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sabato, agosto 19, 2017

Ascoltar voci

Da sempre andare ad ascoltar l'opera significa più o meno indirettamente giudicare i cantanti. E fin qui ci può stare; in ogni attività di spettacolo chi è al centro dell'attenzione viene in qualche modo giudicato, o valutato. Da una cinquantina d'anni ormai, però, il giudizio non è più generico ma circostanziato sulla vocalità, al punto che gli aspetti che più dovrebbero emergere, cioè l'adesione musicale e teatrale ai personaggi, alle scene, al contesto drammaturgico, spesso sono totalmente ignorati. Giorni fa mi è stato mandato un filmato di un "sì vendetta" del Rigoletto per avere un parere sul soprano. A parte che era dal vivo in un teatro all'aperto, ripreso piuttosto da lontano, quindi l'audio non era buono, ciò che mi ha colpito di quel filmato è stata la prova censurabile del baritono (notissimo, ma non faccio nomi), non solo del tutto fuori rispetto a quanto scritto nello spartito, ma che non si potrebbe definire che caciarone e rozzo. Ebbene, sotto il filmato una sequela di commenti uno più esaltato dell'altro. Mi guardo bene dallo scrivere in quel luogo; darei solo adito a ulteriori e inutilissime polemiche. Ma ancora una volta devo constatare che il mondo dell'opera è ancora avvolto in un manto di profonda ignoranza e superficialità. O per meglio dire: rispetto a cinquant'anni fa il mondo operistico si è spaccato in più parti; un forte movimento di "renaissance" del teatro rossiniano, bellin-donizettiano ma anche più antico, ha influito indubbiamente sul gusto generale per cui anche l'esecuzione di opere di epoca successiva se n'è avvantaggiata, ma ho il fondato timore che sia solo apparenza, anche talvolta mal sopportata, da un lato, e intransigente bacchettonismo dall'altro. Cioè c'è un pubblico che ama lo sfrenato verismo; che il cantante urli, imprechi, ridacchi, faccia smorfie e inventi note va più che bene e non accetta di buon grado la critica che quel modo di cantare stia andando contro la musica e il buon gusto. Dall'altro ci sono quelli che cassano quasi ogni voce per tutta una serie di difetti che riscontrano... salvo il vero! Ormai non c'è più appassionato d'opera che non commenti un'esecuzione canora dicendo: "eh, ma il passaggio..." "eh, ma è indietro", "gutturale", "in maschera (o no)" e via dicendo. In buona sostanza manca, come accade spesso, equilibrio, buon senso. E sopra a tutto manca l'educazione uditiva. In questi giorni è stato scritto su un social che Pavarotti era ingolato. Su questo magari tornerò in un prossimo post, però siamo su quel punto, non si può "sparare" in questo modo senza un po' di cautela, perché se no Domingo cos'era? Kaufmann com'è? e tanti tanti altri. Secondo me non è buona comunicazione, non è buona informazione. Piuttosto si cerchi di mettere un freno a questa dilagante mania di voler dare giudizi tecnico vocali, e non solo dagli appassionati ma anche dagli "addetti ai lavori". Laddove si fa recensione, critica giornalistica, si usino gli argomenti e i linguaggi propri del giornalismo e dell'opinione pubblica, cioè dati che possono arrivare a tutti e si faccia informazione corretta, cioè si dica: "in quel punto il cantante ha omesso di seguire le indicazioni dell'autore e anzi le ha stravolte in nome di una "interpretazione" volta al facile applauso ma carente e molto discutibile sul piano musicale, del buon gusto e della verità teatrale". Se un determinato acuto è venuto bene, nel senso che era "bello", sonoro, piacevole e intonato, cosa interessa se secondo il critico era indietro o non ben "passato", non ben in maschera, e via dicendo? Questo, se è vero, sarà un problema del cantante che si troverà poi in difficoltà, ma non sono cose da scrivere su giornali, riviste o anche in articoli on line di natura generale; tutt'al più quegli approfondimenti potranno riguardare luoghi deputati alla comunicazione didattica sul canto (tipo i blog).
Un allievo che ascolta voci, volendo anche trarre partito dall'insegnamento che riceve, cosa fa e cosa dovrebbe fare? In genere "cerca", cioè ascolta voci cercando di sentire tutto ciò che non va. Direi che non è una buona prassi. Come dico insegnando, "non cercare", "chi cerca non trova". Intanto il modo migliore per occupare il tempo con gli ascolti dovrebbe consistere nel sentire GRANDI voci (cioè buone), quindi soprattutto quelle del passato, facendosi consigliare dal maestro (eventualmente facendo confronti con altre). L'orecchio si affina col tempo man mano che progredisce la propria vocalità, quindi non si abbia fretta di sentire tutto, come non si deve aver fretta di emettere correttamente.

domenica, agosto 13, 2017

Tempo e facilità

Il problema che si incontra fatalmente dopo un po' di tempo che si studia canto è chiedersi questo cammino quanto è lungo (non sarà uguale per tutti) e quanto facile o difficile. La questione riguarda i NOSTRI tempi. I due vettori rappresentanti tempo e facilità oggi procedono in direzioni opposte e inversamente proporzionali! Si vogliono risultati rapidi, in poco tempo e che non impegnino troppo, soprattutto la mente. Dire che lo studio del canto investe la filosofia, o meglio la gnoseologia, la Conoscenza, non solo stupisce molti, ma li allontana. Da ormai molto tempo non solo lo studio ma il canto tout cour è diventato un allenamento meccanico quasi di tipo sportivo. Le Arti, lo sappiamo, si sono coltivate, nei periodi d'oro, a "bottega", cioè frequentando giornalmente il maestro, guardando lui, guardando gli allievi più avanzati, iniziando a fare cose minime poi sempre un pochino più complesse, avanzando fin quando la sete di imparare si esaurisce, nei tempi dettati dalla qualità dei risultati, che saranno naturalmente diversi a seconda delle caratteristiche dell'allievo, il quale ha sempre fretta di fare cose importanti, "difficili", di misurarsi con impegni grandi. Qui sta l'intelligenza sua e del maestro, che deve sapere quando liberarlo dal lavoro di bottega, quando lasciarlo andare, non necessariamente perché è bravo, ma semplicemente perché quello è il suo limite, quindi inutile che prosegua. Il tempo per apprendere davvero un'arte come il canto artistico, ammesso che ci si trovi con un soggetto che abbia le caratteristiche per poterla apprendere in pieno, sarà comunque sempre lungo e il cammino sempre impegnativo, che non vuol dire né difficile né complicato, anzi proprio il contrario. La prima virtù dev'essere la pazienza estrema. Avere cura di dire con somma grazia ogni sillaba, ogni parola, ogni vocale in ogni gradazione dinamica, dal sospirato senza suono alla voce piena. Io rimasi più che meravigliato quando sentii il mio maestro che faceva dire parole e frasi in assenza di voce, solo col fiato, e correggeva, spesso imputando che spingevano! Lì per lì mi pareva folle che si potesse spingere non cantando veramente. Eppure dopo un po' cominciai a sentire e capire, soprattutto capii che se non si è grado di dominare il fiato puro lo si sarà ancor meno nel momento in cui si metterà anche solo un pochino di voce. Ma il lungo tempo non è solo questo. Imparare un'arte significa trasformare il proprio fisico, così come la Conoscenza ci ha trasformato nei millenni. Soprattutto trasformare il proprio fiato o meglio la propria respirazione. Non esiste una procedura meccanica che possa mettere il fiato in condizioni di sostenere il canto artistico, esiste solo una disciplina e una esigenza personale che PUO' far sì che un soggetto, in un tempo lungo, elabori e acquisisca QUELLA condizione respiratoria, che non è mai naturale, cioè non può esistere nelle condizioni normali di vita, in quanto non necessaria alla sopravvivenza e alla vita di relazione dell'uomo di questo tempo, quindi da sviluppare come evoluzione personale, il che significa trasformarsi in un uomo "plus", cioè una persona apparentemente uguale a tutte le altre ma che in realtà ha un senso in più, cioè una respirazione (e di conseguenza una voce) artistica, condizione questa che resta nel soggetto per sempre, senza bisogno di allenamenti quotidiani. Da qui si può capire: quanto tempo ci vuole per un'evoluzione? In teoria diverse generazioni, ma l'esigenza personale e le condizioni di studio possono ridurre questo tempo a pochi anni, ma non ci si illuda. Occorre sempre un alto grado di umiltà che ci faccia comprendere realmente quando si è fuori e quando dentro la verità.