Mi sono soffermato ogni tanto a parlare dell'ego e dell'influenza gravemente negativa che ha sull'apprendimento e sulla pratica artistica. In qualche raro caso ho detto a chiare lettere a qualche allievo che il motivo per cui i progressi erano lenti, dipendevano dall'ego. Ho notato più incredulità che altro. Le persone "normali", cioè che conducono una vita tranquilla, senza particolari "grilli", non pensano e forse non credono di poter essere influenzate dall'ego, che di solito viene attribuito alle persone "importanti", o che si ritengono tali, ma la realtà è diversa, e cioè che più o meno tutti sottostiamo all'ego. Però forse è bene chiarire cos'è. L'ego è uno sdoppiamento di noi, dove però la nostra vera personalità, che chiamiamo "io", viene tenuta nascosta, e corrisponde al nostro stato di coscienza, che le persone stesse stentano a conoscere, tant'è vero che quando subentrano delle crisi, come la depressione, si ricorre allo psicologo, all'analista, ecc. per cercare di riportarla in superficie, ma la cosa è difficile, se non impossibile, se non si demolisce l'ego. L'ego ha una sua personalità, e rappresenta la parte più superficiale, meno nobile di noi, ma è anche la parte che punta dritta ai nostri desideri, è più coraggiosa. Quando ci sono delle spinte artistiche da parte dello spirito, l'ego subentra ed esalta questi desideri per farne oggetto di futuri successi e trionfi. Quando si decide di prendere lezioni (perché il più delle volte esso ci illude che possiamo farcela benissimo da soli), una delle prime domande che si pongono è: "ma quanto tempo ci vorrà?"! Certo, perché il tempo è denaro, dunque non bisogna perderne. Il che è anche vero, ma se siamo in campo artistico e il fuoco spirituale è vero e sincero, l'obiettivo è la perfezione, indipendentemente dal tempo. Allora fin dalla prima lezione si ricercano gli sviluppi, i progressi. Dopodiché a ogni lezione, che vada bene o male, si aspetta la prossima per fare quel salto che ci porta alla conclusione. Ma cosa c'è invece che non va? Due cose, entrambe importanti: la mente è "duale", cioè la presenza dell'ego e della sua personalità, divide la nostra mente, per cui ci siamo noi, a lezione, che però stentiamo ad ascoltare e comprendere tutto ciò che facciamo e tutto ciò che ci dice l'insegnante, perché una parte della mente è distratta, divisa, da quel sogno, da quel desiderio di arrivare. Non è oggi?, beh, sarà la prossima volta. Ma manca quella rilassatezza e quell'unità di pensiero che non ha fretta di arrivare, ma fa solo e unicamente ciò che c'è da fare, senza aspettarsi niente. La seconda cosa è la copertura della coscienza. Se non ci liberiamo dall'ego, la nostra coscienza rimane perennemente oscurata. Non riusciamo a vedere la verità, non riusciamo a prendere atto realmente dei nostri progressi, ce li rappresenta l'insegnante, li immaginiamo, ma non sappiamo sinceramente distinguere il buono dal meno buono, non intraprendiamo la strada per diventare maestri di noi stessi. Scoprire la coscienza vuol dire riconoscere i nostri errori, quindi probabile sofferenza. In realtà la sofferenza può esserci ugualmente, quando l'insegnante comincia a denunciare il minor avanzamento, la difficoltà di prosecuzione, ma la mente dice: "non importa, sarà per la prossima volta", e giù scuse (oggi non stavo bene, è un periodo così, ecc.). Demolire l'ego è molto difficile, ci espone, è come denudarci; l'ego è come una comoda coperta che nasconde la nostra parte più interiore e quindi intima e segreta, ma purtroppo lo fa anche verso noi stessi, cioè impedisce di vedere la nostra parte più profonda, ma questo non ci angustia, perché sappiamo che lì ci sono o ci possono essere aspetti di noi che possono non piacerci, dunque meglio non saperli. Allora ecco che i grandi e veri Maestri praticano le "docce di chiodi", cioè degli approcci che possono scatenare le nostre reazioni, ma che ci pongono di fronte a delle scelte: mi sta bene affrontare queste prove e quasi umiliazioni, o meglio l'insegnante buono e accogliente, magari anche severo, ma che non mi mette in questa situazione imbarazzante? Mettersi in gioco è sempre la scelta più difficile. Celibidache, dopo diversi anni che dirigeva i Berliner philarmoniker, una delle orchestre migliori del mondo, oltre 400 concerti in circa 5-6 anni, incontrando un suo grande insegnante, Heinz Thiessen, chiede un parere sul concerto che ha ascoltato, e quello risponde "sei un cretino, ti pavoneggi sul podio ma non ho sentito una nota di musica". L'ego avrebbe potuto benissimo saltar fuori e fregarsene di quel giudizio, o addirittura dare una rispostaccia. Invece Celibidache, che magari avrà sofferto per qualche istante e si sarà morso la lingua, chiese di incontrarlo e ricominciare a studiare. Si è rimesso in gioco e in quel momento è morto il vecchio Celi e nato il grande Celi, che rinunciò alle grandi orchestre, tranne, a fine carriera, i Munchner, e ha vissuto per l'arte, non per il successo, o indipendemente dal successo.
Il percorso di Celibidache effettivamente è eroico. Un uomo che, giova ricordarlo, durante la guerra patì la miseria. Ebbene, arrivato poi al successo, non si fece abbacinare da esso, ma anzi, ebbe il coraggio di ricominciare da zero. Per un uomo che conosceva la miseria, è un atto di vero eroismo.
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