Translate

lunedì, novembre 21, 2016

Decostruire

Più ascolto i cantanti delle ultime generazioni e più ancora allievi di canto provenienti da un po' tutta Italia, più sono cosciente che la strada da percorrere per tutti loro per ritrovare la retta via, sia quella opposta alla più battuta, cioè DECOSTRUIRE, invece di aggiungere, di fare, di inventare, di cercare... Tutto il male del canto odierno (ma anche precedente laddove c'è stato, sicuramente meno diffuso di oggi, ma non inesistente, sia chiaro), viene dall'aver voluto INVENTARE qualcosa per cercare di addivenire a un tipo di emissione che assecondasse superficialmente quella voglia un po' infantile di riuscire a fare qualcosa di speciale, cioè fare una voce "grossa", rumorosa, gagliarda, che uscisse quindi da una certa apparente normalità. L'ascolto di grandi nomi del passato oggi non suscita entusiasmo in tanti ascoltatori sprovveduti perché non capiscono ciò che c'è da sentire, che non è il "rumore", il "timbro" il "corpo", che non è affatto il "propellente" di una voce in un ambiente, ma è solo un difetto, anche piuttosto grave, che viene spacciato per pregio (una specie di circo dove si va a vedere il fenomeno, che è un poveraccio con qualche grave malformazione!). Il m° Antonietti diceva: "non confondiamo l'ottone con l'oro!" ecco, io di oro non ne sento quasi più, ma di ottone tanto (e forse il paragone è ancora sbilanciato, l'ottone è troppo nobile!). Come si può pensare che il canto sia vomitare suono? per quanto piacevole e seducente, sempre suono è, ma l'uomo ha non solo una marcia, ma una catena di marce in più rispetto al misero suono di qualsivoglia strumento - il suo stesso - e mi riferisco alla parola, alla vocale pura, alle infinite possibilità articolatorie. Ma il mondo della parola, della frase, non va "imparato", lo conosciamo fin dalla fanciullezza, e il nostro cervello, il nostro DNA, è già predisposto a questa capacità. Però si ferma al parlato relazionale quotidiano, quindi di "basso profilo", e tutt'al più a un canto amatoriale limitato, solo raramente a un canto di una notevole portata ed estensione, che però non è e non può essere duraturo. Il perché è semplice da comprendere (salvo coloro che non vogliono comprenderlo perché devono difendere cocciutamente le loro idee senza criteri e fondamenti): il canto "artistico" richiede un fiato che non è "naturale" nell'uomo, non è richiesto dalla vita di relazione e di sopravvivenza della specie, ed essendo impegnativo e tentando una commutazione del fiato fisiologico, viene osteggiato. Questa è la spiegazione del motivo per cui non si può cantare "naturalmente"; è richiesto studio, impegno, e se si seguono criteri che non affrontino QUESTA logica, si può conseguire qualche risultato di un certo tipo esteriore, ma non certo di elevata qualità, per non parlare di magistero, di esemplarità.
Ogni qualvolta ascolto voci, dunque, tolte pochissime, mi rendo conto che sono "zavorrate", c'è suono, sì, ma impuro, ricco sì ma non dei veri armonici cristallini e argentei, ma rumori metallici, che impediscono alla voce di volare, di espandersi e correre occupando intere sale e facendosi ascoltare con piacere, con gioia, con coinvolgimento sentimentale, emotivo vero e profondo. La prima cosa che fa la maggior parte degli insegnanti di canto è proprio insegnare a "gonfiare" la voce, a creare artificiosi meccanismi per dare un'apparenza di suono importante, muscolare, potente e impressionante. Questo però non ha niente a che vedere con qualsivoglia spirito artistico. Il suono impuro che si vuole imporre come canto, è un falso, è una presa in giro! Il cantante deve essere in primo luogo un attore, un portatore di verità tramite la parola, che nel caso dell'opera (o dell'oratorio o altre forme di musica vocale) non flette la parola secondo una logica verista imitativa del quotidiano, ma la declina mediante un fraseggio melodico che un musicista ha elaborato artisticamente. Ma la seconda operazione non può e non deve mai assolutamente annullare la prima! La parola deve arrivare scolpita e sincera per poter arrivare a chi ascolta con la stessa determinazione e comprensibilità interiore. Le parole non sono solo vocaboli accostati, sono una UNITA' articolata nel tempo; purtroppo la gente conosce le arie o intere opere spesso senza avere contezza del significato di intere frasi (in questo senso è colpa anche di libretti arzigogolati e retorici). Ma se il cantante è padrone del contesto dell'opera e/o dell'aria che canta, saprà far arrivare tutto lo specifico carattere e gli affetti in esso contenuto. Dunque TOGLIERE, decostruire, assottigliare, SEMPLIFICARE, rimpicciolire; vivere il bello, il vero, il semplice, "stupido" senso di ogni parola, frase, aria...

lunedì, novembre 07, 2016

Dell'alleggerimento

Se c'è una cosa che le parole della lingua moderna non possono spiegare è il concetto di alleggerimento nel canto. Dico lingua moderna perché chissà, forse l'aramaico antico magari era in grado di comunicare anche certo modo di "sentire" profondo che è inesprimibile oggidì. Ma forse fino a qualche decennio fa non c'era bisogno di contorsioni mentali per esprimere qualcosa di così semplice e piacevole. Non ci sarebbe bisogno di spiegare e di chiedere insistentemente niente di particolare se ognuno partisse semplicemente dal proprio parlato quotidiano e iniziasse un percorso di perfezionamento senza perdere mai il contatto con quella dimensione, ed evitando di dar retta a tutti coloro che parlano di movimenti e di spazi interni, i quali partecipano sempre automaticamente e sviluppano il loro potenziale man mano che la respirazione si evolve. Ma oggi questo è un discorso pressoché impossibile perché se non c'è complicazione sembra non esserci progresso, se non ci sono muscoli sembra non esserci partecipazione, se non c'è movimento sembra non esserci attività, se non c'è spinta sembra non esserci intensità, se non si urla non c'è estensione, e così via. Non ho avuto allievo pervenuto da altra scuola che non mi abbia chiesto, prima o poi: "ma per fare questa nota COSA DEVO FARE?". Ogniqualvolta si incontra una difficoltà o un ostacolo, ci si aspetta una manovra, un movimento, una pressione, ecc., per poterla superare. Cioè una tecnica. E come dar loro torto, se oggi esistono centinaia di libri che con i più stregoneschi giri di parole (per lo più ampollosi, noiosi, ripetitivi, circonlocutivi, inconsistenti...) portano chi li legge o chi sente le centinaia di video-lezioni su youtube in quella direzione? Uno che studia canto potrebbe anche chiedersi, qualche volta, ma come è possibile che muovendo dei muscoli possano realizzarsi effettivi progressi nella voce, visto che è un flusso aereo che si è semplicemente trasformato in suono? Ben pochi, e ben pochi forse oggigiorno riescono a immaginare che un semplice atto espiratorio, un alito, che quando realizzato non ci porta ad alcun movimento muscolare, possa essere la stessa cosa se cantato. Come minimo ti dicono che no, bisogna creare spazio dentro. Quanto? come? perché? Qualcuno è così presuntuoso da saper calcolare quanto spazio occorre? Allora magari avranno ragione anche quei "macellai" che fanno usare il premilingua, per dare più spazio? Che immensa ignoranza, che arroganza. Come si può parlare di leggerezza e morbidezza se non si parte dal flusso aereo che NON PUO' CHE DIRIGERSI ALL'ESTERNO!! Chiunque provi a pensare a una qualsivoglia azione, sia pure rilassante, che si svolga all'interno, non farà che bloccare o quantomeno frenare l'azione liquida e scorrevole del fiato-suono che andrà a determinare con infallibile intonazione la pronuncia, che non può che essere esterna, per essere perfetta! Qualunque articolazione vocale prodotta all'interno, sarà immancabilmente difettosa. Naturalmente a tutti manca la coscienza di questo atto, perché nasciamo e per imitazione impariamo a parlare, con tutti i difetti e le storture date dal parlare "volgare". Non si deve perfezionare il parlato come fosse una tecnica, ma molto più semplicemente e incontrovertibilmente per assumere a coscienza questo senso e diventarne così padroni da poterlo plasmare a proprio piacimento, e in questo procedimento disciplinare, antico come l'uomo, ci sta anche il canto, che è un elevamento spirituale del parlato. Il canto è stata una manifestazione di preghiera e glorificazione di un'entità spirituale ritenuta creatrice e dunque depositaria delle nostre gioie e i nostri dolori. Dunque il canto serviva per implorare, per glorificare, per condannare gli impuri e coloro che con un atteggiamento erroneo provocavano il male, ecc. ecc. In poche parole, dunque, comprendiamo che il canto è solo una forma di comunicazione del parlato ma più "alta", più propria di una condizione non quotidiana, non volgare, che dunque merita una partecipazione più profonda e interiore. Il fiato è la componente interiore e spirituale che necessita di questo elevamento, e non per nulla parlo di una "disciplina", perché una tecnica è qualcosa che ha a che fare con attività prettamente fisiche e forzute. Qui si deve viaggiare su un piano di inconsistenza materiale. Quanto ho scritto è semplicemente una ricostruzione storica e filosofica. Ciò non toglie, però, che l'approccio sia effettivamente nato da una disposizione di quel tipo e che per il suo insegnamento possano apparire delle analogie, che però non pratichiamo con quell'atteggiamento mentale, ma che possiamo definire di umiltà e di superamento dell'egoismo e dell'egocentrismo.
Mi viene da sorridere, ma non sempre ci riesco, quando vedo il dibattimento accendersi sul modo di superare il cosiddetto passaggio di registro, quando è semplice considerare e prendere atto che non bloccando il fiato con manovre antivocali (o meglio antirespiratorie - dove il respiro è orientato vocalmente, non fisiologicamente) esso porta a uniformare la gamma, a patto che la voce nasca e si sviluppi esternamente, cioè esattamente in conformità alla normale voce parlata. Dove sta la difficoltà? da nessuna parte, è solo una questione di tempo, perché inizialmente non ci può essere una respirazione idonea a proseguire sulla stessa linea per tutta la gamma, per cui occorre insistere con esercizi e pratiche SEMPLICI che dettino l'esigenza di sviluppo cui aspiriamo. E' un costante dialogo, spesso cruento, con la nostra componente fisica, animale, che di aspirazioni divine non vuol saperne!

mercoledì, novembre 02, 2016

"Andavo a cento all'ora..."

Ho visto recentemente un riferimento, nel canto, all'automobile e mi sono tornate alla mente alcune analogie che sentii fare quando ero nei miei primi anni di studio, o anche prima. In effetti ricordo che la persona responsabile del mio profondo interessamento alla lirica e al canto, Beppe Valpreda, cui è stata intitolata l'Associazione Amici della Musica di Asti, che in gioventù aveva cantato e fu etichettato come il "Bechi astigiano", in quanto appassionatissimo del noto baritono fiorentino, che sapeva imitare alla perfezione, un giorno mi confessò che a lui Bechi piaceva tantissimo ma sapeva che il suo modo di cantare non era corretto, e me lo spiegò così: "è come se tu facessi una competizione in macchina su un breve tratto e per far prima non cambiassi la marcia: non perdi tempo e quindi magari vinci, però fondi!". Pochi anni dopo, quando leggevo tutto quanto scriveva Rodolfo Celletti, ricordo che, forse in più d'un articolo, scriveva: "il passaggio di registro [di cui lui era un vero fanatico ndr] è come il cambio dell'automobile, non puoi andare avanti oltre un certo limite con la stessa marcia, a un certo punto devi cambiare, e così nella voce, devi passare di registro". Questi riferimenti a mio avviso sono del tutto fuori luogo, senza contare che personalmente sono parecchio contrario a mettere a confronto un organismo vivente con un apparato meccanico, che per quanto ben fatto avrà sempre limiti giganteschi rispetto alle possibilità del corpo. In ogni modo, vediamo di osservare il fenomeno. Il motore gira, accelerando i giri aumentano e c'è un limite oltre il quale il motore "urla" e rischia di danneggiarsi; il cambio è un meccanismo intermedio che serve a far diminuire i giri del motore man mano che si accelera, contemperando le diverse velocità che occorre mantenere. Se volessimo paragonare il motore alle corde vocali, ecco che non ci siamo, perché le vibrazioni, o frequenze, man mano che si sale verso l'acuto, non possono che aumentare sempre. Non c'è alcun sistema di riduzione, perché ciò che interessa è proprio la frequenza. Cosa c'è da cambiare nell'ascesa (per cui necessiterebbe un "cambio")? un bel niente!! E' però vero che ISTINTIVAMENTE, per ragioni che abbiamo descritto alcune centinaia di volte in questo blog, le carenze respiratorie hanno determinato l'instaurarsi di due meccaniche, per cui la gamma centro grave prevede un maggior interessamento della zona muscolare delle c.v., mentre la gamma acuta prevede un maggior interessamento, se non addirittura una esclusiva pertinenza del bordo cordale fino a una sua parzializzazione. Il fatto che una maggioranza di persone si trovi a dover affrontare queste due meccaniche nettamente in evidenza e trovarsi pertanto in difficoltà nel doverle gestire in modo da non avere discontinuità timbrica (addirittura spesso utilizzata proprio per realizzare il "passaggio"), non significa che questa sia una condizione fatalmente obbligata e che quindi si debbano ricercare manovre tipo cambio di marcia altrimenti si fonde. Se questa è una condizione iniziale, significa solo che manca quel passo evolutivo che condurrà a un assoluto e totale superamento di questa che possiamo considerare una CARENZA RESPIRATORIA, cioè una carenza legata alla condizione contingente della vita che non è di tipo artistico, ma di tipo relazionale, quindi la respirazione non va oltre la necessità di scambio gassoso; quando noi vogliamo imporre un mutamento del suo ruolo, volendola utilizzare intensamente per alimentare suoni di ampia portata e in estensione (non necessari alla vita) ci troviamo non solo a constatarne la carenza rispetto a quanto necessiterebbe, ma addirittura ci troviamo a dover subire le conseguenze della sua opposizione a questo tentativo di mutamento. Il "cambio" che è necessario attivare è quello relativo a una disciplina EVOLUTIVA, che cioè consenta al fiato di adeguarsi alla nostra esigenza spirituale artistica, al termine della quale ci ritroveremo con una vocalità omogenea su tutta la gamma senza alcuna necessità tecnica di cambi, passaggi o altre diavolerie. Il risultato fonico, che solo un organismo elastico e suscettibile di adattamenti e trasformazioni, è quello più volte enunciato di una CORDA UNICA, cioè una gamma unica omogenea senza alcuno scalino, cambio, passaggio sia in senso ascensionale che in senso dinamico, cioè dove non si avverte alcun mutamento né salendo o scendendo, né intensificando o smorzando il suono, con qualunque colore si voglia. Se però a priori non ci poniamo nella condizione di far nascere la voce cantata laddove già nasce naturalmente quando si parla, cioè fuori, stiamo già tradendo e impedendo una possibilità evolutiva e dovremo fatalmente percorrere strade che, comunque si voglia intendere e discorrere, sono tecniche meccaniche, quindi limitate e limitanti.