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domenica, luglio 24, 2016

La torta

Nei discorsi e, ancor peggio, nella didattica, non si parla di voce, ma di "voci". Lo spettro vocale viene spezzettato in molte parti: la voce di petto, falsetto, testa, falsetto piccolo maschile, voce maschile e femminile (in uno stesso soggetto), armonici, mezzavoce, voce piena, ecc. Ma non è tanto questo il grave, quanto il fatto che ognuna di queste voci viene trattata e considerata a sé stante, e alcune di queste voci non considerate affatto o escluse. Se noi partiamo da un diagramma a torta, dove le varie fette, più o meno grandi, costituiscono una delle tipologie suddette, arriviamo semplicemente alla considerazione che la voce è l'insieme di tutte; attenzione, non dico "la somma", ma che ognuna è parte del tutto, ossia dell'UNO. Non dirò mai troppe volte che arte significa unificare; la meta, l'obiettivo, il traguardo massimo consiste sempre nel ritrovare quell'unità che nella vita il più delle volte si trova variamente differenziata. Allora se noi consideriamo, ad esempio, che nella maggior parte delle scuole di canto il cosiddetto registro di petto nelle donne, specie nei soprani, viene additato come satana e decisamente vietato, noi già possiamo constatare che quella "torta" avrebbe una fetta in meno, quindi incompleta e quindi "non voce", almeno sotto un punto di vista artistico. Per la verità, poi, dobbiamo anche riflettere sul fatto che ognuna di queste parti spesso viene sottovalutata o ipervalutata a scapito delle altre, o del tutto ignorata o considerata malevolmente e quindi esclusa dalla didattica. Come dicevo poco sopra, non si tratta di considerare le varie parti come una somma che finirà per costituire il tutto, perché in questo modo in realtà noi avremo sempre delle divisioni. Si tratta, per l'appunto, di "unificare", cioè di eliminare le parti, raggiungendo l'unità "torta", ovvero VOCE, dove si ha l'eliminazione o superamento delle divisioni. Purtroppo la scienza (e quanti la seguono con troppa attenzione) è la principale responsabile di questa conseguenza, perché il suo compito è di tipo analitico, ma non porta e non porterà mai a unificare, essendo un compito al di fuori del proprio interesse. In arte invece, e in tutte le scuole d'arte - di canto nella fattispecie - che hanno compreso che questo è l'obiettivo supremo, come si agisce per arrivare ad avere UNA voce? ovvero, cos'è che virtualmente ha diviso, in origine, e cos'è che riporterà all'unità? E' il fiato. Ma anche detto così non solo non significa molto, ma addirittura genera confusione, perché "quasi" tutti sanno che il fiato è il motore vocale, me il problema è che "quasi" nessuno considera il fiato come oggetto unificante, ovvero non sa come questo possa avvenire.
Occorre innanzi tutti porsi il quesito: perché la voce si presenta, divisa in "fette". Anche chi ha una discreta omogeneità tra centro e acuti, avrà comunque "scalini" vari. Allora la risposta a questa domanda è fondamentale per comprendere cosa significa studiare canto. All'uomo in quanto soggetto vitale in questo tempo e questo spazio, non importa, non interessa l'unità vocale, è un requisito inutile, di molto superiore alle esigenze di vita contingente. Potremmo dire, ancor meglio, che rappresenta "un costo" in termini di energia, di impegno fisico, del tutto sproporzionato. Quindi la cosa migliore è "spezzare", dividere, differenziare. E' un procedimento naturale che avviene in tutti i campi; per restare in quello musicale, sappiamo cosa avvenga nel mondo dei suoni: percuotendo una corda tesa, si genera un suono, ma immediatamente dopo la corda si "spezza" e si generano gli armonici, cioè la corda nella sua interezza non può sopportare di continuare a vibrare, perché l'energia necessaria sarebbe eccessiva, per cui si divide prima a metà, poi nei quarti, ecc., generando, ovviamente in modo sempre meno avvertibile, suoni proporzionali alle varie parti in cui si è divisa la corda. La voce, in quanto unità, pertanto, non si pone naturalmente perché il suo "costo" energetico è elevato. Ma cosa significa praticamente questo? come, o meglio su cosa, agisce la natura per diminuire l'impegno? sul fiato, ovvero riduce, tiene basso, il potere energetico del fiato. In definitiva noi possiamo dire che la fonte respiratoria media degli uomini non ha il potere di generare una vocalità unificata. Da qui deduciamo semplicemente che il compito del maestro di canto è quello di sviluppare o far evolvere il potere respiratorio al fine di ricostituire l'unità vocale. Qui però si pone il problema più gigantesco di tutti. Sappiamo che in "quasi" tutte le scuole si fanno esercizi di respirazione, ma il problema è che i risultati sono quanto meno deludenti. Questo è perché, ancora una volta, si divide, cioè si considera il fiato come oggetto a sé stante e si pensa di provocare un miglioramento facendo esercizi di respirazione, ma non è così. L'unica possibilità evolutiva consiste nel considerare che il fiato non è un elemento "esterno" alla torta che arriva a unificare, ma è o deve essere parte integrante della torta, componente, che in determinate condizioni porta gradualmente al risultato atteso. Potrei definirlo, con cautela, il lievito. Per concludere e chiudere il cerchio: se noi non consideriamo le varie parti in cui si trova divisa la voce e non utilizziamo didatticamente esercizi che generino sviluppo del fiato (ovvero ESIGENZA di sviluppo) per ciascuna di queste parti, saremo condannati ad avere perennemente una voce divisa. Ogni parte ha un ruolo, anche se noi inizialmente potremmo non riconoscerla e non considerarla. Molti maschi si meravigliano se faccio fare esercizi con falsettino, si mettono a ridere oppure si vergognano, e chiedono: "a cosa serve?". Donne che hanno già studiato e a cui faccio fare esercizi di petto, idem. Ma lo stesso problema si trova in musica: si va ad eseguire un brano e si sentono note una dopo l'altra, senza alcun criterio unificante... Ma qui apriamo un altro file, e ora non è il caso.

Aggiungo, a mo di banale esemplificazione, tre grafici. Nel primo, a sinistra, vediamo la voce suddivisa in tanti spicchi separati (le percentuali e le denominazioni sono casuali); considerate il caso che uno o più di questi spicchi non venga per nulla preso in considerazione, ovvero escluso! non è che gli altri si allargano a prenderne il posto; resta un buco e basta!
Nel secondo caso, che vediamo nel grafico a destra, la voce risulta maggiormente unificata, gli spicchi sono adiacenti tra loro, ma complessivamente ci sono ancora separazioni nette e i vari spicchi sono ancora molto evidenti.
Il terzo diagramma mostra una soluzione più vicina a quanto intendo, cioè gli spicchi con differenziazioni appena sfumate. Occorrerebbe una grafica ancora più raffinata, dove i colori non sono così nettamente differenziati, ma ognuno sfuma negli altri. Credo comunque che l'idea sia stata resa.

lunedì, luglio 04, 2016

"Spillare"

A un precedente post (gli zampognari) è seguito un video di Simone Angippi con alcune sensate aggiunte. In effetti mentre scrivevo avevo in mente altri aspetti del problema, ma, come mi capita spesso, soprattutto nei periodi in cui ho poco tempo, mi sono sfuggiti prima del completamento del post. Ho comunque riflettuto, successivamente, e oggi posso inserire questo post di completamento con qualche ulteriore aggiunta.
Per mettere ordine, occorre individuare, prima di tutto due diversi aspetti della funzione respiratoria: quella qualitativa, legata alla produzione, e quella quantitativa, legata alle necessità di fraseggio. Per alcuni si tratta sempre e solo di quantità, cioè ritengono che per avere buona voce necessita molto fiato. Ciò è errato, e, come ho più volte scritto, è soprattutto sbagliato esercitare nei primi mesi di studio una respirazione particolarmente abbondante. E' probabilmente difficile far comprendere a chi non ha raggiunto un elevato livello educativo che il fiato deve "imparare" a svolgere una funzione musicale, ovvero sgravarsi da quella fisiologico-meccanica, spontanea e istintiva per assumere questo ruolo evoluto, conoscitivo. Il "come si fa" passa attraverso delle fasi; all'inizio, e per molto tempo, è assolutamente necessario mettersi nella condizione di "sprecare fiato", cioè di consumare senza risparmio. Quando si canta si corre fortemente il rischio di staticizzare il suono e frenarlo, quindi bloccare il suo processo espiratorio. In altre parole chi canta difficilmente si rende conto che dovrebbe avvenire quella stessa dinamica che si ha nella normale espirazione fisiologica; l'istinto è quello di fermare o perlomeno rallentare il processo. Questo porta fatalmente a gonfiare internamente, indietreggiare e ingolare. La volontà di consumare abbondantemente aria per alimentare, porterà in tempi più o meno brevi a farsi un'idea più corretta, realistica, del processo vocale nella sua interezza.
La cosa, però, può essere vissuta e gestita anche da tutt'altro punto di vista, capovolgendo completamente la prospettiva. Come ho scritto nel titolo, noi possiamo idealmente "spillare" la voce, cioè, come da una botticella, lasciar uscire tranquillamente il fiato-suono, senza pensare di "produrre", di innescare una meccanica produttiva, di azionare organi e ingranaggi. Così come un soffio, un alito, si genera nell'aria stessa la vocale (VERA) che vogliamo, apriamo la spina delle nostre labbra e lasciamo fluire. Meno cose facciamo e meglio sarà. Non pensiamo subito alla lunghezza, alla durata, perché questo ci porterà fatalmente all'erroneo concetto di risparmio, di trattenimento. Al contrario dobbiamo pensare di fare pochi suoni in un'arcata d'aria espirata. Nel tempo il procedimento porterà a una resa sempre più alta, finché, con pochissimo fiato avremo una durata enorme, si sarà compiuta una elevata efficienza tra i tre apparati, che è l'obiettivo del canto artistico. La sensazione sarà quella di un tubo aperto e vuoto, senza freni, rallentamenti, restringimenti, frizioni, resistenze, attriti. E' una condizione meravigliosa ma anche paurosa, all'inizio, perché si presenta come una portata d'aria enorme che ci fa immaginare uno spreco, un'esagerazione che non ci permette di cantare lunghe strofe. E' un'illusione che il nostro istinto ci presenta come reazione a una condizione respiratoria (con un coinvolgimento meccanico) a lui ignota, quindi potenzialmente pericolosa. Di buono ha che il fiato, non essendo trattenuto, non pone reazioni fisiche, e quindi ci permette di sfuggire alle "spinte" che la stragrande maggioranza dei cantanti mette in atto per tentare di aprire quegli spazi che si presentano chiusi o resistenti (resistenza che per lo più creiamo noi). Solo in quella condizione di fiato-suono in corretta, ampia portata, condizione di "tubo vuoto", si realizzerà compiutamente la sintesi cordale per cui sparirà ogni residuo delle due meccaniche istintive (petto/falsetto-testa), e avremo il "registro unico", l'assoluta, totale uniformità, omogeneità e mancanza di ogni e qualsivoglia passaggio, come possono dimostrare tutti i miei allievi dopo pochi mesi di studio. A questo proposito, dedicherò un post alla questione musica moderna Vs lirica, che angoscia tanti studenti di canto.