"La musique n'est rien", quindi "la musica non è niente", è il titolo di un libro scritto da Patrick Lang, un direttore d'orchestra allievo "stretto" di Sergiu Celibidache. La frase si può ascoltare all'interno di un film dedicato dal figlio, che è regista, al maestro rumeno. Al suo apparire il libro ha destato un certo stupore, come si può immaginare, ma ciò è dovuto alla sua decontestualizzazione, mentre nel film è ben comprensibile. In ogni modo sono dell'opinione che è un bel titolo, attrae l'attenzione su un tema molto importante. Proprio oggi il m° Raffaele Napoli, altro allievo "stretto" di Celibidache, su facebook ha scritto "la musica è morta". Avrei potuto benissimo intitolare anche io questo post "il canto è morto", perché le vicende sono molto simili. Ci stiamo battendo da anni per cercare di risollevare le sorti di queste arti fondamentali (non che le altre stiano molto meglio...), ma è come il classico svuotamento del mare con un cucchiaio. In ogni modo, noi continuiamo a svolgere quello che riteniamo un dovere e una forma di ringraziamento nei confronti di chi si è speso per noi. Proprio ieri mi è tornata in mano una lettera del m° Antonietti in risposta a una mia (di cui non ho copia) del '96, in cui mi incoraggia a andare avanti, avendo percepito un certo scoraggiamento. Sono passati 23 anni, e sono andato avanti con un po' di alti e bassi ma senza mai mollare, e continuerò così.
Dunque, per tornare al titolo: il m° Celibidache cosa intendeva con "la musique n'est rien"? Che non è un oggetto del pensiero. La nostra mente razionale ha la necessità di avere delle varie cose di cui ci occupiamo, una definizione concreta, ferma, ben circoscrivile, altrimenti rischia di sfuggire. Ed è così! Tutta l'arte, facendo parte del bagaglio spirituale, non è definibile; una definizione ne limita la portata. Molti vorrebbero che fosse "un linguaggio". Può "anche" essere un linguaggio, ovvero per poter essere comunicata e trasmessa, sempre nell'ottica razionale del nostro funzionamento cerebrale, ha richiesto l'uso di un linguaggio, o meglio di più linguaggi. Ma questa è stata una limitazione, che però lo studio approfondito può superare, ed è proprio in questo sforzo che sta la capacità di un vero musicista di potersi avvicinare alla Musica. Se è fondamentale che si impari la morfologia musicale, cioè saper leggere le note in tutte le chiavi, capirne la durata, saper replicare correttamente il ritmo, l'altezza con la voce e con un eventuale strumento, o più d'uno, comprendere e usare segni espressivi, dinamici, agogici, ecc. ecc., è altrettanto fondamentale capire che essi sono una necessità pratica, ma con forti limitazioni, e che se si eseguisse la musica basandosi solo su quanto scritto, il risultato sarebbe ben misero. E quanti sedicenti "grandi" musicisti ripetono "facciamo tutto ciò che è scritto"!? o ti dicono: "studiare la partitura, perché lì c'è tutto...". Purtroppo è un'ammissione di debolezza, anche se il significato di queste frasi solitamente si riferisce al fatto che nel tempo a molte partiture sono stati apportate delle modifiche, che senz'altro non fanno del bene alla musica, ma certo la questione non sta tutta lì. Gli stessi compositori il più delle volte tornano sui propri lavori, non sono mai del tutto soddisfatti; talvolta hanno avvalorato modifiche portate da altri... Insomma il "linguaggio" si rivela sempre un mezzo insufficiente, ma necessario all'uomo.
Nel canto la questione è anche più concreta. In tempi lontani, un giorno scrissi: "la voce non è un vaso di fiori"! Il problema (uno... dei tanti!) degli insegnanti di canto degli ultimi decenni, è di considerare la voce come "qualcosa", come un oggetto che si può spostare, mettere da qualche parte. La voce è un flusso, una corrente, proprio come lo è il fiato, anzi E' fiato, con una diversa qualità, una periodizzazione, un ritmo interno, una vibrazione, che ne conferisce un valore sonoro, che poi l'uomo è in grado di modulare in vari modi. Questo flusso può variare il proprio percorso in funzione dei moti dell'apparato fono-respiratorio, cioè faringe, lingua, palato, labbra, ma queste variazioni devono essere dettate dalla mente in funzione di un carattere che si vuol dare (o che viene in base alle nostre emozioni, sentimenti, ecc.). Invece si pensa di "ingabbiare" la voce, di dominarla, di farne ciò che si vuole. Così non può essere perché sfuggente, perché, per l'appunto, "non è niente". Tutti i movimenti che vengono indotti volontariamente spostano il flusso, sì, ma non necessariamente come pensa il soggetto, quindi si formano moti e reazioni, per cercare di mandarlo dove si vorrebbe (che poi non è detto che sia un "luogo" efficace) e soprattutto si creano forti tensioni nella muscolatura, che impediscono la fluidità necessaria al fiato-suono.
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