e per qualche insegnante anche più giù. Per me questa dimensione è da lasciar stare! Più interessante è quella orizzontale, che però non riguarda "avanti" e "dietro", ma solo l'"avanti", dove però ci sta la terza dimensione, cioè il laterale, destra e sinistra. Spiego meglio. Prima di tutto questo avanti non è generico, ma è relativo all'intensità e all'altezza della tessitura. Siccome la colonna d'aria, man mano che si sale nella tessitura, a causa dell'aumento di tensione, tende a raddrizzarsi e a portarsi verso il centro della calotta cranica, noi dobbiamo fare in modo che questo NON avvenga, perché porterebbe allo spoggio! Il palato è l'elemento che può impedire il raddrizzamento e proiettare la voce verso l'arcata mandibolare superiore e verso l'esterno, Questo però, specie nei primi tempi, creerà una pressione non indifferente, per cui sarà probabile che spesso la voce arretri e si opacizzi. In ogni modo, anche quando si riuscirà a crearla esternamente, questo dato non potrà essere generico. Se parliamo di vocali perlopiù verticali, come la A e la O (anche la "è"), man mano che si sale nella scala occorrerà compensare il fatto di non salire (NON SI DEVE PENSARE IN ALCUN MODO DI ALZARE) lanciando la voce più lontano. Banalmente a volte consiglio di pensare alle diverse note come a delle orbite, e quindi saltare da un'orbita all'altra più lontana salendo. Questo succede anche nella vocali più orizzontali, come la "I" e la "é", che però hanno necessità di una espansione laterale, per cui salendo occorre anche lanciare maggiormente a destra e sinistra. 

martedì, settembre 19, 2023

I due motori

 Si può dire che nel canto possiamo contare su due motori [dal lat. motor -oris, «che mette in movimento»], uno attivo e uno passivo. Il motore attivo è la parola, è ciò che motiva e aziona la "macchina" vocale. Se il testo non suscita l'interesse e la volontà del cantante, cioè non è coinvolto da essa, il motore non funziona, ovvero non aziona correttamente l'altro. Il motore passivo è il fiato-diaframma. Nelle scuole di canto non si fa che agire (o meglio, tentare di agire) su di esso con varie tecniche ed espedienti, quasi tutti fallaci e comportanti difetti più o meno gravi. E' assurdo spingere, premere, affondandare, ecc. Il fiato ha un proprio fuinzionamento istintivo, basato su principi fisici e fisiologici perfetti. Ciò che manca a questo meccanismo nel canto artistico è la qualità, ovvero la costanza, la regolarità, la relazione mirabile con la laringe e l'articolazione. Ma, per l'appunto, questa caratteristica si sviluppa e si raggiunge proprio grazie a come si pronuncia e si muovono il parlato e la melodia. Affinché la parola sia ricca di significato e abbia il giusto carattere, la giusta intensità, necessita del giusto apporto respiratorio. Quindi è concentrandosi su questi aspetti che essa azionerà il motore respiratorio opportuno. Così e non diversamente, cioè non azionandolo volontariamente secondo modalità del tutto prive di relazioni e arbitrarie. 

domenica, settembre 03, 2023

Il salto quantico

 E' stato osservato che ogni tanto l'elettrone, all'interno dell'atomo, cambia orbita, modificando anche la propria energia. E' un salto (cui è stato dato il nome di salto quantico) di cui non si conosce a fondo la motivazione e la meccanica, in ogni modo... succede! Quindi, per analogia, si parla di salto quantico ogni qual volta c'è un cambio di vita, di posizione mentale. Nell'apprendimento dell'arte, è necessario un salto quantico, che corrisponde a: lasciar andare, cioè non preoccuparsi più di ciò che succede e soprattutto succederà. Lo studio, l'esercizio, creano le condizioni evolutive, che successivamente metteranno il soggetto in grado di produrre arte senza fare niente, cioè "naturalmente", ovvero aver reso naturale ciò che originariamente non lo era, in quanto non conosciuto. Se si continua a intervenire volontariamente con azioni pensando di guidare, di indirizzare, di correggere, ecc., impediamo di fatto che ciò che abbiamo educato possa operare liberamente. Non pensate, non cercate, non agite, lasciate fare, non mettete i bastoni tra le ruote!

giovedì, agosto 17, 2023

La fonte della vita

Si deve sempre tener conto del fatto che l'unità ha sempre un valore enormemente superiore alla somma dei componenti, in qualunque modo si voglia considerarli. Nella voce si arriva alla stessa conclusione. Essa è sì il prodotto di un insieme di elementi, fiato, diaframma, laringe, faringe,... ma essi non sono che un'ombra rispetto al valore trascendentale di una voce artisticamente educata. Lo stesso vale per una pagina di musica di un compositore di vaglia. Cosa sono ... tante note? niente! Solo il tutto, cioè la pagina nel suo insieme, possiede un valore più o meno elevato a seconda del livello conoscitivo dell'autore. 

venerdì, agosto 11, 2023

Suoni aperti e voce aperta

 C'è una differenza non di poco conto tra parlare di suoni aperti e di voce aperta. Gigli disse di non voler insegnare perché avrebbe indotto gli allievi a fare suoni aperti, come lui talvolta faceva, che sono "pericolosi". La differenza sostanziale tra Schipa, il cui magistero vocale era superiore a quello di Gigli, che pure è stato un cantante strepitoso, sta in questo. Gigli non era arrivato a quell'arte respiratoria che, soprattutto nel canto forte, gli permettesse di avere tutta la voce esterna e galleggiante (come invece gli consentiva quella voce sospirata e delicata che spesso utilizzava nelle arie più "leggere"). Capitava allora che nelle frasi molto concitate e veriste, quando superava la soglia del cosiddetto passaggio, quindi oltre il fa-fa#3, allargasse i suoni, che quindi risultavano un po' più tendendi al grido, un po' eccessivi e volgari. Tornando a questioni già affrontate, ricordiamo che il suono è quella vibrazione anonima frutto dell'attività fisica delle corde vocali, il "materiale" che servirà da fonte per la produzione vocale. Quindi la voce aperta è qualcosa di più raffinato e corretto rispetto al suono aperto. La voce aperta è voce chiaramente comprensibile, omogenea in tutta l'estensione, priva di cambi, scalini, colori differenziati. Schipa, anche se non proprio sempre, riusciva ad utilizzare perlopiù una voce aperta, cioè uguale in ogni settore, con la possibilità di utilizzo della parola perfettamente pronunciata tanto nel centro quanto nell'acuto. Questo ovviamente si rifaceva a un'arte respiratoria rara.

sabato, luglio 22, 2023

Vincere la forza di gravità

 Per un direttore d'orchestra, ma anche un pianista e pure un violinista, la forza di gravità è una legge piuttosto gravosa da affrontare e conseguentemente vincere! Il braccio di costoro risente del peso e questo impedisce la libertà che necessiterebbe per affrontare il proprio lavoro musicale, in quanto oberato da colpi, accenti e pressioni che non sempre sono coerenti con il percorso musicale che si sta compiendo. Anche nel canto dobbiamo vedercela con la legge di gravità, che in continuazione rischia di minare la bontà dell'emissione. Quando... e come?

Ad esempio, quando passiamo da una "I" ad una "A", non c'è solo il fatto che risulta quasi necessario aprire la bocca, ma questo comporta una "caduta" del fiato-suono verso il basso e quindi verso il dietro. Ma anche solo il passaggio dalla "I" alla "E", seppure chiara e senza accento (la congiunzione), la maggior parte di chi canta tende ad accentare con impulsi verso il basso, premendo sulla lingua se non sulla glottide. Per la verità il problema il più delle volte si sviluppa già a partire dalla "I", a cui viene associato un accento, ovviamente verso il basso. Per questo chiedo un "si" senza accento e dove la "I" segue la "S" sullo stesso piano, senza colpi. Noi dobbiamo costantemente aver presente che c'è e ci deve essere scorrimento, consumo sottile, Qual è o quale dovrebbe essere la condizione che vince la gravità? Il galleggiamento. Esso è da considerare la parte più evoluta, e quindi più impegnativa dell'apprendi-mento del canto artistico. E' veramente la parte più elevata, che richiede una capacità di concentrazione fuori del comune e una forza spirituale straordinaria. Il fiato polmonare, la grande spugna, deve galleggiare sul diaframma, non premere (!), e il fiato-suono che si crea, che va ad alimentare la voce-parola fuori della bocca, non deve premere da nessuna parte. A differenza delle braccia, l'aria ha un peso pressoché irrilevante, per cui può galleggiare senza particolari problemi, il suono transita in essa (aria) senza ulteriore appensantimento, se non ce lo mettiamo noi. E' una condizione "spaccacervello", me ne rendo conto, ma siamo nella condizione di farlo, tutti, dobbiamo solo avere molta pazienza. La vocale va attaccata senza accento fuori della bocca, come se lei stessa estraesse il suono-fiato dalla bocca, e deve proseguire in questo modo allontanandosi da noi. Il cambio delle vocali non deve mai gravare, non deve produrre indietreggiamento e soprattutto peso e abbassamento sulla lingua, sulla mandibola e men che meno su laringe e diaframma. E', in sostanza, esattamente il contrario di quello che chiede il 99% delle altre scuole. Sembra una follia, eppure ci sono i fondamenti, i principi per poter dire e dimostrare che è così, a partire dall'esempio. Purtroppo noi siamo schiavi del nostro sistema animale e quindi fisico, a partire dalla mente, e non siamo in grado di governare il fiato, però possiamo lasciarlo scorrere cercando di rilassare il fisico. Cosa intendeva Antonio Cotogni quando diceva "è come cantare tutto in falsetto"? Se si prova a emettere una vocale in un soffice falsetto, noterete che non v'è peso, non c'è gravità. Se si prova a replicare la stessa vocale in voce mantenendo quella levità, ci si renderà conto che è possibile, avviene un galleggiamento sonoro, e non si perde sonorità, ma anzi migliora con tutta una serie di possibili effetti migliorativi perché è tutto più leggero, quindi non c'è bisogno di usare forza e pressione, che sono i deterrenti peggiori della vocalità. Ma frasi del genere le ho viste/sentite da altri cantanti, specie del passato. Perché le abbiamo dimenticate o ignorate? Oggi non si fa che parlare di appoggio, intendendo una pressione verso il basso. Eppure una volta non se ne parlava, e grandissimi cantanti ce n'erano. Lo stesso Gigli, pur facendo confusione, dimostra la possibilità di cantare senza appoggio, anche se per lui era solo il canto in una sorta di falsettone, ma in realtà lui cantava praticamente tutto senza pressione verso il basso, ma già quel poco faceva perdere la perfezione. Forse si penserà che non mettendo il peso la voce resterà troppo leggera, troppo chiara, poco potente, ma non è così! Bisogna comprendere in cosa consiste realmente l'appoggio, che non è e non deve mai essere rivolto verso il basso, ma deve consistere nel concentrarsi sulla parola, sulla verità delle vocali e delle consonanti, delle sillabe e tutto il resto. La parola è divina, e sottovalutarla, come ormai si fa da decenni, significa rendere la voce difettosa e carente, ed è la giusta punizione per la presunzione che si adotta credendo di saperne più del nostro corpo!

lunedì, luglio 17, 2023

Del rinascere

 Nel percorso per raggiungere la perfezione artistica, ci può essere un momento che si può definire di "morte" e rinascita. Morire significa abbandonare tutto ciò cui siamo (stati) abituati nel tempo a svolgere per praticare quell'attività che ora noi siamo in procinto di elevare ad arte. Rinascere vuol dire indossare i nuovi abiti di quella vita che ci si apre. Vuol dire non guardarsi indietro se non con compassione, non provare alcuna nostalgia, non avere alcun dubbio che si stia praticando il vero e il giusto. E' una certezza interiore e una visione del mondo nuova e piacevole. Indossiamo nuovi abiti e guardiamo con nuovi occhi. E' una rivoluzione, che può essere entusiasmamte e straordinaria ma che ci dà anche pace, serenità, tranquillità. Il raggiungimento di quello stato passa per la riduzione o addirittira eliminazione dell'ego, per cui la consapevolezza di aver raggiunto un non oltre nella nostra arte, non ci procura quella condizione di poter battere tutti, diventare famosi e umiliare gli avversari. L'arte è amore, condivisione, insegnamento, per cui deve essere usata per cercare di migliorare lo stato generale dei nostri simili, per aiutare gli altri a raggiungere uno stato più elevato senza voler imporre alcunché, anche perché ben pochi crederanno a quanto diciamo, o incuteremo timore e diffidenza, per cui si deve agire con cautela, e perlopiù sarà meglio tacere.

martedì, luglio 11, 2023

Libertà laringea

 Tra le tante cose inopportune che vengono praticate in molte scuole di canto, una di quelle che ritengo più negative e violente è l'agire direttamente, volontariamente, sulla laringe. Quante volte ho visto e sentito ordinare agli allievi di premere su di essa! Il motivo è presto spiegato. Specie nei primi tempi di studio, la laringe tende a salire, anche repentinamente, quando si tentano suoni forti ed acuti., quindi il rimedio che sembra più immediato e logico consiste nell'agire in senso opposto, quindi premerla in giù. Non solo poche informazioni anatomiche e fisiologiche, ma semplici osservazioni (congruenti con quelle già praticate dai Garcia a metà Ottocento) sarebbero sufficienti a verificare che la Natura ha predisposto che la laringe debba oscillare (e dunque non gli va impedito), fluttuare nel canale faringeo, Guardando il "pomo d'Adamo" di qualunque cantante maschio, più evidente di quello femminile, quando dice "I" e quando dice "U", si osserverà senza ombra di dubbio che nel primo caso si solleva parecchio e nel secondo caso si abbassa. Se si imprime una forza verso il basso sulla laringe, si compie una violenza, una forzatura decisamente inopportuna e che comunque distorce la tendenza naturale, per cui il risultato sarà inevitabilmente difettoso. Fin qui le osservazioni per fugare ogni volontà o tendenza a fare azioni fisiche. Dopodiciò ci sono altre questioni che riguardano il canto.

Come ho poc'anzi scritto, la "I" e la "U", agli estremi, comportano dei movimenti evidenti della laringe. Naturalmente questi avvengono anche nelle altre vocali, in base al colore. Il colore chiaro tenderà a far alzare, il colore scuro a far scendere la laringe. Ora, il motivo per cui si agisce ssu di essa, si muove dalla percezione che molto spesso il sollevamento della laringe comporta anche lo spoggio del suono. Istintivamente laringe e diaframma si muovono parallelamente, quindi il sollevamento della laringe può comportare anche quello del diaframma, e conseguente spoggio del fiato e quindi della voce. Chi si ferma qui dirà: "allora è motivato il premere verso il basso!" Assolutamente no! Ho ben scritto "istintivamente!", cioè è qualcosa che riguarda il rapporto respiratorio e valvolare dell'apparato. Noi abbiamo un elevato obiettivo: trasformare l'apparato vocale in apparato vocale, almeno per il tempo in cui ci serve a tal scopo. In pratica questo significa "sganciare" la laringe dal suo ruolo valvolare e permetterle di fluttuare liberamente, cosa che già avviene quando parliamo. 

Capita, dunque, che quando si passa da una "O", "U" o anche una "A" molto ampia a una "I" o "É" stretta, si può essere tentati di premere verso il basso o di fare una "I" o "È" oscurate per evitare il sollevamento della laringe. Dove sta la semplice soluzione di tutto questo? Nella posizione avanzata della voce, fuori dalla bocca. Questa posizione crea automaticamente lo sgancio della laringe, per cui passare da "U" a "I" od "É", non solo non comporta alcun problema di spoggio, ma permette sempre la migliore posizione della voce. Bisogna vincere la paura ed evitare di compiere frenate e allargamenti indebiti, ma sempre con l'obiettivo della libertà, del parlar cantando. Questo argomento si sposa anche con la pessima idea di pensare l'appoggio come una pressione verso il basso.

martedì, giugno 20, 2023

Della distruttività

 La distruttività è un forte desiderio di creatività, frustrato, ostacolato, quindi una reazione istintiva. Può giungere anche a far male a sé stessi. Molte persone potremmo dire che arrivano a un canto distruttivo per non aver saputo - o trovato - le condizioni per cantare correttamente. Anche per impazienza.

domenica, maggio 14, 2023

Del controllo

 Tutto ciò che cerchi

di controllare finisce per controllarti.

Non pensate di controllare la voce, inteso come emissione, non è possibile, ovvero è possibile ma solo muscolarmente, cioè non artisticamente.La voce è fondamentalmente fiato, e il fiato non si può controllare. Si devono creare le condizioni affinché il fiato possa evolversi e originare la voce perfetta.

martedì, aprile 04, 2023

Al di là del muro

 Chi abita in un condominio ben sa che la voce riesce a superare l'ostacolo delle pareti. Se voi voleste passare al di là di un muro, dovreste praticare un foro, ma la voce passa, senza rompere niente. Ecco, tanta gente che canta, sembra non rendersi conto che la voce viaggia e supera gli ostacoli da sé, mentre non si fa che imprimere forza, spinta, come se si dovesse abbattare le pareti. Allora quando cantiamo, possiamo pensare di avere un muro davanti, ma NON sfondarlo, non abbatterlo, ma avere in mente che la voce supera quell'ostacolo semplicemente in virtù della sua leggerezza, della sua sottigliezza... già, perché più è sottile, più è raffinata, più potrà filtrare tra atomi e molecole e correre libera, mentre gridare, premere, ingrossare, allargare, non faranno che esercitare una inutile, velleitaria pressione su quel muro, che ovviamente non cederà a un'energia così eterica. Quindi, perché si insiste su una azione erronea, come la forza, nei riguardi di una attività umana, la voce, che invece ha i propri attributi in senso opposto, nella leggerezza, nella volatilità, nella raffinatezza, nell'eleganza, nella dolcezza. Si dirà che spesso e volentieri nell'opera ci sono scene che richiedono dosi massicce di voce, e persino urli e strepiti. Vero, ma l'accesso a quel tipo di vocalità passa per la semplicità, per il minimo movimento, e non il contrario. Non è pensabile che un pianista diventi grande pestando e dando pugni sulla tastiera, semmai riuscirà a imprimere sonorità importanti esercitandosi a lungo su brani semplici, dove è richiesta espressività, legato o staccato puliti, omogeneità, calore. La voce è fatta di atomi, e qualunque ostacolo si presenti davanti a voi è anche fatto di atomi, e tra gli atomi ci sono immensi vuoti. Atomi con atomi si possono mescolare e gli ostacoli non sono più tali. Così come una cintura di sicurezza non cede se voi la strattonate, può essere invece interamente srotolata se la fate scorrere dolcemente. Quindi cantate pensando che la vostra voce appaia magicamente dall'altra parte di un muro, non perché l'avete sfondato, ma perché sapete come trapassarlo con l'arte raffinata di un canto esemplare.

venerdì, marzo 24, 2023

Cervello e spirito

 Nei tantissimi (troppi) scritti di questo blog, si trovano raramente riferimenti a cervello destro e sinistro. Viceversa la letteratura sull'arte si riferisce molto alle differenze tra questi due emisferi e indica, in particolare, a quello destro il luogo delle emozioni, della creatività, ecc. Sono d'accordo su questo, e non potrei non esserlo, visto che ci sono studi ed esperienze inoppugnabili. Ritengo però che concludere che tutto stia in questa condizione sia un assuunto incompleto. Il cervello, per quanto con differenze, a mio avviso può solo lavorare a livello fisico ed esperienziale, quindi come può intuire, come potrebbe inventare, ecc.? Abbiamo bisogno di un'entità che non abbia i limiti di tutto ciò che è fisico e materiale e che chiamiamo spirito, che poi ognuno può intendere come meglio crede. Lo spirito, poi, è anche ciò che modella e spinge il corpo e la mente in determinate direzioni e forme. Lo spirito è anche ciò che chiamo Conoscenza, in senso universale, cioè la Verità e perfezione cui tutto tende, pur frenato da un concetto stesso della verità, cioè la pericolosità della verità stessa, che per difendersi mette in campo le forze avverse e le difficoltà di comprensione ed elevazione. Non intendo entrare nello specifico della Gnoseologia, cioè lo studio della Conoscenza. E vorrei anche dire che non è così importante credere a quanto vado scrivendo a proposito. Va benissimo anche restare su parte dx e parte sx del cervello. Però mi pare anche giusto manifestare il mio, di pensiero, affinché si sappia in cosa credo e quali siano le fonti di quanto vado dicendo e scrivendo. Non chiedo a nessuno di condividerle, e tutto lo studio sulla vocalità che sto producendo può benissimo essere compreso anche senza approfondire questo aspetto. 

sabato, marzo 11, 2023

Suono ed esigenze evolutive

 Dopo poche pagine di lettura del libro della Valborg, ho trovato un argomento che inizialmente mi ha suscritato qualche dubbio. Anche lei è giunta alla determinazione che il suono è uno stadio intermedio rispetto alla voce, e ritiene che debba subire un processo di dematerializzazione, di spiritualizzazione. E' giusto, allora perché io non lo faccio e non ho neanche mai pensato di farlo? Beh, dopo poco ho trovato la risposta, che riguarda un po' tutto il pensiero didattico di questa scuola. Domanda: come facciamo a far sì che il fiato si evolva artisticamente? Partendo dal parlato ed estendendolo oltre la gamma del parlato comune. In questo modo si crea l'esigenza di una evoluzione respiratoria, in quanto il parlato è già contenuto nel nostro DNA, e solo un principio di economia fa sì che si limiti a una fascia ristretta, per cui il volerlo estendere non contrasta con i nostri principi istintivi. E questa è la filosofia di fondo di tutta la nostra didattica: c'è una esigenza spirituale che ci spinge a intraprendere lo studio di un'arte, la musica e il canto. Nel caso del suono, la Valborg vorrebbe spiritualizzare il suono, ma sulla base di quale esigenza? Facendo come lei suggerisce, diventa una tecnica, e una pratica piuttosto fine a sé stessa, quindi difficilmente sviluppabile. Lei poi fa sempre riferimento all'unità, ma pensare di sviluppare dei segmenti e poi sperare di unificarli resta, a mio avviso, una pratica molto tecnica e che il nostro corpo difficilmente può comprendere e a cui quindi dare agevolmente corso.

La nostra idea di evoluzione e quindi di sviluppo dei processi di "artistizzazione" della voce (come di altre arti) è che si deve sempre partire da ciò che si vuole ottenere individuando ciò che impedisce quel risultato e mettendo in opera esercizi che suscitino un'esigenza fisica che sblocchi gli elementi che impediscono il risultato atteso. Nel caso del suono vocale, cioè di una vibrazione fisica sonora, è evidente che si tratta di una emissione spontanea e piuttosto rozza (ma questo è anche un dato molto soggettivo). Siamo d'accordo che in un procedimento teso a un risultato artistico, esso vada raffinato, ma non in quanto suono slegato dal suo risultato ultimo, la voce parlata-cantata, bensì proprio dall'essere trainato dall'esigenza di avere una voce richiedente sfumature, colori, caratteristiche musicali ed espressive molto raffinate. Cioè anche l'idea di poter agire sul suono ed elaborandolo personalmente, ritengo ci sia un certo grado di presunzione. Lasciamo fare al nostro corpo e alle nostre elevate potenzialità di perfezione. E in questo senso mi riferisco anche ai tanti aspetti su cui insiste la Valborg nella "frantumazione" delle pratiche educative (ma lei dice fin dall'inizio che non si deve "educare" la voce... mi sarebbe piaciuto capire meglio cosa intendesse), tipo lavorare sulla tripartizione della lingua, e anche dei muscoli del viso, su cui sono abbastanza d'accordo, ma non c'è bisogno di "assumere a coscienza", come lei scrive, ogni muscolo, bensì permetterne lo sviluppo migliorando la pronuncia, che richiede l'uso di quesi muscoli. 

Facendo ancora riferimento a quanto scrisse la Valborg, ho meditato su un possibile equivoco, e cioè considerare dualistico il rapporto tra suono e voce. Per la verità io spingo molto a considerare come separati questi due elementi, dove a noi il suono non deve interessare, però è chiaro che non ci può essere una reale divisione. Il motivo per cui ne parlo come entità separate sta nella tendenza, molto accresciuta in questi ultimi anni, a premere o spingere sul suono (a causa della tendenza delle altre scuole a considerare il suono o voce internamente), il che può solo creare problemi. La realtà è che il suono è da considerare come il primo stadio di un processo evolutivo che si sviluppa nello spazio fino al suo punto focale massimo, che è esterno alla bocca. Non è da pensare in termini temporali, tutto avviene pressoché istantaneamente, però questo processo è di tipo dematerializzante, cioè dallo spazio appena superiore alle corde vocali, dove per l'appunto si forma il primo suono, del tutto anonimo e possiamo dire anche rozzo, grossolano, al punto focale esterno, c'è una perdita di materia, mentre cresce l'energia, la ricchezza timbrica, la velocità e ovviamente si perfeziona il significato. Tra il punto d'origine e il punto focale, c'è un sottilissimo legame relazionale, ma non deve essere concepito come un legaccio, come una corda o altra congiunzione forte e rigida, bensì come un raggio quasi inconsistente ed elastico. E' la voce che si alimenta, che "esige" una determinata materia cui attingere per dar vita alla parola o anche solo alla semplice vocale, quindi possiamo pensare al processo non come diretto dal fiato verso la parola, ma al contrario, cioè la parola che richiede, e ottiene se le premesse sono corrette. cioè di cui ha bisogno. 

mercoledì, marzo 08, 2023

Valborg Werbeck

 Grazie alla segnalazione di un lettore, ho potuto conoscere un testo che fin ora ignoravo: "La scuola del disvelamento della voce", di questa cantante svedese. Non ho perso tempo ad acquistarlo e leggerlo soprattutto perché ho subito notato il riferimento al grande antroposofo Rudolf Steiner. Ho poi anche appreso che esiste una scuola di canto, diciamo un metodo, intitolato a lei, e su youtube ci sono alcuni riferimenti a lei e alla sua scuola, che però mi pare perlopiù indirizzata a insegnamenti collettivi e di tipo terapeutico.

Dalla lettura ho tratto interesse ma anche forti perplessità. Non saprei se consigliarlo; il fatto che ci sia stata questa vicinanza con Rudolf Steiner, il quale ha approvato la sua scuola come inerente il mondo dell'antroposofia, è sicuramente positivo; anche diverse altre cose, di cui scriverò, non solo sono condivisibili, ma addirittura combaciano con alcune mie riflessioni e con le risultanze della mia scuola. Purtroppo ho trovato diversi aspetti assenti, poco o nulla fondati e alcuni anche molto discutibili. 

Comincerò col dire che trovo fondamentale, giusto e di sollievo che in un libro sul canto si parli ripetutamente di arte e di spiritualità, prendendo le distanze da ogni insegnamento meccanicista e materiale. Ciò che secondo me manca un po', in questa ottica, è un contributo più chiaro e specifico su cosa sia l'arte. Però, nella cornice steineriana, non potevano mancare i riferimenti all'unità, altra cosa fondamentale, che non ricordo aver letto su molti altri trattati o testi sulla voce. Dall'universo steineriano, poi ci sono frequenti riferimenti alla tripartizione, e qui le cose incominciano a complicarsi. Mentre l'ho trovato interessante per un lato, mi perplime da un altro la divisione in tre parti della corda vocale e della lingua, mentre non capisco perché manchi il fondamentale studio sulla tripartizione fiato-laringe-articolazione (ovviamente da unificare).

Sono contento che abbia precisato che l'insegnamento del canto può solo passare attraverso la frequentazione di un insegnante, e che sostanzialmente un libro non può insegnare. Come sempre, non può fare a meno di indicare molte attività pratiche, che rischiano di portare confusione ed errori anche non lievi!

Un altro elemento di similitudine con la mia scuola è il fatto di considerare come due entità il suono e la voce. Per la verità nella prima parte del libro c'è tutto un discorso su "nota" e "suono", che mi ha lasciato un po' perplesso, ma credo che ci sia difficoltà a comprendere a pieno a causa della traduzione dal tedesco, che infatti è segnalato nella prefazione. Il problema, grosso, è tutto un percorso che la Valborg descrive, per purificare il suono. Come sanno i miei allievi e lettori, sono quanto mai propenso a parlare di "purificazione", quindi di avvicinamento alla spiritualità e di dematerializzazione, però non con queste strane teniche. Questa è stata la fase che più mi ha lasciato meravigliato e confuso. Intanto il fatto di generare il suono con il discutibilissimo "NG", per cui come se si cantasse a bocca chiusa, che ho ampiamente dimostrato essere un metodo pessimo, portatore di problemi. Inoltre la cosiddetta "purificazione" passerebbe per strane tecniche che porterebbero la voce sopra la testa. Spiacente ma tutto questo non è stato svolto con sufficienti criteri e aspetti di fondamento che mi possano far capire i perché di tutto ciò. Peggio ancora la fase seguente, detta "espansione", dove lo stesso suono verrebbe indirizzato alle orecchie, internamente. 

La Valborg non fa mistero, e in questo siamo assolutamente sulla stessa onda, di non gradire l'intervento della scienza nell'insegnamento del canto. Ciononostante fa minuziose analisi della lingua e delle corde vocali, e infine spiega che il percorso è tutto basato sui muscoli, e che bisogna prendere coscienza di singoli elementi anche interni. Ritengo, pertanto, che ci siano non poche incoerenze.

Non sappiamo granché di come cantasse; una registrazione del 1905 presente su YT è relativa al suo primo periodo, prima che intraprendesse il percorso con Steiner, quindi è di scarso interesse. Non so se abbia cantato in italiano, ma ne dubito, considerando che nel libro lei si rifà anche a vocali non italiane; sono contento però che dia un risalto particolare alla "A". 

Altri punti oscuri: il plesso solare (quindi non il diaframma) lei lo indica come un elemento riflettente. Tutto il capitolo sul fiato; sono d'accordo che il respiro vada unificato, ma nella sua abituale suddivisione in diaframmatico e costale, mentre lei fa un riferimento alla respirazione epidermica, che esiste senz'altro, ma ho tanti dubbi su un suo ruolo attivo. E comunque non mi pare che consigli di unificare diaframmatica e costale, mentre resta legata alla diaframmatica, quindi mantenendo in vita una separazione, e anche questo mi pare contraddittorio. Alla fine scrive che non ci si deve accorgere della respirazione! Ah, meno male. 

Entra nel campo della parola, ma troppo poco. Anzi, all'inizio, lei "spara" contro il canto "parlato". Cosa significa non l'ho capito, ma non mi è piaciuto, Si intuisce che accenna a questo nel quadro di un canto "materiale", ma non è sufficientemente chiarito e induce a ulteriore confusione. 

Ho trovato piuttosto interessanti i suoi riferimenti all'orecchio (tranne quelli che vorrebbero far uscire la voce da lì!).

La sostanza del suo pensiero, da cosa ho potuto capire, è che i bambini hanno una vocalità ottima e che la pèrdono perché nessuno ha loro insegnato a cantare bene. Anche questo non è chiaro. Se cantano bene, cioè naturalmente, che bisogna ci sarebbe di insegnare? Se lo perdono è perché la vita li porta a cambiare. E che cosa è che li porta a cambiare? Un mutamento delle condizioni fisiologiche del corpo, nonché mutamenti socio-psicologici. Ma la cosa buffa che si dovrebbe evincere, è che dovrebbero essere i bambini ad insegnare ai loro compagni un po' più grandi a mantenere quello status vocale, la qual cosa però è quasi certo che non possa funzionare, perché i bambini sono inconsapevoli di come cantano (che poi mica tutti cantano bene), e non si può fare granché per fermare la muta, che è in gran parte responsabile delle difficoltà che subentrano nel canto. Non per nulla fu inventata quella barbara pratica della castrazione. 

In conclusione, ritengo sia un libro interessante sul piano filosofico, ma decisamente da non seguire sul piano teorico-pratico, per carenze conoscitive e voli pindarici non suffragati da chiarimenti oggettivi e fondamenti accuratamente svelati. Sicuramente nei prossimi giorni farò alcuni commenti relativi a specifici argomenti che mi hanno sollecitato dalla lettura di questo libro.


mercoledì, marzo 01, 2023

Della pressione

 In fondo tutto il problema della vocalità lirica gira attorno a questo tema: la pressione. Cosa sono l'appoggio, i registri, la gola larga, la laringe e il palato su o giù... se non un problema di pressione del fiato? Soltanto che questo apparente problema è come guardare il cielo con un cannocchiale rovesciato. E' stato ampiamente sperimentato e osservato scientificamente che di fiato per cantare ne basta pochissimo. Naturalmente anche in questa osservazione c'è un errore di fondo, cioè confondere la quantità con la qualità, ma a parte questo, posso anche dire che di pressione per un canto di alta qualità ne basta pochissimia. E invece è tutto il contrario. Come mai? La pressione c'è ed è anche piuttosto elevata, quanto più si cerca di cantare forte e di affrontare le note acute. Non si comprende che il nostro corpo non conosce il canto operistico e tende a confonderlo con lo sforzo. Il nostro corpo è programmato per affrontare sforzi di vario tipo. E' evidente a chiunque che nel momento in cui facciamo uno sforzo, tipo sollevare un peso, ma anche solo piegarsi in avanti e riprendere la posizione eretta, o anche fisiologicamente andare al bagno, la voce parlata non esce più con facilità, in proporzione allo sforzo che si compie. Se lo sforzo è notevole, la gola risulta del tutto chiusa. Quindi, semplicemente, per il nostro istinto il canto lirico è assimilato a uno sforzo, che solo in virtù di un processo di tolleranza, tende a diventare più dolce e meno aggressivo nel tempo, ma non per tutti. Ci sono stati e ci sono tutt'ora cantanti che si fanno quasi un vanto di cantare con fatica, vincere una opposizione. Pensate che coerenza: voler esercitare un'arte affrontando una guerra col proprio corpo. Però questo ha trovato e trova estimatori in chi vede i cantanti, soprattuto tenori e baritoni e soprattutto nelle opere più truculente, come eroi che devono lottare e vincere contro "il nemico"... ma ha senso che il nemico sia il proprio corpo? Dunque la verità è che noi dobbiamo considerare l'idea di abbassare il più possibile la pressione, perché è lei che causa i maggiori problemi e difetti, e questa fu una delle ultime affermazioni del m° Antonietti, cioè cantare piano e pianissimo, proprio per non suscitare aumento di pressione, finanche a passare al falsettino. Non che dal dire al fare non ci sia di mezzo il mare. La tendenza ad alzare l'intensità è sempre presente, e pressioni e contropressioni ci attirano e facciamo fatica a evitarle. Il vero parlato, quello quotidiano, ha sempre la pressione giusta, però quando usciamo dalla zona consueta della gamma dove esplichiamo il parlato, tendiamo a perdere l'incisività, la verità comunicativa. Non riusciamo più a dire "A", "E", "I", "O", "U", e tutte le sillabe e le parole. Allievi ancora dopo anni non riescono a pronunciare in modo esemplare in zone desuete, come l'acuta.Ci vuole una concentrazione che a volte sempre disumana. E invece è propria dell'uomo, ma ci costa tantissimo, però è l'unico mezzo se vogliamo raggiungere un obiettivo artistico davvero elevato. 

martedì, febbraio 21, 2023

La forza vitale

 Da un interessante breve documentario, apprendo che il celebre fisico Tesla, da un lato, e il grande antroposofo Rudolf Steiner dall'altro, sono arrivati a una medesima conclusione, e cioè che la scienza non ha compreso che l'energia non è solo quella elettromagnetica che prende normalmente in considerazione, ma esiste una energia più "sottile" a cui è stato dato il nome di forza vitale. La questione è un po' la stessa che riguarda materia e spirito, infatti di queste energie si sono occupati e si occupano tutt'ora, le filosofie (pratiche) orientali. Si pensi ad esempio all'agopuntura e alla digitopressione, ma anche più semplicemente alle discipline respiratorie contenute nelle pratiche di tutte le varie scienze tipo Yoga. In un certo senso posso dire che la nostra scuola di canto può raggiungere esiti simili, cioè "togliendo", raffinando, purificando, dematerializzando, possiamo conquistare quella condizione eterica per cui la voce può correre, espandersi, penetrare in ogni anfratto e anche nell'anima delle persone, e non accontentarsi di percuotere solo fisicamente i sensi. Consideriamo che come le onde elettromagnetiche, anche i suoni sono vibrazione, dunque sono fisici, materiali; tutto ciò che è fisico, incontrando altra materia, incontra opposizione, resistenza e quindi interferenza e problemi, dove uno dei due oggetti, voce e ostacolo, o entrambi, ne subiranno delle conseguenze. La voce, pur essendo in origine suono, può aspirare a una dimensione di energia eterica, dunque pressoché priva di materialità, quindi che penetra, attraversa la materia senza interferenze, senza resistenza, dunque non perdendo le caratteristiche potenziali e non creando problemi in ciò che incontra. Questo a cominciare dalla fonte emittente, cioè dagli apparati stessi del corpo. "Togliere" e "liberare" sono le due parole chiave che utilizzo maggiormente nell'insegnamento; saranno banali e forse anche scontate, ma ci sono i criteri e i fondamenti per poterne dare concreta realizzazione. La voce artistica, cioè svincolata, proiettata realmente nello spazio senza interferenze fisiche, cioè senza resistenze, ostacoli, opposizioni da parte del corpo, assume all'ascolto caratteristiche fantastiche, di pura energia, che lascia attoniti per la purezza, la ricchezza, la pienezza, l'omogeneità e la verità che promana. La straordinarietà è che chi canta con questa libertà, quasi non si accorge di cantare, talmente la voce procede nello spazio quasi indipendentemente, con un distacco e una autonomia da sembrare magici, impalpabili. Però quel "togliere", quel quasi non far niente, ai cantanti non sempre piace, e risulta una condizione che non è immaginabile e che a molti può parere una mancanza di impegno e di partecipazione. In realtà l'impegno c'è e pure la partecipazione, ma non sono fisici, non sono corporei, e in un certo senso neppure mentali, esclusa la concentrazione, perché è un impegno più profondo, che quasi non si avverte al livello sensoriale più superficiale. Però è un risultato che richiede tempo e che, ripeto, non tutti sono disposti ad accettare.

giovedì, febbraio 09, 2023

La conquista della libertà

 Leggevo poco fa un post su un "social" dove si diceva: "l'arte è la scienza della libertà, ecco perché siamo tutti artisti". Costui intenderebbe dire che siamo tutti liberi? Mi pare sia un grande sogno e che l'umanità in genere sia molto ma molto lontana da un ideale di libertà! Siamo, a mio parere, schiavi di abitudini (pensiamo solo alla dipendenza dall'orologio e dal cellulare!), di plagi, di convenzioni, e purtroppo anche del potere di alcuni. Posso dire che la frase è condivisibile, dal punto di vista potenziale. Tutti "possiamo" essere liberi, perché in noi c'è l'anelito alla libertà, e ci sono le possibilità di conquistarla. La Storia è piena di grandi uomini che hanno lottato e si sono dedicati strenuamente non solo a conquistare la libertà, ma anche a diffondere strumenti affinché altre persone possano rendersi liberi. Le vie possibili sono tante, ma il tratto distintivo è quello dell'arte. Quando si parla di arte c'è la tendenza, avvalorata da definizioni e indicazioni culturali non proprio corrette, di pensare alla pittura e scultura, poi alla musica, alla letteratura e a poco altro. Per contro c'è una diffusa tendenza a dichiare artistico ogni esibizione originale e fuori dagli schemi tradizionali. Anche questo è un sistema erroneo per confondere le acque e far passare per valido anche ciò che non ha alcun valore, e questo purtroppo è l'arma più affilata dell'ego. Convengo che l'arte sia conquistabile pressoché da chiunque, e possa riguardare qualsiasi attività umana, ma quella conquista è possibile solo da pochissimi, perché richiede un percorso di conseguimento di enorme difficoltà, che necessita quindi di uno spirito di sacrificio non comune, e quindi di un'esigenza di conquista straordinaria. Il canto, già a partire dalla vocalità, possiede questa possibilità in nuce, ma colgo sempre più essere un miraggio che una concreta possibilità, non perché le persone si sottraggano all'impegno necessario, ma perché è carente il "fuoco" interiore che spinge a superare qualsiasi ostacolo pur di raggiungere la meta. Però non so quanto questo sia un "peccato", o piuttosto una opportunità, perché solo in rari casi l'arte conquistata si dimostra realmente illuminante e gioiosa come è comunemente inteso. L'uomo è sempre più preda dei vizi, abitudini, modi di vivere di una società malata, la quale però ci mostra, accanto ai suoi peggiori effetti, gli aspetti più confortanti (che possiamo sintetizzare con: la vita comoda - mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione e diffusione, abitazioni e edifici di ogni genere, elettrodomestici e strumenti di lavoro meccanici, ecc.) che ci spingono verso una bambagia in cui crogiolarsi e a cui non riusciamo a rinunciare. (si veda il fatto che oggigiorno non vediamo più cortei, manifestazioni, proteste, rivoluzioni come un tempo contro ingiustizie e provvedimenti antidemocratici). In realtà non è che dobbiamo rinunciare realmente, ma è come se lo dovessimo fare, cioè dobbiamo eliminare quell'attaccamento a valori materiali e di possesso che ci rendono schiavi. Liberati dall'ego e dai legami delle abitudini, ecco che deve iniziare la disciplina per arrivare all'arte che ci è congeniale, che a questo punto diventa possibile, ma che è lunga e ci impone altre rinunce e fatiche, più mentali, psicologiche, che altro, che sono per lo più a "togliere", cioè a semplificare, ad alleggerire e a scoprire che il contrario. Quando si enuncia questo programma, tanti si entusiasmano, pensando di avere la forza e le caratteristiche per vincere, e si sentono già vincitori. Ma la realtà è ben altra e diversa e a volte la rinuncia arriva presto, oppure una continua attività che però non raggiunge mai l'obiettivo perché realmente manca un'accettazione sincera di quel traguardo, intuendo che non è propriamente ciò che ci si aspettava e che ci si illudeva di trovare.

La frase è di ASO Joseph Beuys, e l'ho trovata in questa pagina: https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/la-lezione-di-joseph-beuys-arte-scienza-della-liberta. Ci sono riflessioni sicuramente di un certo interesse, che quindi invito a leggere ed approfondire. 

mercoledì, febbraio 01, 2023

Significante, significato E vibrazione

 Succede che una persona parla, dice cose, ma noi non ascoltiamo realmente ciò che dice. E' una cosa che capita spesso. Andiamo a una conferenza, all'inizio il relatore ci "prende", ma pian piano ci distraiamo, cominciamo a pensare a cose nostre e non sentiamo più ciò che dice. Eppure lui parla, emette fonemi. Quindi manteniamo la capacità percettiva, ma perdiamo la coscienza percettiva, perché distratti dai pensieri (dualità). Questo può persino accadare quando siamo in due, uno parla e uno... NON ascolta. I nostri pensieri possono toglierci la coscienza percettiva persino in un colloquio uno a uno. Cosa ci arriva? Il significante, cioè le parole, ma perdiamo la capacità di cogliere il significato (anche se nel subcosciente è possibile che qualcosa arrivi ugualmente). Se la persona, magari accorgendosene, cominciasse a dire cose strane, di poco senso, forse non ce ne accorgeremmo, o perlomeno non subito. Se invece la persona cominciasse a parlare in un'altra lingua, o produrre suoni privi di senso, ce ne accorgeremmo, perché noi conserviamo la coscienza del significante, cioè finché la persona di fronte a noi dice cose che rientrano nel nostro codice, noi la sentiamo passivamente, anche se non raccogliamo i significati; se cambia il linguaggio, allora ci risvegliamo e ci accorgiamo anche che non stavamo ascoltando. Quindi i primi due livelli sono significante, codice, e significato, coscienza di ciò che ci viene detto, che comprendiamo. Finisce qui? No. Ciò che ci viene detto e che comprendiamo perché condiviamo un codice comune, non è detto che penetri in noi, ovvero che MUOVA la nostra coscienza. Non basta che noi prendiamo atto di ciò che ascoltiamo, ma è importante che i contenuti producano in noi movimenti della coscienza, che, detto in parole povere, chiamiamo emozioni (E-MOVEO = muovere fuori). La maggior parte delle cose che diciamo durante il giorno, possiamo dire siano neutre; parliamo del tempo, ci lamentiamo degli accadimenti socio-politici. Capita però che qualcuno ci parli magari delle condizioni di salute di un amico o un parente, o ci dia informazioni di qualche accadimento o di qualche previsione che ci colpisce (un forte aumento dei prezzi, ad es.) e ci fa provare qualcosa di spiacevole oppure di piacevole (la persona guarita, un aumento di stipendio...). Quando una persona ci dice qualcosa di molto forte, non nel senso dell'intensità fonica, ma del significato, possiamo dire che aggiunge un elemento ai due precedenti, e cioè una vibrazione specifica. Sappiamo che il suono è vibrazione, ma potremmo dire essere una vibrazione "anonima", cioè che ha esclusivamente un carattere fisico, ovvero è quella condizione esistenziale per cui un fenomeno può essere comunicato, può passare da un essere a un altro essere. In sè non c'è nessuna conoscenza e nessuna qualità specifica, può essere alto basso, forte, piano, ecc. ma non ci dà alcuna informazione. Se però i suoni vengono mossi, cioè si passa da una frequenza ad un'altra, ecco che già la coscienza si mette in attenzione e può cogliere dei significati. Potremmo definirlo un "codice macchina"; come saprete, un computer funziona, a livello base, semplicemente con segnali "acceso-spento", o "aperto-chiuso", che è il codice binario (0-1). Tutto ciò che noi vediamo o digitiamo su un computer, deriva o viene tradotto da una sequenza lunghissima di 0 e 1. Per arrivare a dialogare a un livello che sia facilmente accessibile da tutti, occorrono una serie di "interfacce", cioè traduttori, che passino dal codice binario a codici più elaborati, fino allo schermo con parole, icone, video, ecc. Tutti questi passaggi richiedono un lavoro, che causa rallentamenti. Per questo nel tempo sono stati necessari sempre più potenziamenti delle macchine, capacità mnemoniche, materiali "superveloci" che supportino quel lavoro. Anche la nostra mente e il nostro corpo possiedono un codice base, fatto di impulsi elettrici, nervosi, che trasportano informazioni e interagiscono tra di loro. La enorme differenza tra il lavoro di un pc e il nostro corpo-mente, sta nel fatto che il pc è "asettico", privo di coinvolgimenti, mentre il nostro codice è esattamente il contrario, cioè è quello che ci fa provare sentimenti e reazioni. Possiamo dire che il pc non coglie quella vibrazione complessiva che denota comunicazioni più profonde e complesse. Se io scrivo "amore" su un pc, sarà sempre una sequenza di caratteri, non sarà mai colta nella sua interezza di parola con una carica sentimentale, significato, ovvero resterà sempre al suo livello di significante, non solo, ma non potrà mai cogliere il contesto, quindi non solo cogliere il significato, ma anche se insieme alla parola giunge anche la vibrazione, cioè diciamo la passione, l'intenzione, proveniente dalla coscienza di colui o colei che pronuncia quella parola. Un bravo attore che recita, sa bene tutto ciò, quindi nel suo lavoro sa porre in giusto risalto e all'interno del giusto contesto le parole e le frasi, e riesce a far provare agli spettatori le stesse sensazioni che si potrebbero provare se quella scena fosse reale. In campo operistico, c'è un elemento intermedio tra il testo e l'attore (che più comunemente chiamiamo cantante, ma si tratta sempre di un attore, con una caratteristica in più), cioè il musicista, che inserisce un valore musicale-espressivo alla recitazione, cioè assume il ruolo della recitazione al posto dell'attore. Il problema che nasce molto spesso (molto molto spesso!) è che a farne le spese sono le protagoniste principali, cioè la parola e le frasi. Se per qualche Secolo musica e parola sono andate su per giù a braccetto (ma progressivamente riducendo il ruolo testuale), tra Ottocento e Novecento, ma in particolare nel secondo  dopoguerra e straordinariamente negli ultimi vent'anni, il ruolo della parola e delle frasi è venuto drasticamente meno. Le persone conoscono le melodie, magari un po' anche il testo, ma senza capirne davvero il o i significati (magari storpiando anche le parole), colpevoli spesso anche i librettisti. In questo quadro quindi noi ci ritroviamo in una desolante situazione di superficialità, dove sentiamo cantanti che di fatto urlano o farfugliano facendoci arrivare, se va bene, una parte del testo e insieme all'orchestra tutto il flusso musicale che però resta privo del proprio contesto drammaturgico, perché il compositore si è lasciato prendere dal testo per scrivere quella musica, quindi se nella realizzazione concreta il testo non viene adeguatamente esposto, mancherà un elemento fondamentale.  

giovedì, gennaio 26, 2023

Dello spazio

 Non è così scontato comprendere cos'è lo spazio. Se io guardo un locale vuoto, dirò che c'è molto spazio; se nel locale ci sono molti mobili e suppellettili, dirò che c'è poco spazio. Se penso alla bocca, al faringe, alle fosse nasali, dirò che c'è un certo spazio. Se noi riflettiamo in modo un po' più pignolo, dovremmo dire cose diverse, perché anche il locale vuoto in realtà non ha spazio, se considerassimo che è pieno d'aria! Quindi perché diciamo che c'è molto spazio? perché l'aria non ci crea ostacoli, quindi possiamo mettere oggetti dove c'è solo aria, mentre dove ci sono altri oggetti lo spazio viene ridotto. Questo è il pensiero concreto, ma nel nostro caso dobbiamo considerare che il canto non è un oggetto, ma è aria, che ha cambiato stato per essere stata messa in vibrazione, ma sempre aria è. Prima cosa. Seconda cosa: nel momento in cui decidiamo di cantare, così come parlare, nel condotto respiratorio, durante l'espirazione, si interpone un ostacolo, che sono le corde vocali. In un vecchio post avevo messo una raffigurazione, cioè una sequenza di pendoli. Lo rimetto qui per potervi fare riferimento. 




Come si vede, avevo dato a ciascuna pallina un ruolo: fiato, corde vocali, faringe, bocca, esterno. Adesso però devo fare qualche variazione. La prima, più che fiato, potrei indicarla come diaframma o muscolatura respiratoria e anche polmone, cioè quell'insieme di componenti che conferiscono energia al fiato. Altre componenti, come faringe e bocca, sono puramente condotti ove transita il fiato o il suono, mentre le c.v. sono il "traduttore", cioè l'organo che modifica il fiato in suono. Poi manca un elemento, cioè il o i punti ove il suono può trovare resistenza e creare risonanza o amplificazione. Prima di fare ulteriori commenti, consideriamo le cose alla luce di quanto detto sopra. Tra il diaframma e la bocca c'è aria, non c'è il vuoto! Ma qui non è come una stanza, dove ci interessano solo gli oggetti materiali; se si muove l'aria, io devo considerare che l'aria già presente costituisce un ostacolo, o comunque un elemento di cui dobbiamo tener conto. In effetti, nell'istante in cui nasce l'impulso al canto (ma anche alla parola), la base energetica, che possiamo identificare col diaframma, preme sull'aria già presente, la quale ha la sua "punta" sotto le c.v., dove si crea il suono, e a sua volta il suono crea una pressione sull'aria già presente che avrà una punta in qualche altro posto (sia il palato duro, in un determinato luogo o altri a seconda di come è atteggiato il faringe). In questa situazione noi abbiamo quello che definisco un "tubo spezzato", perché l'aria non costituisce un'unica colonna, ma è suddivisa in due tratti. In questa condizione, noi non potremo mai avere un canto realmente artistico, perché l'unica condizione perché ciò avvenga è che la colonna sua "una". Nell'arte noi dobbiamo sempre avere condizioni di unità e non di suddivisione. Sapendo che ciò che crea la suddivisione sono le c.v., ci si potrà chiedere come è possibile creare una colonna unica. Ma la risposta non è affatto difficile. Basta considerare l'anatomia e fisiologia della laringe. E' essa un organo fisso e immobile? no. E' un organo elastico e mobile. Ciò fa sì che essa fluttui nel flusso aereo e non opponga una vera resistenza, a meno che non lo facciamo noi o non si creino le condizioni perché ciò avvenga. Se noi blocchiamo la laringe volontariamente, abbiamo ipso facto creato un ostacolo fisso, quindi irrimediabilmente si creeranno due tronconi aerei, uno inferiore e uno superiore. Se non blocchiamo volontariamente, ma creiamo condizione di spoggio, tipo un eccesso di spinta o di intensità o di frequenze, il diaframma (istinto) reagirà con un sollevamento energico che spingerà sull'aria che farà sollevare la laringe in modo non funzionale al canto e di conseguenza la bloccherà in una posizione più alta, o comunque erronea, e questo tornerà a creare i due segmenti. Nel parlato tutto ciò non accade, la laringe è libera e relativamente autonoma (in realtà si muove relativamente ai molti parametri cui deve sottostare), in meravigliosa coordinazione con il fiato e con i movimenti articolatori. Tutto questo noi possiamo ricrearlo nel canto, ma tenendo presente che il parlato è già un senso (vocale verbale), mentre il canto no, e dobbiamo creare le condizioni perché lo divenga tramite la disciplina artistica. Quindi il motivo per cui noi possiamo generare una vocale nello spazio esterno in un determinato attimo senza che ci voglia un tempo affinché l'aria compia il processo, è che c'è questa catena che parte dal diaframma e giunge al punto focale senza che ci sia alcun movimento interno, esattamente come nella catena di pendoli, dove la prima pallina colpisce la seconda e immediatamente si alza l'ultima perché l'energia transita senza che vi sia alcun movimento. Potremmo dire che noi è come se con il semplice impulso mentale di voler cantare, ci trovassimo fuori della bocca il diaframma, le c.v., il suono grezzo e la vocale o sillaba conclusiva nello stesso istante. E questo significa anche che è profondamente errato dare un attacco interno. Ogni vocale o sillaba (quindi compresa la consonante iniziale) potrà e dovrà nascere istantaneamente nello spazio esterno. 

lunedì, gennaio 23, 2023

L'allievo e l'ego

 Mi sono soffermato ogni tanto a parlare dell'ego e dell'influenza gravemente negativa che ha sull'apprendimento e sulla pratica artistica. In qualche raro caso ho detto a chiare lettere a qualche allievo che il motivo per cui i progressi erano lenti, dipendevano dall'ego. Ho notato più incredulità che altro. Le persone "normali", cioè che conducono una vita tranquilla, senza particolari "grilli", non pensano e forse non credono di poter essere influenzate dall'ego, che di solito viene attribuito alle persone "importanti", o che si ritengono tali, ma la realtà è diversa, e cioè che più o meno tutti sottostiamo all'ego. Però forse è bene chiarire cos'è. L'ego è uno sdoppiamento di noi, dove però la nostra vera personalità, che chiamiamo "io", viene tenuta nascosta, e corrisponde al nostro stato di coscienza, che le persone stesse stentano a conoscere, tant'è vero che quando subentrano delle crisi, come la depressione, si ricorre allo psicologo, all'analista, ecc. per cercare di riportarla in superficie, ma la cosa è difficile, se non impossibile, se non si demolisce l'ego. L'ego ha una sua personalità, e rappresenta la parte più superficiale, meno nobile di noi, ma è anche la parte che punta dritta ai nostri desideri, è più coraggiosa. Quando ci sono delle spinte artistiche da parte dello spirito, l'ego subentra ed esalta questi desideri per farne oggetto di futuri successi e trionfi. Quando si decide di prendere lezioni (perché il più delle volte esso ci illude che possiamo farcela benissimo da soli), una delle prime domande che si pongono è: "ma quanto tempo ci vorrà?"! Certo, perché il tempo è denaro, dunque non bisogna perderne. Il che è anche vero, ma se siamo in campo artistico e il fuoco spirituale è vero e sincero, l'obiettivo è la perfezione, indipendentemente dal tempo. Allora fin dalla prima lezione si ricercano gli sviluppi, i progressi. Dopodiché a ogni lezione, che vada bene o male, si aspetta la prossima per fare quel salto che ci porta alla conclusione. Ma cosa c'è invece che non va? Due cose, entrambe importanti: la mente è "duale", cioè la presenza dell'ego e della sua personalità, divide la nostra mente, per cui ci siamo noi, a lezione, che però stentiamo ad ascoltare e comprendere tutto ciò che facciamo e tutto ciò che ci dice l'insegnante, perché una parte della mente è distratta, divisa, da quel sogno, da quel desiderio di arrivare. Non è oggi?, beh, sarà la prossima volta. Ma manca quella rilassatezza e quell'unità di pensiero che non ha fretta di arrivare, ma fa solo e unicamente ciò che c'è da fare, senza aspettarsi niente. La seconda cosa è la copertura della coscienza. Se non ci liberiamo dall'ego, la nostra coscienza rimane perennemente oscurata. Non riusciamo a vedere la verità, non riusciamo a prendere atto realmente dei nostri progressi, ce li rappresenta l'insegnante, li immaginiamo, ma non sappiamo sinceramente distinguere il buono dal meno buono, non intraprendiamo la strada per diventare maestri di noi stessi. Scoprire la coscienza vuol dire riconoscere i nostri errori, quindi probabile sofferenza. In realtà la sofferenza può esserci ugualmente, quando l'insegnante comincia a denunciare il minor avanzamento, la difficoltà di prosecuzione, ma la mente dice: "non importa, sarà per la prossima volta", e giù scuse (oggi non stavo bene, è un periodo così, ecc.). Demolire l'ego è molto difficile, ci espone, è come denudarci; l'ego è come una comoda coperta che nasconde la nostra parte più interiore e quindi intima e segreta, ma purtroppo lo fa anche verso noi stessi, cioè impedisce di vedere la nostra parte più profonda, ma questo non ci angustia, perché sappiamo che lì ci sono o ci possono essere aspetti di noi che possono non piacerci, dunque meglio non saperli. Allora ecco che i grandi e veri Maestri praticano le "docce di chiodi", cioè degli approcci che possono scatenare le nostre reazioni, ma che ci pongono di fronte a delle scelte: mi sta bene affrontare queste prove e quasi umiliazioni, o meglio l'insegnante buono e accogliente, magari anche severo, ma che non mi mette in questa situazione imbarazzante? Mettersi in gioco è sempre la scelta più difficile. Celibidache, dopo diversi anni che dirigeva i Berliner philarmoniker, una delle orchestre migliori del mondo, oltre 400 concerti in circa 5-6 anni, incontrando un suo grande insegnante, Heinz Thiessen, chiede un parere sul concerto che ha ascoltato, e quello risponde "sei un cretino, ti pavoneggi sul podio ma non ho sentito una nota di musica". L'ego avrebbe potuto benissimo saltar fuori e fregarsene di quel giudizio, o addirittura dare una rispostaccia. Invece Celibidache, che magari avrà sofferto per qualche istante e si sarà morso la lingua, chiese di incontrarlo e ricominciare a studiare. Si è rimesso in gioco e in quel momento è morto il vecchio Celi e nato il grande Celi, che rinunciò alle grandi orchestre, tranne, a fine carriera, i Munchner, e ha vissuto per l'arte, non per il successo, o indipendemente dal successo. 

venerdì, gennaio 20, 2023

dei sensi vocali

Tutti, o quasi, gli animali, posseggono la capacità di emettere segnali sonori ("il coccodrillo come fa?"). Questi segnali, che hanno motivazioni istintive (pericolo, dolore, aggressione, accoppiamento, ecc.), possiamo dire che siano sensi veri e propri, infatti riguardano tutta una specie e, a meno di traumi o patologie, sono sempre presenti durante la vita di ciascun essere. Essi sono costituiti da suoni, variamente modulati in base al sentimento che lo origina (se è dolore, se è rabbia, se è piacere...). Ovviamente esistono anche nell'uomo, e possiamo definirlo SENSO SONORO, appunto perché formato da suoni. Solo l'uomo ha poi avuto in dono dalla Conoscenza, la possibilità di svilupparlo in modo più avanzato, che possiamo definire SENSO VOCALE VERBALE. Vocale, lo dice la parola stessa, deriva dalla possibilità di emettere questi fonemi particolarmente sofisticati. Qualcuno potrebbe giustamente osservare che è tipico dell'uomo anche emettere le consonanti, e come mai non ottengono la stessa attenzione? Per almeno due ragioni. La prima: le consonanti hanno un'origine puramente fisica, cioè derivano dall'incontro di due parti anatomiche (lingua e palato, labbra, lingua e faringe...) e la maggior parte di esse non ha un suono proprio ma si deve alleare con la vocale che viene pronunciata successivamente (ba, bo, pi, pu, ecc.). La seconda: la consonte non è in relazione con i sentimenti e le emozioni, ci lasciano indifferenti. Viceversa le vocali hanno attinenza con la nostra interiorità, anche se a un livello piuttosto superficiale, non hanno certo l'incidenza delle parole, se dette con sincerità e verità nel giusto contesto. Dunque l'uomo possiede, oltre al senso sonoro, il senso vocale, ma legato alla parola, quindi verbale. E' vero che anche a livello spontaneo l'uomo può cantare, ma con varie limitazioni. Se non siamo in presenza di un caso particolarmente dotato, ci sono limiti di estensione, di intensità, di ricchezza armonica, di dinamica, senza contare i possibili limiti di natura musicale (intonazione di singole note e/o di eseguire determinati intervalli). La possibilità, dagli anni 30 del Novecento, di potersi avvalere di impianti di amplificazione, ha permesso a chi aveva una voce perlomeno intonata e di accettabile fattura estetica, di poter cantare un repertorio cosiddetto "leggero". In seguito, al mutare dei canoni estetici, si è allargata la platea anche agli "urlatori". La più sofisticata tecnologia oggi permette anche a persone non troppo intonate di poter cantare, perché gli impianti possono "aggiustare" le note in tempo reale. Purtroppo anche in campo operistico sono avvenuti dei cambiamenti. La microtecnologia oggi permette anche ai cantanti in teatro (e agli attori) di essere amplificati senza che il pubblico se ne avveda (ma spesso lo si fa anche in maniere evidente, tanto non c'è più molta protesta). Questo consente a cantanti con imperfetta, a volte anche decisamente carente, vocalità, non solo di cantare senza porsi il problema di farsi sentire, ma anche di fare determinati effetti, come i pianissimo, senza particolari patemi d'animo, suscitando ammirazione, laddove una volta i cantanti sudavano e non di rado andavano incontro a possibili incidenti, data la difficoltà di eseguirli. Possiamo dire che tutti questi cantanti non si discostano dal senso vocale verbale, riuscendo però a conquistare dei canoni di maggiore capacità canora grazie alla costanza e diligenza nello studio che riesce ad abbassare, anche considerevolmente, le reazioni dell'istinto sfruttando la sua tolleranza, dal momento che riconosce la scarsa pericolosità di quest'attività, ma resta in guardia e comunque andrà sempre a cercare di riprendersi i favori concessi, in quanto richiedono un consumo di energie elevate, non previste dal programma di conservazione, difesa e perpetuazione della specie. L'unico modo, che possiamo riconoscere essere al limite del possibile, è creare un ulteriore senso, quindi compiere un salto evolutivo, e cioè creare il SENSO FONICO, o VOCALE ARTISTICO, che altro non è che un estremo sviluppo del senso vocale verbale, dettato da una esigenza di natura spirituale. Quindi noi possiamo dire che l'uomo è già un artista anche a livello "basico", perché il senso vocale verbale è già di per sé una condizione artistica, che è stata assunta, a vari livelli, da tutti gli uomini, cioè è comune alla specie. Il compito di una grande scuola di canto è quello di far fare ai propri allievi un ulteriore salto evolutivo. Ciò che manca alla specie umana in genere non è qualcosa che noi chiamiamo voce, e che in realtà non è niente, perché il suono-voce è solo un processo, non è un oggetto, ma è una condizione respiratoria del tutto particolare, legata alla possibilità di alimentare suoni vocali artistici perfetti, quindi acquisendo capacità qualitative non comprese nella sua natura primaria di scambiatore chimico gassoso.

mercoledì, gennaio 18, 2023

Concentrazione-presenza

 Pensate a un calciatore che si trova non lontano dalla porta avversaria e riceve un "assist", cioè un buon pallone. A quel punto non può che giocarsela, cioè partire in dirittura della porta, cercando di dribblare, cioè di evitare tutti i difensori che cercheranno di fermarlo e prendergli la palla. Quale sarà la sua concentrazione e presenza? Può pensare alle vacanze, alla fidanzata, agli amici e ai parenti? Può pensare ai ricordi? Può pensare a cosa farà l'estate prossima? La sua mente sarà inchiodata a dirigersi verso la porta cercando di vedere gli avversari e come evitarli. Questo è un esempio fulgido di presenza e concentrazione. Anche un cantante in mezzo al palcoscenico che sta per attaccare un'aria difficile e attesa dal pubblico sarà in preda a uno stato di concentrazione estremo. Questo, invece, difficilmente capita a un allievo di canto durante la lezione o durante degli esercizi a casa. Infatti quando si presenterà davanti a una commissione per un esame o un concorso o audizione, o a un saggio, sarà probabilmente terrorizzato, perché non ha disciplinato questa condizione. Mi è capitato in qualche lezione di dire all'allievo che non riusciva a pronunciare una certa vocale o parola: "concentrati e cerca di dire questa sillaba o vocale o parola come fosse la cosa più importante delle tua vita, qualcosa di cui dipende il tuo futuro"; beh, non ci crederete, ma il risultato c'è stato. Naturalmente è un fatto eccezionale ed estremo, non si può far lezione in questo modo, cioè ogni volta che qualcosa non viene, ma l'insegnante sa che potrebbe venire, forzare la mente a una concentrazione estrema. Purtroppo il dato che emerge è che anche in una attività che facciamo più che volentieri, che ci appassiona, in un contesto positivo, con una fiducia ampia tra allievo e insegnante (e viceversa), oggigiorno ottenere una vera concentrazione è quasi impossibile. Sappiamo che il problema è la "dualità", cioè il fatto che la nostra mente è perennemente distratta, divisa tra ciò che stiamo facendo e altri pensieri, magari attinenti alla stessa attività, ma non presente. Purtroppo non ci sono molte soluzioni alternative e non ci sono ricette. Stare vigili, riposarsi spesso sono possibili soluzioni, ma non garantiscono nulla. Però si sappia che il successo e la rapidità di apprendimento dipendono fondamentalmente da questo! La stessa cosa vale per l'insegnante, che però non può distrarsi mai! Allora l'allievo è anche invitato a cogliere la concentrazione dell'insegnante, non solo gli esempi e le parole. Ricordiamoci, è fondamentale, che la concentrazione richiede RILASSAMENTO, non tensione. In un certo senso potremmo dire che non ci deve essere uno sforzo per rimanere concentrati su quanto stiamo facendo, ma ci rilassiamo escludendo tutto ciò che non c'entra, compresi pensieri sul canto. Mi spiego: l'insegnante ci dice di fare un determinato esercizio, e ci può consiglia come farlo, magari con qualche cambiamento rispetto a una esecuzione precedente. A quel punto la nostra mente può pensare: "perché continuiamo a fare questo esercizio, che non mi viene bene?", oppure "non sarebbe meglio fare quell'altro esercizio, che mi riesce meglio?", oppure "non ho ben capito cosa ha detto, ma provo lo stesso", oppure "mi dice di fare questa cosa ma mi pare diverso da quello che mi aveva detto prima", ecc. ecc. Ovvero sorgono domande, criticità, perplessità o punti di vista che ci teniamo per noi, che difficilmente condividiamo, e che oltre a distrarci, creano insicurezze e incertezze esecutive. Negli esercizi a casa, questo rapporto non c'è, quindi la mente resta un po' più libera, ma i casi sono due: o si eseguono degli esercizi in modo poco attento, oppure ci si continuerà a chiedere se è giusto, se l'insegnante lo vorrebbe così, cosa ha detto a lezione, ed ecco che anche qui si perde la concentrazione, non ci si ascolta realmente e si perde la presenza. Magari provate a chiudere gli occhi e ad ascoltare attentamente come suona la vostra voce nella stanza. Forse scoprirete qualcosa. 

domenica, gennaio 15, 2023

Tra suono e voce

 L'uomo, come la maggior parte degli animali è in grado di emettere SUONI volontariamente. Questi suoni, come gli altri esseri viventi che hanno questa possibilità, vengono utilizzati per motivi esistenziali: difesa, offesa, richiesta di aiuto, accoppiamento, dolore, ecc. Questi suoni possiamo definirli PRIMITIVI, sia perché riguardano un essere in una limitata posizione evolutiva, sia perché sono i primi suoni che l'apparato preposto è in grado di emettere. L'uomo, e solo esso, ha poi avuto la possibilità di produrre una voce, o meglio di formulare fonemi e quindi PARLARE. Ora, la domanda è: cosa ci sta tra il suono primitivo e la voce parlata? E' chiaro che qualcosa è intervenuto in una determinata fase evolutiva dell'uomo. E' la CONOSCENZA. Tutti gli esseri viventi posseggono un determinato grado di conoscenza, e ognuno di essi impiega questo livello e lo applica a cose che fa: pensiamo a un uccellino che si costruisce il nido, cioè elabora e sfrutta cose esistenti, tipo rami e foglie, in un modo diverso per affrontare le proprie esigenze di vita. L'uomo, nella propria evoluzione, ha avuto diversi doni, oltre la parola: la posizione eretta e una mente molto più sviluppata (che poi sono cose in relazione tra loro), ma questo sviluppo non ha riguardato aspetti esistenziali, ma qualcosa di molto più raffinato, cioè la conoscenza stessa. La parola e la mente hanno avuto come obiettivo il comprendere perché parliamo e perché pensiamo. A parte queste considerazioni, ciò su cui voglio puntare è la QUALIFICAZIONE di ciò che elaboriamo. L'uccellino si fa il nido come sa, come ha sempre fatto e come fanno tutti i suoi simili. Noi non ci accontentiamo di farci una casa fatta con quattro mura, ma vogliamo che abbia una determinata qualità, diciamo: che sia bella (e anche "più" bella, perché abbiamo anche l'invidia, la gelosia, ecc.). L'uomo può prendere un pezzo di legno e farci una scultura, disegnare e dipingere su una superficie qualsiasi, ecc., cioè trasformare materiali esistenti e tendenzialmente privi di valore in qualcosa che acquista un valore anche elevato... MA! che solo la conoscenza stessa è in grado di riconoscere. Per fermarci ai primi danni, ciò su cui voglio soffermarmi è il tragitto tra suono e voce parlata. Se è vero che in quel percorso subentra la conoscenza, quindi la verità, io mi chiedo: come è possibile che chi studia canto possa sottovalutare e sottostimare l'importanza fondamentale della parola e riferirsi quasi unicamente al suono? Valorizzare il suono significa tornare alla sua primitività, cioè, se non escludere, ridurre l'apporto della conoscenza nel processo produttivo del canto. Ma se l'arte è o dovrebbe essere conoscenza e verità allo stato puro, come è possibile arretrare dalla fonte principale di essa? Non solo non si dovrebbe, ma dobbiamo renderci conto che SOLO grazie a questo dono (la parola), noi abbiamo la possibilità di proseguire nell'evoluzione e portare il nostro fiato alimentante la voce parlata a uno stadio successivo e fino alla perfezione stessa. Questa è la strada che ci consente di acquisire quel senso in più. Per ulteriore chiarezza, preciserò che suono e voce non sono due cose diverse, ma la seconda, la voce, non è altro che la qualificazione del suono, ovvero è già contenuta nel suono, ma è necessario un processo, una disciplina perché possa manifestarsi, tranne qualche raro caso in cui emerge da sola (e allora parliamo di un "fenomeno") perché deve riconoscersi.



venerdì, gennaio 13, 2023

Progettare-immaginare-fare

 La lezione ci fornisce esperienza. L'insegnante non solo ci mette nella condizione di svolgere determinati esercizi, ma ci spiega il perché si fanno, perché si fanno così, perché è bene fare e/o non fare determinate azioni, e così via. Lontani dalla lezione si può tentare di ripetere gli esercizi, ma spesso, specie nei primi tempi, abbiamo molte esitazioni e dubbi sulla correttezza. In effetti, facendo ci possiamo trovare di fronte a ostacoli imprevisti o che non ricordiamo e che quindi non sappiamo affrontare e abbiamo paura di affrontare perché temiamo di praticare in modo scorretto e quindi di fare passi indietro o procurarci danni. Lo stesso insegnante suggerisce di non fare esercizi a casa, o di fare solo quelli più semplici e sicuri. Ma c'è una via più interessante e tranquilla: l'immaginazione. La nostra immaginazione non fa differenza tra ciò che facciamo praticamente e ciò che immaginiamo. E' stato provato che tra persone che facevano un certo esercizio fisico e altre che lo immaginavano soltanto, al termine di un periodo di prova, sono stati riscontrati gli stessi risultati. L'esperienza è importante, quindi l'esercizio domestico può consistere anche solo nel ripercorrere ciò che abbiamo fatto a lezione. Se abbiamo una registrazione ci può anche aiutare, ma l'immaginazione deve essere compiuta nel silenzio. Si tratta di riprovare alcune sensazioni sia positive che negative, resistere a quest'ultime e ripercorrere felicemente le prime. Faccio un esempio: se io mi impongo di non fare una determinata azione, ad es. non prendere il caffè, so che potrà capitare di trovarmi nella situazione in cui sarò messo in una condizione forte di derogare a quel mio precetto, ad es. un incontro con amici o parenti. In quel momento io sarò fortemente sollecitato a derogare, trovando mille scuse ("è solo una volta, cosa potrà mai farmi", ecc.). La questione è vivere con l'immaginazione fin dal momento in cui ho preso una determinata posizione (non prendere il caffè) il momento in cui mi troverò in difficoltà e come, con quale volontà e con quale coscienza affrontare e superare la spinta alla deroga. E' un esercizio per nulla semplice. Io, non volontariamente ma grazie all'esperienza compiuta con i miei studi e soprattutto grazie alla spinta interiore che non mi ha mai abbandonato, ho spesso immaginato la mia voce staccata dal corpo e libera nell'ambiente. Quando questo mi è accaduto ho provato una grande gioia e una sensazione di vera libertà, che non vedevo l'ora di riprovare nella realtà. Ribadisco che non si tratta di "inventare", cioè non posso immaginare ciò che non ho mai vissuto, quindi ciò che conta è l'esperienza, e l'esperienza della lezione deve diventare fondamentale per l'evoluzione che ho in animo di percorrere. Non si tratta di memorizzare, la memoria conta poco e niente, ma di vivere con tutta l'anima e il corpo, di provare effetti concreti, anche se non necessariamente fisici. So che immaginare di rifare solo mentalmente determinati esercizi può essere molto impegnativo per la mente, ma è proprio questo impegno a permetterci di compiere importanti passi avanti. Se si considera l'importanza di questo procedimento, anche la lezione può assumere una importanza diversa, nella prospettiva di dover poi immaginare di ripeterla personalmente. Si dirà: non ci riesco, non so come fare... sono le solite scuse. Bisogna provare e impegnarsi. All'inizio sarà difficile e breve, ma poi si arriverà a praticare con successo. 

giovedì, gennaio 12, 2023

La sostenutezza

 Quello che vado a fare è un discorso più mirato a chi studia già da un po' di tempo e bene. In tutte le scuole di canto si parla molto di respirazione, ma lo si fa come se fosse un'attività distaccata dal canto, la qual cosa sostanzialmente serve a poco o niente. Il respirare deve essere sempre legato all'attività per cui si compie quest'azione, quindi nel nostro caso, al canto. Dopo un periodo più o meno lungo in cui l'insegnante lavora per far sì che le reazioni del corpo si abbassino, e in quel periodo è più opportuno compiere una respirazione diaframmatica, ma non troppo caricata, più naturale possibile, ecco che diventerà più efficace passare alla respirazione costale, che rappresenta l'integrazione della diaframmatica. Per dirla tutta, è meglio iniziare sempre le lezioni o le sedute con la diaframmatica, per passare alla costale quando si avverte che il fiato è libero e fluido. La respirazione costale ha il vantaggio di non premere sugli intestini e di far sì che il diaframma assuma una posizione più orizzontale, quindi più vantaggiosa (nella diaframmatica tende ad assumere una posizione inclinata verso l'avanti, quindi a spingere verso la bocca dello stomaco). Ora, cosa capita quando si canta? Che diminuendo il fiato, le costole tenderanno a chiudersi, a ricadere, e quindi l'intero torace a premere sul fiato, che non avrà più la libertà di alimentare il canto. per questo motivo noi dobbiamo sostenere non la voce, come si dice in molte scuole di canto, ma il petto, perché è con quest'azione che si consente all'aria di "galleggiare", cioè di mantenere quella libertà che è fondamentale per un canto artistico. Gli antichi insegnanti parlavano e raffiguravano la sostenutezza con quell'atteggiamento "nobile" che risulta proprio dallo "stare su", dal non consentire MAI al petto di ricadere. E' un impegno importante che deve essere esercitato a lungo perché divenga naturale. Mantenere quella postura significa anche mettere la muscolatura respiratoria nella condizione di rimanere come se fosse sempre in inspirazione, cioè non creare l'apnea e la chiusura glottica dopo la presa del fiato. 

Questo atteggiamento diventa particolarmente importante da osservare quando si studiano i brani. Eseguita una prima frase, durante la quale si sarà consumato del fiato, se non si è stati capaci di mantenere il busto ben sostenuto, esso "cadrà", cioè non si sarà mantenuto il galleggiamento del fiato. La qual cosa è comprensibile per un certo periodo; ciò che diventa importante è il recupero successivo! Cioè il problema è che se non si prende il respiro successivo riportandosi nella postura del petto alta e fiera, la seconda frase ristulterà subito carente e alla lunga tutto ciò porterà alla stanchezza vocale. Certo anche rimanere in quell'atteggiamento può portare a stanchezza fisica (non vocale), ma in tempi piuttosto brevi si riuscirà a superare questo problema, perché il peso e l'impegno non sono affatto gravosi, non parliamo di pesi e carichi consistenti. Quindi sarà necessario studiare con una particolare attenzione e concentrazione: non andare avanti indifferentemente, ma ogni volta che si dovrà riprendere il fiato, lo si dovrà fare con il tempo necessario a far sì che sia completo, cioè che ci consenta di riportarci nell'atteggiamento più alto, nobile possibile ("datti delle arie" diceva il m° Antonietti). Questo, pertanto, ci impedirà di studiare con un accompagnamento eseguito a tempo, quindi questo è un esercizio da fare a cappella. Se subentra stanchezza fisica, ci si ferma per un po'. Se subentra stanchezza vocale, vuol dire che non lo si sta eseguendo correttamente. 

lunedì, gennaio 09, 2023

il battesimo

 Non voglio riferirmi a quello cattolico cristiano, ma al suo concetto potenziale. Ancora una volta dobbiamo far riferimento al termine fondamentale dell'apprendimento: la coscienza. Qui non c'è un battezzatore e un battezzato, ma un individuo che seguendo lezioni e investigando sull'apprendimento di un'arte, prende coscienza di cosa significa entrare in possesso di un nuovo senso (nel nostro caso quello fonico), cioè far sì che alcune funzioni e alcuni elementi del nostro corpo possano diventare strumenti del nostro spirito o del nostro pensiero creativo, pur senza cessare quello primario, che resta indispensabile per la nostra vita. Quando si prende coscienza di aver "chiuso il cerchio", cioè essere entrati integralmente in una condizione artistica, per cui il fiato assolve contemporaneamente due funzioni essenziali, quella respiratoria e quella vocale, sapendo tutto ciò che c'è da sapere in merito, cioè i fondamenti della vocalità, perché si può far assurgere la voce (o il fiato) a senso fonico, perché esistono i problemi e qual è il percorso per annullarli, e così via, ecco che noi possiamo "battezzarci" cioè entrare in una nuova vita. Credo di aver già scritto e detto che una vita virtuosa è composta da morti e resurrezioni. Studiare canto in una vera scuola d'arte significa andare a scartare ciò che pensiamo e siamo portati a credere in merito alla voce per come l'abbiamo imparato banalmente, letto, sentito, inventato... e trovare la luce della verità, cioè vivere su noi stessi la nascita di qualcosa di nuovo, straordinario, inimmaginabile ma possibile perché in noi c'è una scintilla di verità che possiamo far tornare alla luce e permetterci di far nascere in noi un "pezzo" in più, un attributo divino, immateriale, quasi magico che non deve ingolosire e alimentare il nostro ego, ma al contrario permetterci di comunicare con le altre coscienze per farle crescere e farle uscire dal buio. Battezzarsi vuol dire rinunciare a quei sogni di gloria, vuol dire dedicarsi con trasporto (se c'è l'esigenza interiore) a comprendere a fondo cosa ci separa dalla perfezione, e non avere mai abbastanza cura di dedicarsi alle cose minimali, semplici, senza l'assillo dell'allenamento e della ripetitività fine a sé stessa, puramente tesa all'automatismo, ma nel lasciare momento dopo momento che l'evoluzione da noi richiamata possa compiersi attraverso i nostri organi e apparati senza il nostro intervento diretto e volontario. 

E' bene ricordare e ribadire che il più grande maestro... siamo noi stessi! Attaccarsi a un insegnante equivale a una dipendenza da cui è poi molto difficile liberarsi. Se non crediamo in noi, nella nostra possibilità di evolvere a uno stadio superiore, che è quello artistico e nel nostro specifico caso, vocale, non sarà neanche il migliore dei maestri a permettercelo. Il buon insegnante è quello che ci indica la strada, che ci fa comprendere che noi... possiamo! Allora se c'è il sacro fuoco che alimenta la nostra passione, noi possiamo far vivere e animare la scintilla che è in ognuno di noi e che ci può consentire di toccare il cerchio della verità, che possiamo far nostro partendo dai gesti minimali e scoprendo che sono essi che ci conducono all'arte più completa e complessa, se abbiamo la pazienza (infinita) di scandagliarne ogni più riposto particolare.