Più ascolto i cantanti delle ultime generazioni e più ancora allievi di canto provenienti da un po' tutta Italia, più sono cosciente che la strada da percorrere per tutti loro per ritrovare la retta via, sia quella opposta alla più battuta, cioè DECOSTRUIRE, invece di aggiungere, di fare, di inventare, di cercare... Tutto il male del canto odierno (ma anche precedente laddove c'è stato, sicuramente meno diffuso di oggi, ma non inesistente, sia chiaro), viene dall'aver voluto INVENTARE qualcosa per cercare di addivenire a un tipo di emissione che assecondasse superficialmente quella voglia un po' infantile di riuscire a fare qualcosa di speciale, cioè fare una voce "grossa", rumorosa, gagliarda, che uscisse quindi da una certa apparente normalità. L'ascolto di grandi nomi del passato oggi non suscita entusiasmo in tanti ascoltatori sprovveduti perché non capiscono ciò che c'è da sentire, che non è il "rumore", il "timbro" il "corpo", che non è affatto il "propellente" di una voce in un ambiente, ma è solo un difetto, anche piuttosto grave, che viene spacciato per pregio (una specie di circo dove si va a vedere il fenomeno, che è un poveraccio con qualche grave malformazione!). Il m° Antonietti diceva: "non confondiamo l'ottone con l'oro!" ecco, io di oro non ne sento quasi più, ma di ottone tanto (e forse il paragone è ancora sbilanciato, l'ottone è troppo nobile!). Come si può pensare che il canto sia vomitare suono? per quanto piacevole e seducente, sempre suono è, ma l'uomo ha non solo una marcia, ma una catena di marce in più rispetto al misero suono di qualsivoglia strumento - il suo stesso - e mi riferisco alla parola, alla vocale pura, alle infinite possibilità articolatorie. Ma il mondo della parola, della frase, non va "imparato", lo conosciamo fin dalla fanciullezza, e il nostro cervello, il nostro DNA, è già predisposto a questa capacità. Però si ferma al parlato relazionale quotidiano, quindi di "basso profilo", e tutt'al più a un canto amatoriale limitato, solo raramente a un canto di una notevole portata ed estensione, che però non è e non può essere duraturo. Il perché è semplice da comprendere (salvo coloro che non vogliono comprenderlo perché devono difendere cocciutamente le loro idee senza criteri e fondamenti): il canto "artistico" richiede un fiato che non è "naturale" nell'uomo, non è richiesto dalla vita di relazione e di sopravvivenza della specie, ed essendo impegnativo e tentando una commutazione del fiato fisiologico, viene osteggiato. Questa è la spiegazione del motivo per cui non si può cantare "naturalmente"; è richiesto studio, impegno, e se si seguono criteri che non affrontino QUESTA logica, si può conseguire qualche risultato di un certo tipo esteriore, ma non certo di elevata qualità, per non parlare di magistero, di esemplarità.
Ogni qualvolta ascolto voci, dunque, tolte pochissime, mi rendo conto che sono "zavorrate", c'è suono, sì, ma impuro, ricco sì ma non dei veri armonici cristallini e argentei, ma rumori metallici, che impediscono alla voce di volare, di espandersi e correre occupando intere sale e facendosi ascoltare con piacere, con gioia, con coinvolgimento sentimentale, emotivo vero e profondo. La prima cosa che fa la maggior parte degli insegnanti di canto è proprio insegnare a "gonfiare" la voce, a creare artificiosi meccanismi per dare un'apparenza di suono importante, muscolare, potente e impressionante. Questo però non ha niente a che vedere con qualsivoglia spirito artistico. Il suono impuro che si vuole imporre come canto, è un falso, è una presa in giro! Il cantante deve essere in primo luogo un attore, un portatore di verità tramite la parola, che nel caso dell'opera (o dell'oratorio o altre forme di musica vocale) non flette la parola secondo una logica verista imitativa del quotidiano, ma la declina mediante un fraseggio melodico che un musicista ha elaborato artisticamente. Ma la seconda operazione non può e non deve mai assolutamente annullare la prima! La parola deve arrivare scolpita e sincera per poter arrivare a chi ascolta con la stessa determinazione e comprensibilità interiore. Le parole non sono solo vocaboli accostati, sono una UNITA' articolata nel tempo; purtroppo la gente conosce le arie o intere opere spesso senza avere contezza del significato di intere frasi (in questo senso è colpa anche di libretti arzigogolati e retorici). Ma se il cantante è padrone del contesto dell'opera e/o dell'aria che canta, saprà far arrivare tutto lo specifico carattere e gli affetti in esso contenuto. Dunque TOGLIERE, decostruire, assottigliare, SEMPLIFICARE, rimpicciolire; vivere il bello, il vero, il semplice, "stupido" senso di ogni parola, frase, aria...
Una volta una componente del coro della chiesa mi ha chiesto se le parole che stavo cantando da solista erano quelle scritte o le stavo improvvisando (erano quelle scritte), me l'ha chiesto perchè la sua sensazione era che le parole che stavo cantando suonavano come se fossero mie...penso che complimento migliore non si possa ricevere, molto più che se ti venisse detto "hai cantato bene" o peggio ancora "bella voce"
RispondiEliminaBravissimo, giusto! Al grande m° direttore Sergiu Celibidache un'intervistatrice chiese qual era stato il più bel complimento ricevuto e lui rispose: "dopo un concerto una signorina mi si avvicinò e con una certa esitazione mi disse: è proprio così! Non, bravo maestro, che meraviglia, ecc., ma "sì, è proprio così".
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