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sabato, febbraio 03, 2018

Un altro mestiere

Ciò di cui parlerò in questo post l'ho già scritto in passato, magari in una forma un po' diversa, comunque reputo importante ribadire alcuni concetti, soprattutto per coloro che ormai in più di 800 post si perdono e quindi rischiano di non trovare quelli fondamentali.
Parliamo di respirazione. Da un lato ci sono coloro che fanno della respirazione un culto, e dedicano molto tempo a fare esercizi con il fiato, imparando tecniche molto complesse. Dall'altro ci sono i fautori della respirazione "naturale". Ahimè, io non sto da nessuna delle due parti. Le tecniche respiratorie, specie se mutuate da altre attività, possono avere dei risvolti positivi, ma molte altre volte possono anche portare conseguenze negative. La domanda da porsi è: che "mestiere" fa il fiato durante un'attività? Quindi, mentre sto seduto a scrivere, come si comporta il fiato? Mentre cammino tranquillamente, passeggio? Quando faccio joggin? Quando salgo una scala di 5 piani? Quando parlo al cellulare e intanto cammino frettolosamente perché sono in ritardo? Quando canto dopo aver fatto le scale? quando canto piano, quando canto forte, quando canto nella prima ottava? nella seconda? piano nella prima, forte nella seconda? forte nella prima, piano nella seconda? Non è che adesso bisogna rispondere a tutte queste domande; si tratta di una provocazione, per dire che il fiato non fa sempre lo stesso "mestiere". Principalmente sappiamo che il compito del fiato è ossigenare il sangue e quindi smaltire l'anidride carbonica. Questa è la priorità assoluta che non può essere modificata; se un'altra attività rende instabile questa, il corpo reagisce. Già il solo fatto che un atto vocale dura diverse volte un atto respiratorio, già mette in allarme il nostro istinto. Però, come ho scritto in un post precedente, l'istinto non è del tutto ottuso, ha una piccola intelligenza ed elaborazione. Se io compio un esercizio vocale molte volte, subentra una tolleranza, cioè l'istinto si adatta, perché si accorge che non c'è un'intenzione negativa, ma c'è un'esigenza. Anche un sub trattiene a lungo il fiato, e questo si conquista con l'abitudine. Certo non devono intervenire fattori destabilizzanti, altrimenti si ricrea allarme e si rientra nella necessità respiratoria comune. Al secondo posto c'è la postura, ovvero l'ausilio che il fiato dà alla muscolatura del busto. Se devo compiere uno sforzo, se mi piego in avanti, se mi devo rialzare, ecc., il fiato è impegnato ad assistere la muscolatura in questa attività. Questo ci interessa molto, perché entrano fortemente in gioco il diaframma e la laringe. La laringe tende a chiudere il condotto (apnea) affinché all'interno dei polmoni si crei una pressione che aiuti il busto a sostenere le forze o eventualmente a riprendere la posizione eretta. Il diaframma, dalla parte opposta, sotto, tende a sollevarsi per contribuire a sua volta a creare la pressione necessaria. Questa è una condizione che NON deve ricrearsi nel canto, assolutamente antivocale. Siccome l'istinto non concepisce il canto, che appartiene alla nostra sfera creativa, spirituale, tenderà sempre a confondere il canto con uno sforzo, a meno che noi, con una disciplina straordinaria, persino difficile da concepire, riusciamo a inglobare questa nostra esigenza tra le "eccezioni" dell'istinto. Cioè possiamo insegnare all'istinto a non reagire in presenza del canto, in quanto non nocivo. In sostanza noi abbiamo due possibilità, la prima riguarda il 99% dei cantanti di oggi: far abituare l'istinto a una respirazione vocale grazie alla sua tolleranza. Il risultato sarà molto legato alla soggettività: più il cantante è "violento", grossolano, gonfiante la voce, ecc., più la tolleranza sarà bassa e quindi sarà costretto a cantare sempre con l'uso di molta forza muscolare, e non potrà uscire da un canto stentoreo, sempre forte, accentato. La durata è molto legata alle condizioni fisiche, alla robustezza, alla resistenza. Quando il cantante sarà più ricercato nelle sonorità, cercherà dinamiche varie, canto legato o di agilità, potrà contare su una tolleranza maggiore e facilmente anche su una durata maggiore. Poi c'è l'1% (che già mi pare troppo).
Noi, che ci riconosciamo in quell'1%, che "mestiere" vorremmo far fare alla respirazione? L'analogia più prossima è quella dell'archetto di un violino (o viola, violoncello o contrabbasso). Esso si muove con una certa fluidità e pressione per imprimere alle corde una determinata vibrazione e sonorità. Quindi è in rapporto con il tipo di corda (più sottile o più spessa), con l'altezza (corda più corta o più lunga), con la sonorità (minore o maggiore pressione). Detto questo, non vi aspettate che dica che bisogna imparare a muovere il fiato come il violinista muove l'arco. Mentre quella è una tecnica artificiale, che si impara con lo studio meccanico, nel fiato non c'è bisogno di questo, anzi, sarebbe (è) controproducente, perché il fiato in parte sa già, in parte impara da solo in base alla disciplina che si affronta, e l'eventuale intervento meccanico volontario non farà che ostacolare il progresso (o processo evolutivo). Si dirà: ma se il canto non è compreso nell'istinto, e il fiato è mosso dall'istinto, come è possibile che sappia cosa fare, e se lo sa, perché bisogna studiare? L'uomo ha una particolarità, rispetto alle altre forme animali, ha il dono della parola, la quale è compresa dall'istinto. Per un breve tratto, e solo per limitate condizioni espressive, l'istinto non reagisce alla parola, al parlato, quindi il fiato è in relazione a questa nostra capacità (ovvero sono in relazione fiato-laringe-forme articolatorie-amplificanti). Quando usciamo da quel tratto, il fiato non concepisce più le relazioni, perché escono dalle esigenze vitali e di relazione. La disciplina, quindi, ha lo scopo di ampliare la respirazione idonea al parlato a tutto il resto della gamma. Non basta. Come ho detto, oltre al breve tratto, ci sono anche limitate condizioni espressive, cioè quando si aumentano l'intensità, il volume, quando si intende omogeneizzare la qualità sonora e utilizzare tutte le possibilità musicali-espressive (legato, staccato, accelerando ritardando, diminuendo e crescendo, ecc.), ci troviamo di fronte a una richiesta che supera le possibilità della fisiologia animale comune, e si deve passare a una vera evoluzione respiratoria che ci porta a innescare quella possibile potenzialità che indichiamo come artistica. Quindi, riassumendo: la nostra mente possiede gli elementi per poter gestire in modo esemplare la respirazione legata alla parola e al canto, perché appartengono alle doti evolutive dell'uomo, ma sono nelle potenzialità, quindi partendo dal tratto in cui la voce già risponde convenientemente (parlato comune), noi possiamo progressivamente elevare questa gamma a una condizione superiore migliorando espressivamente il parlato stesso (che stimolerà la formazione di una respirazione adeguata), quindi ampliando sempre più la gamma fino a tutta l'estensione di ogni soggetto, e applicandola a tutte le necessità musicali. Il nostro istinto reagisce, anche con violenza, quando si tenta di commutare una caratteristica fisica, ovvero quando, nel nostro caso, si tenta di far fare al fiato un mestiere diverso, ma possiamo superare questo limite quando noi lo educhiamo a un "altro" mestiere, cioè senza commutare la sua essenza, per periodi di tempo limitati, possiamo alzare la sua energia alla massima potenza possibile, insita nel fiato stesso, cioè indipendentemente, o quasi, dalle forze fisiche e muscolari. Si tratta di "rendimento" ed "efficienza", ovvero la più elevata prestazione con la minima dispersione di energie. Provare per credere!

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