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martedì, ottobre 17, 2017

I tre amigos

Vediamo i livelli di priorità del fiato:
1) respirazione - scambio gassoso
2) posturale-meccanico
3) verbale
Il primo livello è ovviamente vitale, non è possibile il suo venir meno se non per un tempo brevissimo, dopodiché si verificano danni gravi e pochissimo dopo la morte.
Un problema al secondo livello non porta alla morte, ma a una situazione molto grave; è un fatto raro, che può essere causato da gravi patologie, per cui deve essere asportata in toto o in buona parte la laringe, per cui i polmoni perdono la loro "valvola", non è più possibile l'apnea e quindi anche ogni sforzo e pressione interna o equilibri posturali non trovano la valvola e il "tappo" su cui appoggiarsi.
Problemi a livello verbale sono molto meno gravi da un punto di vista fisico, e si ripercuotono solo sul piano relazionale e sociale, per quanto oggigiorno abbastanza superabili.
Nel primo livello il fiato scorre, fluisce da dentro a fuori e viceversa con una certa regolarità e in base all'attività fisica che si sta svolgendo; non c'è alcun tipo di relazione con la laringe e l'apparato articolatorio a meno che non intervengano fattori disturbanti.
Il secondo livello riguarda il nostro stare diritti e tutto ciò che riguarda la postura del corpo ed eventuali attività che comportino sforzi di una certa rilevanza per cui il fiato deve andare in soccorso alla muscolatura. In questi casi l'apnea, cioè la chiusura totale o parziale della glottide è indispensabile. In questo secondo caso il fiato è contenuto nei polmoni e la relazione con la laringe e gli spazi sopraglottici potremmo definirla oppositiva.
Durante la verbalizzazione comune, quindi nel terzo livello, avviene invece che fiato laringe e articolazione entrino magicamente in sintonia tra loro, relazionandosi perfettamente (perlomeno nella stragrande maggioranza dei soggetti). In questo caso, dunque, il fiato diventa, seppur con un certo disordine, alimentazione strumentale, non perdendosi ovviamente la priorità del primo livello, a meno che il ritmo respiratorio debba aumentare considerevolmente come durante una corsa o una salita irta. La voce perde il suo ruolo quando subentra la priorità due, cioè quando il corpo perde in modo rilevante il suo "aplomb", o quando si devono sostenere degli sforzi di un certo carico. In questo caso la laringe viene richiamata al suo ruolo valvolare e perde quindi quello verbale e musicale. Qui c'è anche un'altra implicazione: quando emettiamo suoni che il nostro istinto non riconosce sul piano verbale e che richiedono un certo sforzo, essi sono interpretati come un richiamo meccanico-posturale apneico, quindi se il canto è scorretto e comporta sforzo, non solo risulterà difficile in sé, ma provocherà ulteriori problemi.
Tutta questa disamina a che conclusioni ci porta? che noi abbiamo la necessità, per poter educare la voce, di rimanere il più possibile nei livelli 1 e 3, evitando accuratamente il 2, perché è il più distante dai nostri obiettivi. Non solo dobbiamo cercare di assumere una postura diritta, pur nel rilassamento, e un bel portamento, evitando di stare appoggiati su una sola gamba, di piegarsi in avanti (specie le donne, che hanno già uno sbilanciamento naturale) ma dobbiamo assolutamente cercare di evitare di fare con la voce ogni tipo di azione che possa mettere l'istinto in condizione di interpretarlo come un richiamo posturale-apneico-meccanico. Ci soccorre in questo il livello uno, cioè puntare alla fluidità, al consumo costante e, almeno apparentemente, notevole di aria. Questo ci aiuterà a tenere il "tubo" vuoto e ampio. Attacchi duri del suono, accenti forti improvvisi, colpi, movimenti incontrollati di spalle, braccia, petto, avranno facilmente come conseguenza movimenti altrettanto inconsulti della laringe e probabili chiusure o comunque impossibilità di mantenere legato e scorrevolezza.
C'è da ribadire che il passaggio dal verbale "normale" a un verbale più ricercato ed espressivo già può causare qualche problema, perché il voler tenere più unite le sillabe, il dare rilevanza ai caratteri, ai registri (sempre in senso espressivo), alle dinamiche, ecc., comporterà maggior consumo di energia, il che non piace al nostro istinto, che è molto economo. Quando parliamo normalmente, si può dire che lo facciamo a "spruzzo", cioè tendiamo a separare molto le sillabe, anche se ce ne accorgiamo poco o niente, sia producendo che ascoltando. Questo sistema permette all'aria di uscire poco alla volta senza permanere troppo nei polmoni, che all'istinto non va, non creandosi quindi pressioni interne particolarmente rilevanti. Appena iniziamo a parlare "bene", le sillabe e poi le parole tenderanno a unirsi creando arcate espressive (parlato "musicale") e questo farà sì che le corde vocali restino addotte per un tempo maggiore, quindi il fiato uscirà più costantemente ma anche più lentamente, mettendo in allarme l'istinto che non gradisce che l'anidride carbonica permanga troppo nel corpo. Figuriamoci cosa succede nel canto, quando le corde sono (o dovrebbero restare) addotte per lungo tempo e la pressione aerea può aumentare per far vibrare le corde con massa maggiore, se si richiede più intensità, o con maggior tensione (suoni acuti) o entrambe le cose!
Quindi anche solo la strada del buon senso ci guida a dare la priorità alla respirazione NORMALE, evitando di prendere fiati profondi ed eccessivi, e alla PAROLA, che dovrà porsi, ovviamente, su un piano di elevazione espressiva e artistica, quindi musicale, con una gradualità che porti questo piano che possiamo definire naturale in quanto spontaneo ma carente e "rozzo", a un piano nobile e di elevata comunicativa.
La cosa molto difficile, quindi è far sì che quella relazione tra gli apparati resti sempre attiva, come se fosse il livello uno, cioè un consumo costante e "a canna aperta", e come il livello tre, cioè di naturale verbalizzazione. Se non partiamo però educativamente da questo, è assurdo pensare di ottenerlo successivamente!
Il canto tecnicizzato, comunque lo si voglia intendere, manterrà sempre o in buona parte separati gli apparati, che lavoreranno come se fossero tre sconosciuti, senza affiatamento, senza collaborazione, senza comprendersi e integrarsi vicendevolmente. Viceversa è l'unione che fa la forza, e qui possiamo dire che l'unione produce addirittura esponenzialmente i suoi frutti, ma è del tutto presuntuoso e assurdo pensare che si possa ottenere con delle tecniche; il bandolo della matassa è già lì, il parlato, dobbiamo solo raccoglierlo e iniziare a dipanare la matassa.

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