Translate

sabato, luglio 22, 2017

"... libero e lontano..."

Dalla celebre aria del tenore nella Fanciulla del West di Puccini, traggo queste due parole, libero e lontano, che ben si attagliano alle caratteristiche che deve avere il canto corretto. La libertà è la più importante meta di qualunque artista, se vuole poter trasmettere il messaggio spirituale di cui è portatore, e come tale è di difficilissima conquista; l'essere "lontano" è la condizione che consente innanzi tutto di trovare questa libertà, e di "staccarlo" dal nostro corpo, i cui legami troppo saldi lo impediscono. Il legame tra la vocale espressa e il nostro corpo deve essere costituito esclusivamente dal tenue flusso aereo e da quello mentale. Se oggi la gran parte degli insegnanti di canto si occupa di movimenti e posizioni interne agli spazi e agli apparati vocali, chissà come ci resterebbero male nel comprendere che invece è proprio la sensazione di lontananza da sé, dal proprio corpo, la chiave per una corretta emissione. Sentire la propria voce nello spazio, riconoscerla e riconoscere la giustezza, la correttezza, la bontà di quanto si va esponendo in termini musicali e testuali è il dato essenziale. Quanto più avviciniamo la pronuncia a noi (quando addirittura non la facciamo rientrare), quanto più rischiamo di "ghigliottinarla", di opacizzarla, intorbidirla, impastarla, manipolarla e quindi perdere ogni possibilità di liberazione nello spazio, dove può risuonare ampia e rapida.

martedì, luglio 18, 2017

L'acqua pura di sorgente

Quasi tutti i bambini preferiscono l'acqua gassata (e quindi anche tutte le bibite gassate). Anch'io seguii questa prassi e fin verso i 20 anni bevvi esclusivamente acqua addizionata (le bevande già le evitavo). Dopo un lungo periodo dominato da costanti mal di stomaco, per un caso constatai che se bevevo acqua naturale il mal di stomaco non mi veniva, per cui da quel momento abolii l'uso di acqua frizzante. Nei primi tempi bere acqua naturale mi fece un brutto effetto, perché mi sembrava di bere... niente. Quell'assenza di "friccicore" in bocca mi lasciava alquanto deluso. Ci volle tempo, ma alla fine non solo l'acqua naturale mi piacque, ma cominciai anche a riconoscere qualità diverse di acque e quindi a scegliere le marche che più mi soddisfacevano, e a trovare pessima l'acqua gassata (il secondo passo fu quello di evitare il frigo). Un discorso simile vale per il pane. I miei genitori erano fiorentini, e ogniqualvolta si andava a Firenze, ovviamente si faceva di uso del pane locale, che come è noto è privo di sale. Anche in questo caso la mancanza di sapore mi lasciava disgustato. Poi, prima di ripartire, i miei genitori ne facevano scorta (è anche un pane che dura parecchio tempo) e quindi dovevo continuarlo a mangiare per diversi giorni. Col tempo imparai ad apprezzare molto questo pane, che mi lasciava gustare il sapore genuino del companatico, senza alterarne il gusto. Questo preambolo per dire cosa? Che a istinto piace sentire una voce ricca di timbro, e per accontentare questo superficiale appetito acustico, ci si sforza di creare timbro, e questo vuol dire escogitare manovre, contorsioni, trucchi, che poi in un modo o nell'altro possiamo riassumere nel verbo: ingolare! La maggior parte degli insegnanti volenti o nolenti, in buona o in mala fede, consapevolmente o meno, portano gli allievi fin dalle prime lezioni a ingolare. Questo crea in chi ascolta (con un basso gradiente acustico-culturale) l'idea che l'allievo sia sulla giusta strada, in quanto ha il timbro "lirico" (ho sentito un'insegnante di musica dire a una classe che l'opera si chiama lirica perché il canto ha questa particolarità (cioè il timbro)! Non le è passato per la mente che forse è il testo poetico l'origine di tal nome!). Allora uno dei problemi che oggi si incontrano quando si conduce un allievo, specie se ha già iniziato lo studio in altre scuole, per la giusta strada, è che inizialmente, e per un bel pezzo, non ha contezza dell'arricchi-mento graduale della voce, e spesso e volentieri, timidamente o decisamente chiede: "sì, ma la voce lirica?". E in linea di massima già il fatto di comprendere troppo il testo a molti fa l'effetto di perdere timbro. Insomma, andare a educare fiato e voce in modo corretto fa lo stesso effetto di chi di colpo passa dall'acqua frizzante a quella naturale: appare priva di gusto e di sapore. Però in linea di massima a chi ha una voce sufficientemente ricca, il timbro verrà fuori, anche molto bello e pieno di screziature, senza perdere l'aura personale, cioè il PROPRIO timbro, che lo rende unico. Per molti, invece, il timbro non deve essere troppo personale, ma essere "quel" timbro, uguale a tutti gli altri, purché "lirico". Un po' come mettersi una divisa, così sappiamo se sei un militare, un carabiniere, ecc. E infatti una moltitudine di cantanti risultano irriconoscibili e uguali a mille altri. Nei maschi un po' meno perché il timbro di petto, quello della voce parlata consueta, è utilizzato in maggior percentuale. Ancora una volta, quindi, ci troviamo di fronte a un'analogia con l'acqua; questa volta il suggerimento è quello di pensare proprio all'acqua pura di fonte, leggerissima quando si beve, fresca, trasparente, piena di screziature, limpida, cristallina, gioiosa, che da l'idea di salute, di vita, di piacere. L'ingolamento e ogni timbratura artificiosa intorbida la nostra voce-acqua, la inquina, l'appesantisce, la rende opaca e impedisce la trasmissione di messaggi, mancando la trasparenza e la fluidità.

martedì, luglio 11, 2017

Il bruco e la farfalla

Anni fa un insegnante di canto paragonò l'insegnamento del canto alla trasformazione di un bruco in farfalla. Sulle pagine del blog risposi confutando questa metafora ("Arte e natura", agosto 2011), in quanto fu proposta come atto naturale. Viceversa il processo che porta una persona ad apprendere ad alti livelli un'arte come il canto non ha carattere naturale, non riguarda tutta la specie per cui è evidente che mentre tutti i bruchi hanno come destino il diventare farfalle (non è una scelta), il diventare cantanti "virtuosi" è di poche persone, che devono intraprendere un duro e serio percorso educativo che attiene poi a intuizioni e studi di un numero ancor più ristretto di persone, i maestri. Detto e puntualizzato ciò, si potrebbe concedere che in quei soggetti che si sottopongono alla dura disciplina, tale trasformazione del fiato sia paragonabile alla mutazione bruco farfalla. Ma anche in questo caso, a voler essere pignoli, la metafora non ci sta. Infatti questo particolare sviluppo respiratorio non è da considerarsi una mutazione prevista dalla Natura, ma una evoluzione, cioè qualcosa che solo potenzialmente alberga nell'uomo, come una necessità oltre le condizioni di vita contingenti, che solo una forte esigenza personale e spirituale può innescare, e infatti noi la definiamo una "elevazione" del soggetto, che si ritroverà non una tecnica, cioè una meccanica capace di fargli fare cose più complesse, ma una capacità globalmente avanzata, cioè qualcosa che non investe in termini di abilità il saper fare qualcosa sfruttando delle nozioni apprese (una sorta di manuale), ma si trova a saper gestire qualcosa del proprio corpo e della propria mente a un livello diverso, non comune, pur essendo presente a livello potenziale in tutti. E' credenza diffusa che la voce cantata e il parlato siano cose diverse, e questo ha a che fare con l'idea che alla base del canto (soprattutto lirico) vi sia il suono, pur basando gran parte della tecnica sul "vocalizzo", cioè su una o più vocali, però in un certo senso negando le stesse vocali, perché ridotte al rango di suoni, vale a dire imprecise e vaghe emissioni sonore, che al massimo assomigliano a vocali (cosa che può succedere anche agli animali, che emettono suoni, privi di significato, ma che possono sembrare vocali, e talvolta persino brevi parole). Se il suono è da considerarsi una qualificazione del fiato attraverso uno strumento (la laringe) (e che si produrrà in buona parte internamente), la vocale, specie se cantata, è da considerarsi una ulteriore (doppia, quindi) qualificazione attraverso un complesso apparato composto da tutto l'insieme degli organi, delle forme, dei tessuti e delle ossa che definiamo articolatorio-amplificanti (che per arrivare a definizione completa daranno il loro apporto esternamente), i quali agiscono in virtù di una conoscenza già presente nell'uomo, ma che dobbiamo sviluppare, riconoscere, portare a coscienza affinché possa concedere il massimo delle sue possibilità. Migliorare il fiato attraverso tecniche può essere un valido esercizio, sempreché le stesse non creino situazioni di conflittualità e quindi di reazione istintiva, ma non potranno mai essere realmente il percorso di accesso all'arte vocale. Il fiato è una componente con una missione specifica, lo scambio gassoso, e incidentalmente (quindi secondariamente) meccanico (l'erezione del busto e la collaborazione allo sforzo) con procedure ben definite. Il parlato non incide su queste procedure, se non occasionalmente, data la brevità dei periodi di presa del fiato, la scarsa incidenza dinamica (intensità e volume), la limitata estensione e la solitamente modesta qualità articolatoria. Il canto, specie se tendente a caratteristiche elevate, come la dinamica, l'espansione, l'estensione, la precisione articolatoria, vogliono, viceversa un fiato con caratteristiche del tutto diverse, che sappia modellare e "suonare" gli organi preposti con libertà, con padronanza, semplicità, ricchezza, ampiezza di tutte le caratteristiche insite nel patrimonio musicale di cui il nostro spirito e la nostra conoscenza sono portatori. Questa ricchezza, però, non riguarda semplicemente tutti gli uomini; essi per poter guadagnare questa posizione, sempreché gli interessi, devono essere pronti a compiere un balzo evolutivo, o per meglio dire farlo compiere al proprio sistema respiratorio; esso stesso deve diventare canto in un continuum che dal nostro centro armonico ed eufonico (cuore, diaframma, polmoni, plesso solare...) si propaghi in tutto lo spazio esterno senza ostacoli di alcuna natura, vuoi fisica che mentale. Infatti troppo spesso si insiste sul "pensare" i suoni, le posizioni, la formazione stessa delle vocali, parole, ecc. Noi già sappiamo! dobbiamo lasciarci andare a far scorrere, a consentire quell'elasticità, quella fluidità e rilassatezza proprie del nostro corpo e dei nostri apparati. Ciò che deve sempre essere vigile è il nostro orecchio, il quale dovrà compiere anch'esso un'analoga evoluzione, per riconoscere e garantire la precisione e purezza di quanto emesso; da questo procederà la correzione AUTOMATICA, non voluta e fatta dalla mente (che è un operatore fisico), ma che farà il nostro pensiero profondo, la nostra conoscenza-coscienza man mano che si svilupperà. Sicuramente l'idea che dalla nostra voce naturale (bruco) possa prendere il volo un canto libero e leggero (farfalla) è una metafora piacevole e azzeccata; occorre però comprendere che tale evoluzione va saputa innescare e perseguire con pazienza.

giovedì, luglio 06, 2017

Del carattere

Così come ogni persona ha un carattere, questo si manifesta anche attraverso la voce. Il carattere può essere dolce, forte, autorevole, fragile, scontroso, remissivo, ecc. Prima ancora di queste declinazioni, ci sarebbe un carattere più netto: maschile o femminile. Non è questione di sesso più o meno evidente, sono caratteri che sono percepiti a un livello superficiale, e non necessariamente per colore. Il tenore, specie il tenore leggero, è considerato, nel maschio, una voce più tendenzialmente di carattere femmineo, oltreché per il colore più chiaro, in quanto più prossimo al falsetto/testa, che contraddistingue maggiormente la voce femminile. All'opposto, il contralto e talvolta il mezzosoprano son considerate voci, nella donna, più maschili (non per nulla frequentemente cantano ruoli maschili en travesti). Nel tempo questo ha dato luogo ad equivoci e a soluzioni vocali decisamente discutibili e, a mio avviso, anche ridicole. Il fatto che la voce tenorile sia più prossima al femmineo, non significa niente, se non fosse che una certa ideologia "machista" abbia preso sul serio questa caratteristica, e sia nata (in epoca in cui anche la politica e una certa cultura la enfatizzavano) una vocalità più "maschia" che poi possiamo sintetizzare col termine "affondo". Per la verità la questione possiamo già individuarla nel fenomeno Caruso. Il grande tenore napoletano, che sul finire dell'800 si esibiva con una normale voce di tenore di grazia, a causa di un'operazione alle corde vocali si scurì alquanto dando vita a quella vocalità che ben conosciamo. Per la verità sappiamo che i tenori baritonali già esistevano nel primo Ottocento, ma la pratica dell'epoca imponeva un approccio stilistico comunque molto garbato e un uso degli acuti sempre morbido e leggero. Caruso, per un'intuizione popolaresca formidabile, utilizzò invece la sua vocalità per rivestire i personaggi soprattutto delle opere veriste (anche rileggendo quelli dei precedenti decenni sotto quella chiave) e creando quindi la vocalità verista, nel bene e nel male. Ecco quindi che si delinea anche un carattere, che però non si sposa quasi mai con quello decisamente romantico dell'opera verdiana e men che meno con quello protoromantico o neoclassico dell'opera belliniana donizettiana o precedente. Se Caruso ci arrivò in parte per accidente, la stirpe affondista ci arrivò invece per volontà. Se questo approccio piuttosto monolitico, monocromatico, è sicuramente discutibile sul piano vocale (lasciando da parte Del Monaco, tutti i tenori successivi che hanno intrapreso questa strada accusano in modo imbarazzante la timbratura gutturale, l'impossibilità di ammorbidire e usare dinamiche sfumate), il problema più grave è di carattere musicale. La rigidezza vocale ma anche mentale di buona parte delle scuole che si ispirano a questa metodica, impone un deciso appiattimento di tutte le indicazioni dell'autore nonché un approccio sempre "arrabbiato", mai incline al dialogo comprensivo e alla pari. L'opera che a mio avviso ha sofferto e soffre tutt'ora di più, forse in modo irrimediabile, è l'Otello di Verdi, soprattutto a causa della personalizzazione estrema di Del Monaco e dei suoi emuli. Già a partire dal duetto del primo atto, "già nella notte densa", e in tutti i successivi, Otello non è mai realmente amante, innamorato; non riesce mai a sussurrare frasi d'amore, non riesce a dialogare con i suoi amici. E', come dice un noto comico di Zelig riferendosi agli automobilisti, "perennemente inc....ato". Questo è stato un grosso attentato alla musica di Verdi che poi si è diffusa su gran parte dell'opera in genere. Sfracelli si sono avuti anche su gran parte dell'opera Pucciniana, che solo in piccola parte può definirsi verista, e comunque la si chiami come si vuole, il sor Giacomo ha tempestato le sue partiture di piani e pianissimi, di "dolce", "teneramente" e via dicendo. Indicazioni che le voci legnose, stentoree, a senso unico, sono incapaci di cogliere e far vivere. Torno al tema dell'articolo. Ci sono stati alcuni tenori che non hanno goduto in natura di una voce di timbratura particolarmente virile, eppure hanno spopolato cantando ogni genere di repertorio, dal leggero-agile al drammatico. L'esempio secondo me più interessante è quello che ha offerto Giacomo Lauri Volpi. Contraltino, per essere precisi, acuto e anche acutissimo. Non ha disdegnato tutto il repertorio verista, ha cantato Otello, Fanciulla del West, ma restituendo anche alla sua giusta collocazione Puritani e Ugonotti, tanto per citare due titoli importanti. Non fu mai, che io sappia, accusato di affrontare repertorio non suo. Allora come si poteva permettere di eseguire tutto Verdi ma anche Mascagni, Leoncavallo, Puccini, Giordano, ecc.? Se c'è stato un cantante contro-affondista, è stato proprio lui, dove mai la laringe viene schiacciata producendo suoni gutturali e falsamente oscurati. Semmai prediligeva la corda sottile e l'uso di falsetti anche al limite del leggero. Ma, lo disse lui stesso, ciò che animava la sua caratterizzazione degli spartiti drammatici, era l'accento (in questo senso, pur parlando di una voce timbricamente opposta, condividendo il criterio con Carlo Bergonzi). Quindi ecco che ciò che caratterizza una voce, è il modo di accentare nella giusta direzione la vocalità, la musicalità. La Callas è inutile andarla a scomodare se era voce di lirico, leggero, spinto, drammatico o altra sfumatura dal punto di vista timbrico: essa aveva un'arte unica di accentare i suoi personaggi, sempre molto correttamente. Anche Schipa aveva un senso dell'accento esemplare, tant'è che fece venir giù il teatro San Carlo eseguendo Tosca; ma, potrà sembrare un paradosso, l'abilità di accentazione di Schipa la sentiamo persino nelle canzoni! Direi che anche Gigli aveva un senso dell'accento molto presente, ma credo che se retrocediamo non faremo altro che riconoscere che i cantanti di inizio 900 (Tamagno docet) non curavano quasi per niente un particolare colore per dare drammaticità, ma si basavano sempre sul giusto accento. Ma allora lo studio della musica, dello spartito, dello stile, penso che fosse ben altra cosa. Più veniamo verso di noi col tempo, più troviamo superficialità e grossolanerie. Cantanti che non hanno nessuna capacità (e volontà) di sfumare, di addolcire, di fraseggiare, ingolati come bestie, col suono legnoso piantato in gola, vengono osannati come maestri...

domenica, luglio 02, 2017

La "U" e il passaggio

Nelle voci grezze molto spesso la salita verso gli acuti è ostacolata da un incremento di impegno che può rendere quasi impossibile l'ascesa o generare una sorta di grido (i cosiddetti suoni aperti, intendendo con questa impropria accezione il "non passare", ovvero il proseguire col registro centrale). Alla base di tutto questo v'è l'erronea convinzione che il passaggio sia meramente una questione meccanica, ovvero ancora che esista perennemente una questione "passaggio". Come s'è già scritto a sazietà, i registri esistono (o non esistono) in base alle condizioni respiratorie del soggetto. Chi si ritrova un apparato respiratorio molto sviluppato avrà facilità nell'ascesa e potrebbe non incontrare alcuna difficoltà e quindi nessun passaggio; chi viceversa ha una condizione respiratoria piuttosto carente si troverà in grave difficoltà. Per superare questo ostacolo ovviamente la strada più corretta sarà quella di far sì che la respirazione si evolva e si sviluppi in senso vocale, come, del resto, dovranno fare TUTTI coloro che vogliono cantare a un livello artistico elevato, perché l'avere naturalmente una respirazione molto sviluppata, che può essere un fatto soggettivo, non significa averla relazionata al canto, (la qual cosa posso dire non poter accadere mai), quindi quella fortuna potrà funzionare per un certo tempo, anche parecchio, ma non per sempre, perché l'insistere con una pratica (canora) senza aver disciplinato l'elemento fondamentale che la consente a quel livello, cioè la respirazione, porterà piano piano a un'usura e a un aumento delle difficoltà che si concretizzeranno in: perdita degli acuti più estremi, difficoltà nel sostenere la tessitura, ondeggiamento della voce, inasprimento del timbro e altro. Coloro che non sono in grado di salire immediatamente sugli acuti, potranno dover affrontare anche il passaggio; non essendo sufficientemente relazionato il fiato per sostenere la piena vibrazione della corda di falsetto equiparandola a quella di petto, ci si dovrà esercitare con varie modalità al fine di disciplinare e far evolvere il fiato in quella direzione. Sappiamo che il parlato è il sistema principe; togliere il peso è altrettanto fondamentale, però questi mezzi solitamente preoccupano e spazientiscono gli allievi che non vedono mai l'ora di fare acuti estremi e forti. La teoria dell'oscuramento del passaggio (che non risale a Garcia figlio, che non ne parla affatto nel suo trattato) presenta qualche aspetto positivo e qualcun altro negativo. In primo luogo dobbiamo presentare una possibile contraddizione: noi sappiamo che lo spoggio della voce è un pericolo cui si va incontro in quanto l'istinto reagisce a un peso, una forza, che ritiene inopportuna, inutile (considerando il ruolo rivestito dall'istinto). Oscurare un suono vuol dire aumentare, mediante il colore, il peso, per cui rappresenta un ulteriore stimolo alla reazione. Infatti (particolarmente con l'uso della U) è possibile che nel momento in cui si arriva nella zona idonea al passaggio, l'aggravamento di colore invece di consentire il passaggio, lo annulla del tutto con un secco rialzamento della base. E' logico, quindi, che si dovrebbe far uso della versione chiara della U, ammesso che il soggetto la sappia emettere, anche perché lo scopo degli esercizi (evolutivo) va in direzione della creazione della "corda unica", cosa che può avvenire nel momento in cui le vocali sono correttamente emesse, cioè esternamente. Siccome la U richiede un colore oscuro per la sua formazione, le probabilità che anche la vocale (specie se eseguita con una volontà oscura) retroceda, sono elevatissime. E' possibile che in questo modo si mantenga un certo appoggio, ma ecco che si va verso un affondo, verso una pressione in basso su muscoli e cartilagini che noi stigmatizziamo. A questo punto mi astengo da ulteriori descrizioni e consigli, perché non si deve pensare a un "metodo", a una galleria di consigli e trucchi per risolvere i problemi. Occorre sottoporsi a una disciplina che affronti e risolva la questione. Per dire meglio: la U, essendo scura di natura, non deve essere oscurata ulteriormente, altrimenti provoca un abbassamento (incavernamento) eccessivo della laringe con perdita della brillantezza. Direi lo stesso per la O, quantunque debba essere emessa possibilmente con un piccolo calibro. La A si può oscurare (o arrotondare), ma sempre a patto che la si sappia emettere correttamente chiara, il che, per esperienza, è difficilissimo. La E ha già le sue due varianti chiara e scura, la I non ha una versione scura, ma si può emettere orizzontalmente (sorriso) o verticalmente, e salendo sugli acuti quest'ultima, pur dovendo sempre rimanere assolutamente "I", può avere un certo vantaggio.

sabato, luglio 01, 2017

Della "U"

La vocale "U" potrebbe definirsi ambigua, perché non son pochi a definirla la vocale dell'affondo, e quindi ad additare coloro che la utilizzano negli esercizi come "affondisti" (per quanto non dovrebbe mai esserci una vocale particolarmente prioritaria). Questa accusa, se accusa può essere, si basa su un pesante equivoco, e cioè che le vocali possano essere correttamente pronunciate internamente. La U utilizzata dalla cosiddetta tecnica dell'affondo, non è una reale U, non è quella che si utilizza normalmente, ma è un suono cupo che si forma premendo la laringe verso il basso. Dite a un bambino di dire U, e vedrete le sue labbra chiudersi fino a creare un forellino; lascerà uscire un filo d'aria sonora che formerà, esternamente, una vera U, così come normalmente succede mentre si parla, quindi è anteriore ed esterna, come lo sono, per amor di verità, anche tutte le altre. Le vocali fanno uso di suoni e i suoni, a seconda della vocale che si intende pronunciare, possono avere vari colori, quindi ciò che cambia internamente quando si parla o si canta, sono i colori dei suoni che alimentano le vocali; è un dato di fatto, una notizia, che possiamo conoscere per informazione. Alla base di questo, però, c'è anche un altro fatto che ci può tornare utile; pur esistendo un colore base per ciascuna vocale, è possibile modificarlo senza che questo debba per forza pregiudicare la qualità del suono. E' qualcosa che facciamo normalmente; quando ci arrabbiamo, quando vogliamo dire qualcosa con più energia, più autorità, oppure quando vogliamo parlare con dolcezza, o quando siamo sotto accusa, o altre mille situazioni, i colori del nostro parlato cambiano, così come può cambiare il carattere, seppur meno facilmente. In termini estremi, dunque, possiamo dire che ogni vocale può essere pronunciata chiara o scura (quindi, naturalmente, passando attraverso tutte le gradazioni intermedie). Non l'ha certo scoperto Garcia; esiste da quando esiste l'uomo; nel canto, tutt'al più, il fenomeno è stato osservato e documentato e forse più frequentemente utilizzato, per ragioni di gusto, ma nessuno mi potrà mai convincere che nel 700 o 600 o anche mille anni prima recitando o cantando non si facesse uso di svariati colori e caratteri. Venendo però al canto moderno (intendendo quello perlomeno degli ultimi due secoli) ci si è posto maggiormente il problema perché le tematiche operistiche hanno richiesto un più continuativo utilizzo di un carattere drammatico, che nell'immaginario comune si sposa meglio col colore oscuro. Da qui si è creato un gigantesco equivoco, e cioè che il canto lirico, tout cour, è scuro. Non solo non è vero, non c'è alcuna ragione perché sia vero, ma questo ha portato con sé il gravissimo problema delle scuole di canto che pensano di dover insegnare per forza il canto scuro. La cosa è anche possibile e non necessariamente negativa, bisogna vedere come e partendo da quali presupposti. Se, come scrivevo dianzi, partiamo dall'erronea ipotesi che le vocali sono interne al cavo orale, siamo già su una strada non solo sbagliata ma pure potenzialmente pericolosa, perché vuol dire schiacciare in basso, vuol dire impedire una fluida e costante espirazione, vuol dire impedire l'elasticità degli apparati e quindi una reale ampiezza orale. Il primo punto, il primo obiettivo, che già può richiedere anni per essere raggiunto, è la perfetta pronuncia delle vocali, libere, leggere, chiare e col giusto "calibro" (parole piccole, diceva Schipa e di conseguenza vocali piccole, che si possono ampliare a una certa distanza da noi). Quando si è in grado di pronunciare in modo inequivocabile, senza forzature e imposizioni (cioè senza "farle", ma riconoscendole), ecco che possiamo cominciare a giocare con i colori che però non dovranno perdere la loro posizione esterna, libera e leggera. L'evidente pericolo in agguato con l'uso di colori più scuri, è che la vocale "indietreggi", cioè che si pensi più al colore che alla vocale, perdendo la verità, la sincerità, la freschezza e l'efficacia comunicativa, il significato insito in quella vocale (e/o evidentemente nella parola che la contiene). Quindi tornando alla nostra U, dobbiamo prendere atto che anche per questa vocale ne esiste una versione chiara, che è quella che ci dovrà interessare maggiormente nei primi tempi, perché è quella più vera e facilmente pronunciabile in modo corretto (quindi esterna) e che quindi proprio nulla ha a che vedere con affondi e schiacciamenti, essendo la più vicina possibile al nostro parlato naturale. Alla pronuncia oscura ci si avvicinerà piano piano, sempre sotto osservazione, ma senza prendere una direzione prettamente strumentale, quella che porta poi a sentire cantanti che risultano caricature ridicole, orchi e streghe inascoltabili (da orecchie perlomeno di buon senso); basta assumere un carattere leggermente più drammatico, più riflessivo e posato, potremmo anche dire più maturo (in questo senso sappiamo che, anche solo per l'uso ordinario, la voce delle persone assume col tempo una timbratura leggermente più scura, salvo nell'estrema vecchiaia quando per diverse cause può invece schiarirsi anche notevolemente). Per concludere posso dire che la vocale di equilibrio, quando fatta con assoluta tranquillità, rilassatezza, è la A, che deve dare l'esempio della luminosità, della chiarezza cui andranno a ispirarsi anche la O e la U (nella A esemplifico con un bel cielo azzurro, che non deve annuvolarsi nelle vocali seguenti).