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domenica, gennaio 15, 2023

Tra suono e voce

 L'uomo, come la maggior parte degli animali è in grado di emettere SUONI volontariamente. Questi suoni, come gli altri esseri viventi che hanno questa possibilità, vengono utilizzati per motivi esistenziali: difesa, offesa, richiesta di aiuto, accoppiamento, dolore, ecc. Questi suoni possiamo definirli PRIMITIVI, sia perché riguardano un essere in una limitata posizione evolutiva, sia perché sono i primi suoni che l'apparato preposto è in grado di emettere. L'uomo, e solo esso, ha poi avuto la possibilità di produrre una voce, o meglio di formulare fonemi e quindi PARLARE. Ora, la domanda è: cosa ci sta tra il suono primitivo e la voce parlata? E' chiaro che qualcosa è intervenuto in una determinata fase evolutiva dell'uomo. E' la CONOSCENZA. Tutti gli esseri viventi posseggono un determinato grado di conoscenza, e ognuno di essi impiega questo livello e lo applica a cose che fa: pensiamo a un uccellino che si costruisce il nido, cioè elabora e sfrutta cose esistenti, tipo rami e foglie, in un modo diverso per affrontare le proprie esigenze di vita. L'uomo, nella propria evoluzione, ha avuto diversi doni, oltre la parola: la posizione eretta e una mente molto più sviluppata (che poi sono cose in relazione tra loro), ma questo sviluppo non ha riguardato aspetti esistenziali, ma qualcosa di molto più raffinato, cioè la conoscenza stessa. La parola e la mente hanno avuto come obiettivo il comprendere perché parliamo e perché pensiamo. A parte queste considerazioni, ciò su cui voglio puntare è la QUALIFICAZIONE di ciò che elaboriamo. L'uccellino si fa il nido come sa, come ha sempre fatto e come fanno tutti i suoi simili. Noi non ci accontentiamo di farci una casa fatta con quattro mura, ma vogliamo che abbia una determinata qualità, diciamo: che sia bella (e anche "più" bella, perché abbiamo anche l'invidia, la gelosia, ecc.). L'uomo può prendere un pezzo di legno e farci una scultura, disegnare e dipingere su una superficie qualsiasi, ecc., cioè trasformare materiali esistenti e tendenzialmente privi di valore in qualcosa che acquista un valore anche elevato... MA! che solo la conoscenza stessa è in grado di riconoscere. Per fermarci ai primi danni, ciò su cui voglio soffermarmi è il tragitto tra suono e voce parlata. Se è vero che in quel percorso subentra la conoscenza, quindi la verità, io mi chiedo: come è possibile che chi studia canto possa sottovalutare e sottostimare l'importanza fondamentale della parola e riferirsi quasi unicamente al suono? Valorizzare il suono significa tornare alla sua primitività, cioè, se non escludere, ridurre l'apporto della conoscenza nel processo produttivo del canto. Ma se l'arte è o dovrebbe essere conoscenza e verità allo stato puro, come è possibile arretrare dalla fonte principale di essa? Non solo non si dovrebbe, ma dobbiamo renderci conto che SOLO grazie a questo dono (la parola), noi abbiamo la possibilità di proseguire nell'evoluzione e portare il nostro fiato alimentante la voce parlata a uno stadio successivo e fino alla perfezione stessa. Questa è la strada che ci consente di acquisire quel senso in più. Per ulteriore chiarezza, preciserò che suono e voce non sono due cose diverse, ma la seconda, la voce, non è altro che la qualificazione del suono, ovvero è già contenuta nel suono, ma è necessario un processo, una disciplina perché possa manifestarsi, tranne qualche raro caso in cui emerge da sola (e allora parliamo di un "fenomeno") perché deve riconoscersi.



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