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mercoledì, ottobre 20, 2010

Fiato ed emozioni

Fra le tante complicazioni e contraddizioni che osserviamo nell'educazione del fiato, ce n'è una che merita approfondimento. Nei primi approcci al canto noi ci soffermiamo sul fatto che l'istinto reagisce al tentativo di modificazione dello stesso (per farlo diventare "archetto" dello strumento vocale) mediante una maggiore attività espiratoria del diaframma. In parole povere, dopo pochi secondi dall'inizio di un esercizio o frase cantata, il diaframma comincia a "spingere" affinché i polmoni si svuotino. Da qui la pressione verso la laringe, che si innalza oltre misura, il blocco mandibolare, la voce nasale e così via. A un certo punto però noi cominciamo a dire: spreca fiato, soffia via, non trattenere. Cioè assistiamo a un fenomeno che appare opposto alla spinta e allo svuotamento dei polmoni, ed è un tentativo di mantenere aria all'interno, di conservarla e quindi di trattenerla. Questo non provoca probemi fisici ma di qualità del canto. Ma a cosa è dovuto? Possiamo dire sempre all'istinto (te pareva...), ma tramite un altro meccanismo che gli appartiene: le emozioni. Come mi pare di aver già scritto in passato, il centro degli istinti di conservazione e difesa, sono gli stessi delle emozioni, e infatti a un certo punto, quando l'emissione comincia ad essere valida, capita spesso che l'allievo sbagli per timore di far qualcosa di eccessivo, di sconosciuto e quindi di sbagliato. E' normale: ci si avventura per una strada sconosciuta, e quindi l'istinto provoca le stesse emozioni come se ci si trovasse soli su una strada deserta senza indicazioni. Ora una constatazione, scientificamente provata, facilmente constatabile da chiunque, è che le emozioni, specie alcune, provocano un blocco, un trattenimento, una diversa gestione del fiato. La paura provoca rallentamento e anche blocco del fiato, in quanto lo stesso "rumore" del fiato potrebbe rivelare la nostra presenza, quindi l'istinto permette (e anzi stimola) questo meccanismo apparentemente contraddittorio. Naturalmente la paura ha diversi stadi; nel caso nel canto non possiamo parlare di terrore, e nemmeno di una vera e propria paura, ma di timore, di insicurezza, che, proporzionalmente, non bloccheranno il processo espriratorio, ma ne rallenteranno e/o renderanno discontinuo il funzionamento. La soluzione non è semplice. Già conoscere queste nozioni può essere utile. Fare esercizi per rendere fluida e ininterrotta l'espirazione (anche senza il canto) può indurre maggior sicurezza e allentare via via il senso di timore.

lunedì, ottobre 18, 2010

La Natura che muta.

Ricordo che molti anni fa Giulietta Simionato rispondeva in un'intervista alla domanda sulla carenza di nuove grandi voci con l'affermazione che il genere umano sta mutando, e di conseguenza le voci. E' vero. Ci sono almeno due fenomeni da considerare: 1) il fatto che in genere il molto minore uso del fisico per lavorare ne ingentilisce e affina la muscolatura, 2) l'alimentazione ha indotto lo sviluppo verso una crescita in altezza assai notevole. Questo ha inciso sulla vocalità, perché anche laringe e corde vocali si sono assottigliate e allungate. Poi non è da sottovalutare l'impatto ambientale e le necessità di relazione. Oggi la comunicazione telefonica o con altri mezzi ha diminuito la necessità di parlare ad alta voce. Come tante cose del passato, sarei curioso di sentire come parlavano gli antichi romani, specie gli arringatori, i condottieri... E forse ancor più i Greci, che avevano fatto studi importanti sulla voce. A proposito di mutazione, poi, dobbiamo mettere anche un altro fattore in conto: la donna, nella sua evoluzione culturale e sociale, parla oggigiorno quasi sempre e solo di petto, mentre credo di poter affermare con una certa sicurezza (anche il Garçia ne accenna) che un tempo il registro comune di voce parlato della donna era il falsetto. Questo un tempo rendeva più facile l'educazione vocale, perché oggi un problema diffuso è proprio dovuto allo "scalino" tra petto e falsetto e alla difficoltà di irrobustire il falsetto. Purtroppo ai mutamenti apportati dalla Natura non abbiamo mezzi per contrastare, anche ammesso che lo si volesse; se però, come auspichiamo e crediamo, la Natura sa mantenere i propri equilibri, non abbiamo molto da temere, perché gli apparati saranno sempre in grado di esprimere una vocalità esemplare, laddove sapientemente guidata. Magari saranno sempre più rare le voci grandi e molto sonore, ma come ogni passaggio evolutivo potrà essere assorbito da nuovi interessi e nuovi obiettivi. Ciò che conta è mantenere vivo il rapporto con l'Arte.

La voce "falsa"

Qualche giorno fa, su segnalazione di un amico in internet, ho ascoltato un soprano non malvagio, dotato di discreta pronuncia e accettabile sul piano del fraseggio. Dove stava il problema? Immediatamente appariva una voce "falsa", cioè quella condizione vocale che agli antichi fece intitolare "falsetto" la gamma di suoni tra petto e testa, che dà la sensazione di essere vuota, priva di corpo, di pienezza. Sono suoni che si possono anche accettare in chi inizia lo studio del canto e anche dopo qualche mese; non si può tollerare in chi già canta professionalmente o quasi. Il termine deriva dal fatto che manca l'appoggio. Purtroppo questa condizione, che sente anche piuttosto bene chiunque (magari senza capire bene qual è il difetto), porta a errori gravi: ingolare, per dare un'apparenza di timbratura e corposità, il vibrato volontario, in quanto la voce con poco appoggio resta più fissa e ha un timbro immaturo (per alcuni questa si definisce voce "naturale"; è una sciocchezza, è una voce non sviluppata, che è ben diverso concetto!). Naturalmente ci si deve chiedere: come fa a cantare in questo modo? Ecco, questo modo di cantare si basa su un lieve appoggio in gola. Non è un ingolamento vero e proprio, per cui la voce non risulta artefatta e dura, non schiaccia verso il basso, per cui c'è una parvenza di morbidezza e la possibilità di fare dinamica e pronunciare decentemente. Non c'è intensità, per cui dobbiamo pensare a voci già naturalmente ben messe, e con acuti poco sicuri. Ciò che appare piuttosto evidente, comunque, è quel senso di voce "per aria", come se non avesse un "sotto", come, per l'appunto, se non appoggiasse su niente. Sento talvolta persone che parlano così...

domenica, ottobre 17, 2010

Dalla Russia con amore

Leggevo tempo fa che il M° Melocchi avrebbe elaborato la teoria dell' "affondo" dietro indicazioni di un cantante russo. E' un'ipotesi, che personalmente ritengo assai probabile, perché stavo riflettendo sul fatto che la Russia è anche la patria dei "contro-bassi", cioè quei cantanti, presenti pressoché solo presso cori popolari, che esercitano il proprio dominio vocale soprattutto nella zona gravissima della voce, anche al di sotto del do1. Orbene questo modo di cantare è dovuto ad un uso particolare della laringe (ne parla anche Garcia), che assume una posizione altissima all'interno del faringe. Questo è spiegabile col fatto che le corde vocali in zona ipofaringea non hanno più spazio di vibrazione, quindi il sollevamento estremo della laringe in zona alta, dove maggiore è l'ampiezza dell'imbuto faringeo, dà la possibilità alle corde di fluttuare liberamente. A parte ciò, ritengo probabile che in passato qualche studioso russo abbia fatto sperimentazioni sui risultati ottenuti dalle diverse posizioni della laringe, scoprendo da un lato la possibilità del registro (impropriamente detto) di contro-basso, e dell'altra della possibilità di un appoggio molto energico (e su cui ci siamo già soffermati a commentare in altri post).

L'istinto "buono"

Mi perviene una domanda. Potrebbe qualcuno ritrovarsi un istinto che invece di ostacolare possa aiutare a cantare? Posso dire con buona sicurezza: no! Se qualcuno dovesse ritrovarsi con tale disposizione, dovremmo anche far riferimento a una persona dotata, se così si può dire, di caratteristiche "inumane" e pericolose per la sua stessa vita. L'isinto è un "programma" fissato in tutti noi, che differisce da persona a persona per caratteristiche fisiche del soggetto e per il grado di tolleranza che l'istinto stesso possiede. Quando il grado di tolleranza è molto alto, noi ci troviamo di fronte a persone che cantano con molta facilità. E' possibile avere un indizio: l'estroversione di quella persona. Chi è molto estroverso è poco frenato dal proprio istinto, che sta concedendo molto spazio di sviluppo. La persona non ha timore a rivelarsi anche interiormente, psicologicamente, e quindi si lascerà trasportare facilmente dalla propria indole artistica. Il possesso di doti vocali, è anch'esso un segnale di disponibilità da parte dell'istinto a lasciar passare una buona parte del canto, però non si può pensare che non entri in funzione e non svolga il suo compito, che è quello di preservare la respirazione e il nostro corpo da un lavoro potenzialmente pericoloso, come può essere il canto, che tenta di commutare la respirazione fisiologica, e la funzione del diaframma.

Il vizietto

Di vizietti per la verità ne possono sorgere tanti in chi è alla ricerca del giusto modo di cantare. Ad esempio vedo spesso (specie nei cantori di coro) che qualcuno, specie nel settore maschile, si mette una mano a padiglione dietro l'orecchio. Questo può andar bene una tantum quando si trova in un ambiente magari poco acustico, o lontano dallo strumento che lo accompagna, per avere maggior sicurezza nell'intonazione. Differentemente diventa un vizio oltre che esteticamente poco gradevole anche potenzialmente pericoloso, perché in quel modo si deforma la percezione del proprio suono, e ogniqualvolta si toglie la mano ci si sentirà meno o diversamente e può cambiare anche il tipo di emissione. L'educazione dell'orecchio deve essere fatta in condizioni corrette, quindi senza alcun artificio. Analogamente può capitare di vedere cantanti storcere la bocca. E' anch'esso un difetto da togliere; intanto può nascondere vari tipi di problemi, quindi se chi lo fa non se ne accorge, vuol dire che c'è qualcosa che non va; se lo fa volontariamente, come nel caso precedente sta prendendo un vizio brutto, perché storcendo la bocca si avvicina la fonte (bocca) all'orecchio, e quindi modifica le condizioni di percezione, e non va bene. Però in quest'ultimo caso lasciamo aperto anche uno spazio al dubbio, perché storcere la bocca implica anche un maggior controllo sulle labbra, e quindi è possibile che effettivamente il suono esca migliore, però bisogna ricondurre quella giusta emissione anche alla giusta postura delle labbra e percezione uditiva.

venerdì, ottobre 15, 2010

Quando l'istinto non c'entra

Come ho già scritto più indietro, ci sono situazioni di resistenza che possiamo non addebitare all'istinto di sopravvivenza e difesa della specie umana, e che possiamo invece assegnare a quello che possiamo definire come un istinto estetico personale, quindi soggettivo, e situato a livello di neocorteccia. Nonostante sia superabile, può essere ostico e davvero problematico da aggirare, perché incide non soltanto sulla qualità degli esercizi e del canto, ma sulla memoria cosciente. Se la mente di un allievo si è fatta la convinzione che il canto deve risultare in un certo modo, inteso come colore, timbro, intensità, ampiezza, ecc., e che possiamo considerare difettoso, anche se si segue una strada che conduce verso un risultato diverso, ovviamente corretto, questo istinto, che si può dire sia semicosciente, può impedire o fortemente rallentare l'apprendimento. E' molto difficile superare, nel senso di rimuovere, questo istinto, che può manifestarsi nei modi più disparati, con la creazione di dubbi circa la scuola che si sta frequentando, con un affaticamento mentale esagerato, la caduta di attenzione e concentrazione, ma soprattutto la difficoltà a distinguere suoni giusti da suoni anche considerevolmente difettosi. L'unica strada percorribile in questi casi, laddove esista comunque la volontà dell'allievo a proseguire, ritenendola una strada giusta, è la costanza e implacabilità nel seguire lezioni, nell'esercitarsi e cantare il meno possibile da soli, in quanto in quei momenti l'impossibilità di selezionare il giusto dallo sbagliato porta fatalmente verso l'errore, nel leggere e riflettere il più possibile sulla disciplina intrapresa. E' un po' quella che il M° Antonietti chiamava lezione dell'asino. Non è, soprattutto in questo caso, da intendersi offensiva o riduttiva, ma una necessità volta a modificare un senso radicato ma erroneo e fuorviante.