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domenica, dicembre 13, 2015
Integrale
Al pari di canto "olistico", la grande scuola del canto è bene che affronti l'idea di una emissione integrale. E cosa significa? Il pericolo è quello di immaginare un coinvolgimento corporeo complessivo. E' una frase ricorrente dire: si canta con tutto il corpo. Ma questa è una delle tante frasi a effetto che serve a poco e confonde molto, per cui sono dell'opinione di non pronunciarla. Può essere un allievo che a un certo punto possa provare la sensazione di cantare con tutto il corpo; se è così, bene, ne avrà un senso di benessere, dirglielo, al contrario, può dare un senso di frustrazione per il fatto di non sentirsi in quella condizione. Dunque la mia proposta di un'emissione integrale riguarda il rapporto fiato-suono-vocale. Ritenere il fiato una componente slegata dalla voce - comunque la si intenda - non farà che mantenere la respirazione in una dimensione istintiva, animalesca, puramente chimico-fisica, e non la proietterà nella produzione sonora. Le mille e mille parole che riempiono libri, riviste e pagine di social network a proposito della respirazione per ben cantare, non raggiungono mai il nocciolo della questione, e cioè che nel momento di una perfetta emissione, quindi quale meta dell'apprendimento, vi è una integrazione o perfetta simbiosi tra fiato e suono, ovverosia diventano come una cosa sola. Quando diciamo che per ottenere un suono perfetto occorre una respirazione artistica, intendiamo una qualità del fiato elevata, suprema, ma questo che vuole ancora dire? Ad esempio una qualità dell'aria può essere il calore. Indubbiamente l'aria di emissione è diversa da quella di inspirazione in quanto si è scaldata, e quindi ha già modificato la sua natura e la sua fisicità. Ma se la scuola procede su una strada artistica, l'aria polmonare, nel momento in cui diventa alimentazione di suoni puri, si modifica ulteriormente nella direzione di mettere in vibrazione senza un'azione meccanica forzata e violenta le corde vocali, nonché instillare nell'apparato articolatorio-amplificante quelle massime caratteristiche di elasticità, libertà ed eufonia che il nostro corpo è in grado di sviluppare. Leggevo in questi giorni su un libro, che in massima parte non mi pare particolarmente interessante, che se si canta forzando, nel tempo non si riuscirà più a cantare se non forzando. Su questo sono sostanzialmente d'accordo. Alcune scuole si basano su esercizi estenunanti di carattere muscolare; nel tempo i muscoli si rinforzeranno, si ispessiranno e perderanno gran parte della loro elasticità e gradualità. La meravigliosa e paziente macchina umana può, in alcuni casi, superare questa condizione, che in molti casi porterà a patologie e gravi conseguenze, permettendo una vocalità di qualche gradevolezza sonora, se pur lontana da ogni criterio di buon canto, di agilità, di chiaroscuro, di legato, ecc. Viceversa occorre educare con la gradualità che parte dalla nostra condizione naturale, lasciando che il giusto rigore dell'insegnamento perfezionante la parola intonata scateni quell'esigenza respiratoria più elevata e mirata allo scopo, evitando per quanto possibile la reazione del fisico stesso che si sente minacciato da una modificazione profonda dei meccanismi che regolano anche la vita. Più il rapporto sarà leggero, gentile, sottile (come dice Falstaff!), delicato, piacevole, meno sarà interpretato dalle nostre difese in senso provocatorio e quindi da attaccare ed eliminare. L'idea che noi espiriamo nel canto così come nella normale respirazione è un'ottima concezione; notavo in questi giorni che anche Gigli in uno spezzone di lezione di canto usa il termine espirazione per dire canto, per cui aveva ben radicata la concezione che voce è veramente uguale a respiro sonoro. Questo in molti genera perplessità, perché si pensa che il suono "pieno di fiato" sia intanto uno spreco d'aria, con il falsissimo concetto che l'aria andrebbe risparmiata, in secondo luogo che non è voce piena, non è suono "sonoro" e dunque non si sente a sufficienza. Naturalmente non avallo la concezione di un suono davvero che soffi, cioè in cui la componente aerea sia avvertibile. In alcuni momenti di apprendimento questo è possibile, e spiego che quella percentuale di aria che si sente ancora, dovrà sparire completamente. Però preferisco, ripeto, in una fase propedeutica, sentire un po' d'aria, che non una spinta sul suono, sulle corde vocali, che non porteranno a niente di buono. Se c'è aria, abbiamo buone possibilità che essa si integri e diventi suono perfetto. Sentire suono premuto, ottenuto con forza, vuol dire mancanza di arte, mancanza di libertà.
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