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lunedì, aprile 30, 2018

Spingi e Premi

Uno dei difetti che rilevo in quasi tutti (il quasi è di circostanza) coloro che studiano o vogliono studiare canto o cantano proprio, è il fatto di premere e spingere, vuoi in avanti, vuoi da sotto. Credo, così giusto per fare un po' di riflessione, che ancora una volta il problema risieda nelle scuole di canto soprattutto degli ultimi 100 anni (progressivamente in crescendo venendo verso il presente), anche se è probabile che almeno in parte la questione risalga anche a qualche ulteriore decennio indietro. Cioè da quando l'insegnamento del canto è partito dal vocalizzo, invece che dal parlato. Il parlato pone l'allievo in una condizione di maggiore naturalezza, rilassatezza e necessità di non creare condizioni particolari e "artificiali" di emissione della voce. Il vocalizzo, viceversa, pone subito dei problemi e quindi anche la necessità di superarli. Questo si rivela macroscopicamente quando si passa dai vocalizzi al canto, quando il fatto di dover articolare e in modo "disordinato", rispetto alla regolarità di scale e arpeggi degli esercizi, e alla uniformità di una sola vocale, crea grossi problemi, che solitamente vengono superati ricorrendo a tecniche e artifici, che di solito si concretizzano in "non" pronunciare, ovvero "uniformare" rispetto a una sola vocale (che poi significa macellare la pronuncia) e tenendo il suono indietro, che abbassa le esigenze di proiezione. Come credo sia noto, fino a un certo periodo lo studio del canto iniziava con il solfeggio, che è di fatto un parlato, ma non buttato lì a caso ma meticolosamente sorvegliato e corretto dall'insegnante, prima parlato quindi intonato. Il passaggio al vocalizzo avveniva, come deve avvenire, non modificando le vocali rispetto a quanto accade nel parlato. I maestri facevano, di conseguenza, studiare i brani prima facendoli recitare, poi intonare anche su una sola nota, indi su più note ma eventualmente su una tessitura consona al grado di sviluppo dell'allievo, mantenendo rigorosamente la stessa comprensibilità del testo che si ha in un ottimo parlato. La pressione che l'allievo è indotto a esercitare, come la spinta soprattutto in avanti, che distruggono la pronuncia e rendono impuro, "rumoroso" e persino fastidioso il canto, sono questioni che attengono soprattutto al narcisismo insito in ognuno di noi. La fretta, ulteriore problema, di farsi sentire, di fare il cantante lirico con un vocione, con gli acuti, che nei sogni di ciascuno paralizza e manda in visibilio il pubblico, induce a cercare di "buttar fuori" più voce possibile, pensando che la spinta sia la soluzione. Purtroppo non è così, anzi è quasi il contrario. E' come pensare che il modo più rapido per srotolare la cintura di sicurezza sia tirare forte. Come è noto, la cintura si blocca e ostinatamente si rifiuta, mentre con leggerezza e regolarità, essa si lascia svolgere senza presentare resistenze. La pressione crea un blocco, la spinta crea un ingorgo, e in ogni modo si creano reazioni che impediscono quella scorrevolezza, quella libertà e quella ampiezza di risultati che dovrebbe essere la méta suprema di qualunque cantante che usi la testa, prima della pancia, nell'affrontare questo studio. Questo però è impedito in primis proprio dagli insegnanti, che riempiono la testa di idee balzane e prive di fondamenti, senza mai (poter) spiegare il perché di certe scelte. Dunque, il vero primo obiettivo di ogni persona che ambisca a cantare artisticamente, dovrebbe essere quello di eliminare spinte e pressioni, il che suscita molti problemi a quella parte di noi che vorrebbe subito risultati stupefacenti, e quindi senso di frustrazione. Lo studio del canto va paragonato a chi voglia studiare una qualunque arte. Per imparare a gestire una matita, ai deve iniziare con fare aste. Fino a una certa epoca, a scuola si iniziava così, e guarda caso una volta le persone avevano una calligrafia molto ordinata, ben comprensibile, e in molti casi bellissima, ricercata, piacevolissima. Ma la questione è che in ogni caso la media era molto elevata. Scrivere bene evitava anche tanti errori di ortografia, perché dovendo curare la scrittura, c'era anche il tempo di verificare cosa si scriveva (la questione tempo prima o poi la affronterò anche su questo blog). Oggi le persone più giovani (ma neanche poi tanto) scrivono malissimo, spesso non si capisce niente, e con parole zeppe di errori. Uno dei sistemi che si sono escogitati per ridurre gli errori, è farli scrivere col computer (ma c'era già un analogo progetto 40 anni fa, utilizzando la macchina da scrivere), perché il dover individuare i tasti giusti per scrivere, fa sì che ci sia un tempo per pensare e scegliere meglio. Comunque si veda che il problema di fondo è sempre la fretta. "Imparare a suonare in 10 lezioni"; "impara a parlare una lingua straniera in 3 mesi"; e così via. Uno dei problemi della scuola è proprio il suo ritmo ancorato alle metodologie classiche, per cui in tre anni non si parla una lingua, non si suona (compiutamente) uno strumento, ecc. Cioè, per dirla in una parola, non ci si ACCONTENTA. Ma dire che non ci si accontenta, non significa che bisogna puntare basso, al modesto risultato, ma proprio al contrario, cioè non bisogna avere fretta, si deve partire dal piccolo, dall'estremamente semplice, elementare, cioè dal "mattoncino", che insieme a tantissimi mattoncini svilupperà la cattedrale, il castello, il ponte, ecc. Voler "gonfiare" il mattoncino per avere l'illusione che sia una casa, senza rendersi conto che dentro non c'è niente, solo aria (spesso fritta), senza alcun significato, è solo alimentare il proprio narcisismo, e andare incontro a fallimenti e reali e pericolose frustrazioni, o vivere per sempre nell'illusione e/o nella menzogna anche con sé stessi.

domenica, aprile 22, 2018

Antiche voci "spoggiate"

Sentendo oggi le registrazioni di voci dei cantanti attivi o in via di pensionamento all'inizio del 900, ci appaiono per lo più "vuote", prive di appoggio (direbbero o dicono oggi molti cantanti e insegnanti). E' veramente così? Naturalmente no; basta fare un po' di ricerca sui periodici musicali dell'800 e primo 900 (oggi possibile via internet senza andare a impolverarsi in biblioteche e archivi storici) per constatare che quelle voci erano considerate potenti, sonore, ricche, estese, ecc, e negli stessi teatri ancor oggi esistenti, quindi non "teatrini", e con orchestre certo non esigue. Dunque? Due aspetti: le registrazioni e le nostre orecchie. Le registrazioni, ieri come oggi, nonostante il presunto sviluppo tecnologico, possono cogliere diversi aspetti di una voce, ma non la capacità di espandersi, diffondersi, "correre". Sarebbe, almeno in parte, possibile mettendo dei microfoni a metà o in fondo a una sala così da cogliere in raffronto, quanto le voci riescono a essere presenti a una certa distanza. Questo però renderebbe le registrazioni molto poco appetibili dal mercato, che vuole la cosiddetta alta fedeltà, ma che realmente è un gigantesco inganno che da quando esiste non fa che corrompere e inaridire la capacità di ascolto, quindi inibire le capacità di cogliere la musica stessa. Se il disco ha questo grave limite, dall'altro ha la capacità di cogliere assai bene i rumori. Nel mondo del digitale, ormai da tempo si cerca di creare strumenti digitali, cioè strumenti dove non si crea un suono acustico dato da una percussione, uno strofinio, una vibrazione d'aria, d'ancia, ecc., ma le registrazioni digitali di questi suoni che vengono associati a tasti di uno strumento apparentemente classico (piano, organo, chitarra, ecc.). Al di là del fatto che questa è una missione impossibile, perché la quantità di informazioni contenute in un brano musicale eseguito almeno decentemente è talmente elevata da richiedere quantità di memoria ed elaborazione al di là di ogni immaginazione. Certo oggi a livello dilettantistico è conveniente far uso di questi strumenti, che costano poco, hanno poca manutenzione e si trasportano più facilmente, ma questo è un ulteriore aspetto che determina involuzione uditiva, infatti molte persone non sanno riconoscere uno strumento digitale da uno acustico... tutto detto. Comunque, dicevo, gli strumenti a percussione (tamburi, piatti, xilofoni, ecc.) sono quelli più idonei alla registrazione, e che rendono anche su apparecchiature modeste. Viceversa violini, flauti, oboi, trombe... risultano sempre molto "elettrici", facilmente riconoscibili nella artificiosità del digitale. La voce... dipende! Una voce ingolata o comunque molto impura, rende molto in registrazione (la campionatura è del tutto fuori portata), cioè la parte "rumoristica" della voce si imprime facilmente e rende la voce apparentemente più ricca, molto sonora. Se ne accorsero già i primi pionieri, come lo stesso Caruso, che in disco faceva la figura di un "tenorone" con un vocione enorme, mentre era un mezzo carattere, e non per nulla uno dei suoi emuli, Mario Lanza, che girò anche un film sul grande tenore napoletano, ebbe (e ha ancora) notevole successo nonostante in teatro abbia cantato poco o niente, in quanto voce poco teatrale. Si potrebbero fare molti nomi, anche recenti, di cantanti molto fonogenici ma di scarsa attitudine teatrale. La questione è che quello che molti definiscono appoggio in realtà è rumore, sono impurità prodotte da movimenti muscolari impropri. La voce ideale non ha "rumori", è pura, anche se ricchissima di armonici e risonanze (anch'esse pochissimo colte dalle registrazioni), ed è proprio in virtù di ciò se la voce si espande e risuona in un ambiente con grande sonorità anche a notevole distanza. Cioè proprio le caratteristiche indispensabili in passato, quando non vi era alcun mezzo di amplificazione che non fosse l'acustica stessa. Quindi non si cerchino in una voce le vibrazioni inopportune e che rendono la pronuncia incomprensibile e i colori del tutto casuali, ma le vere e "sane" caratteristiche di un'autentica voce belcantistica: pronuncia, purezza, varietà, musicalità.

mercoledì, aprile 18, 2018

Del diamante

Il diamante è una pietra durissima ma purissima, carbonio puro, generata da un concorso di forze, pressioni straordinarie, quindi uno dei massimi risultati della fisica, della materia. La forza, la pressione, fanno sì che ogni impurità, ogni traccia di umidità (ossigeno e idrogeno) spariscano, e resti il solo carbonio. La voce umana è il suo esatto opposto. Prendiamo in esame l'aria. L'aria può essere ferma, statica; può muoversi, la brezza, il vento, quindi acquista energia, qualità. Il vento muove cose, foglie, rami, oggetti e provoca rumori e suoni. Rumori e suoni sono condizioni particolari di movimento dell'aria. Il rumore è un movimento irregolare, quindi ha una qualità minore rispetto al suono, che è un movimento regolare, richiede strutture e materiali particolarmente sofisticati e pregiati. Ma questa condizione ancora non basta, quest'aria vibrante può piegarsi al punto di assumere un rilievo significativo, un valore condivisibile; è la parola. Ma la parola è ancora equiparabile al rumore, è una qualità già altissima, ma non il non plus ultra, che si può raggiungere quando la parola diventa vibrazione regolare, quindi suono, ma con quella curvatura non più anonima ma che si eleva a parola. L'uomo può emettere suoni di grande bellezza, ma certo non può competere in questo con alcuni strumenti meccanici di grande fattura, come flauti, violini, violoncelli, oboi, ecc. Ciò che rende inarrivabile la meraviglia musicale umana è il canto, cioè suono, sì, ma con la parola che giunge dal cuore, cioè vera, sincera, reale. La sua più alta possibilità è data dalla purezza, e la purezza vocale è data dalla totale assenza di impurità; ciò che produce il canto, cioè l'insieme di strutture anatomiche, muscoli, cartilagini, tessuti, muscoli, ecc., devono SPARIRE dalla percezione uditiva, ovvero diventare come TRASPARENTI. L'aria passa, muove, solleva, mette in vibrazione, colpisce, turbina, colpisce ancora... bene, ma tutto ciò alla fine è come se non avvenisse, resta solo il risultato di un verbo sonoro melodioso di inestimabile valore spirituale. Le parti anatomiche necessariamente coinvolte, non sono da considerarsi come i martelletti di un pianoforte, le corde o l'archetto di un violino, le ance di un clarinetto. No, questi ultimi sono pezzi di legno, di ferro, sono inanimati e morti; la perizia, l'intelligenza, la grande abilità umana riescono a dar loro un po' di vita per produrre musiche importanti, ma quando un uomo canta non lo fa con elementi morti, ma vivi più che mai, e che non semplicemente restano inerti e si lasciano utilizzare a fini sonori, ma PARTECIPANO (o meglio, possono partecipare) e si fanno parte integrante del processo musicale. Quando leggo articoli e libri o sento le spiegazioni di tanti insegnanti, leggo la povertà dei loro argomenti quando considerano laringi, lingue, diaframmi e fiato come oggetti meccanici, come se l'uomo fosse un robot o un manichino a cui sono applicati fili che si tendono e si rilasciano come in un organo, quando a un tasto corrisponde un intricato sistema di tiranti che liberano aria che va nelle canne, ... e si sente!! Non so quanti hanno mai ascoltato da vicino un organo di qualche centinaia di anni. Da un lato si odono suoni molto piacevoli, ma dall'altro anche un sottofondo di ingranaggi che si muovono con gran fragore (spesso si sente anche da lontano). Ebbene se aguzzate (ma neanche tanto) le orecchie, un analogo fragore si può sentire anche provenire da tanti cantanti che realmente non cantano, ma smuovono fragorosamente i loro meccanismi per produrre qualcosa spesso di indecifrabile, che qualunque strumento saprebbe far meglio. Dunque perché dovremmo dedicare anni di studi, di sacrifici, di angosce, di accesi dibattiti, se non per cercare di raggiungere qualcosa che solo l'uomo ha il potere di fare, cioè sublime musica, messaggi dal profondo a favore del profondo dei suoi simili. Occorre la purezza, e la purezza, per lo spirito, è l'assenza di forze e pressioni, ma è anche un apprendimento che riguarda il fiato, che è il Maestro, che impartisce a tutti gli organi, gli apparati e i condotti che attraversa e che dovranno docilmente cedere, collaborare e partecipare. Il fiato che fa vibrare le corde vocali, non è niente, succede a qualunque animale, il fiato che insegna alle corde vocali a produrre voce è un'estensione dell'evoluzione; poi ci sarà la lingua, il velo pendolo, le cavità oro-faringee, i denti, il palato, le labbra e così via. Tutto deve sapere cosa e come fare per condurre a quel risultato magico che la nostra Conoscenza possiede e ci comunica, o cerca di farlo, tramite intuizioni, tramite spunti e inspiegabili riuscite che la nostra coscienza può assimilare e portare ad affiorare. Cedere alle forze, che sono proprie dell'animale che è in noi, significa allontanarsi e tradire la nostra missione di poeti dell'universo.

giovedì, aprile 12, 2018

La capriola

L'esperienza mi insegna che nel canto tutti i movimenti musicali verso il basso rappresentano, piccoli o grandi, problemi più che altro di natura psicologica. Credo che in genere non siano problemi realmente naturali, spontanei, ma siano determinati soprattutto da studi o letture che abbiano inculcato paure, insicurezze e confusioni mentali. Trovo sempre più spesso allievi con evidenti problemi quando realizzano intervalli discendenti e quando scendono verso note basse. Bassi e baritoni che non emettono proprio i suoni che caratterizzerebbero la loro classe (e quindi spesso erronee classificazioni verso una classe superiore, quindi bassi che baritonaleggiano o baritoni che tenoreggiano), tenori sfocati e persino bloccati sulle prime note della loro estensione che, siamo d'accordo, appaiono non frequentemente nella letteratura operistica, ma non possono non esserci. Altro discorso vale per le donne; soprani che tentano con ogni genere di contorsione di scendere nelle note basse caparbiamente in falsetto, utilizzo sbracato del petto, specie nei mezzosoprani, ingolamenti e "impiccagioni" che fan male al cuore (oltre che alla gola). Le cause: 1) il tentativo di tenere i suoni "alti"; 2) la spinta; 3) la "capriola" ovvero il salto mortale all'indietro. Quest'ultimo, che fortunatamente non è frequente, l'ho anche visto rappresentato in un libro da un'insegnante che non cito. In pratica quando da una nota centro acuta si deve scendere verso il centro basso, si compie, a livello psicoogico, o di immagine mentale, un "ingoiamento", cioè si pensa di mandare il suono all'indietro e verso il basso. Purtroppo il risultato di una simile procedura è sempre nefasto, cioè la voce si afonizza, si strozza, si ingola. Le capriole è bene lasciarle agli atleti ginnici. Qui noi abbiamo bisogno di fluidità, scorrimento. Vediamo gli effetti degli altri difetti, di cui peraltro ci siamo già occupati in passato. La spinta è un male ormai molto radicato nel nostro tempo, perché si vuole a tutti costi buttare la voce per cantare in quanto si pensa che questo serve per essere sentiti. E invece è proprio il modo buono per frenare e creare resistenze e reazioni e farsi anche del male. La spinta è l'anti-sospiro, è un po' come non lasciare cadere un oggetto grazie alla forza di gravità, ma dargli un'accelerazione. Il fiato-suono esce grazie alla differenza pressoria che si instaura tra dentro e fuori di noi, oltre che per l'elasticità muscolare e polmonare. Le pressioni indotte volontariamente causano una forzata pressione del fiato-suono verso le pareti interne, irrigidendole, ma più gravemente, mettono le nostre "valvole naturali", laringe e lingua, nella condizione di stringersi. Quindi: maggior fatica, risultato inferiore alle aspettative da un punto di vista qualitativo, difetti e perdita di alcune caratteristiche tra cui le note basse. Man mano che si scende di tonalità, le vibrazioni diminuiscono, quindi lo spingere porta a problemi di intonazione (crescente) fino alla quasi impossibilità di emetterle per eccesso di pressione.
Sulla questione del "tenere i suoni alti" mi sono intrattenuto già diverse volte; è un "male" soprattutto delle metodologie della "maschera", che inducono gli allievi a "tirar su" i suoni o a spingerli verso le parti medio-alte della testa, soprattutto quando si scende o quando si canta nelle regioni gravi. E' una sciocchezza (ma tutta la questione della "maschera" così intesa lo è) e porta a vari difetti: la più frequente è l'erronea intonazione (tendenzialmente crescente), ma può anche causare perdita di sonorità, spoggio. Il modo corretto di emettere è, sempre con morbidezza, lasciar scorrere, non interrompere. Sentire, vivere con un certo piacere fisico del palato, della lingua, delle labbra, questo rivolo caldo ma fresco, puro ma frizzante, esiguo ma pieno e soprattutto destinato a correre e riempire lo spazio che ci circonda. Questo, senza che noi ce ne accorgiamo, incoscientemente, avviene quando parliamo tranquillamente e spesso anche quando cantiamo sovrappensiero. Si dirà: beh, ma in questo modo non si può cantare a teatro. Sì, se si sarà educato il fiato a propagare la voce. La differenza, alla fine, è "solo" questa. Ci va un tempo infinito per raggiungere questo risultato, ma non ci sarebbe altro. Ovvero, c'è di mezzo il mare.
Un consiglio, che spesso serve per evitare certi errori stereotipati: quando si scende verso il basso soprattutto quando ci sono suoni "stretti", come la "I" e la "é", è quello di non stringere la bocca, cioè sollevando la mandibola, ma facendo proprio l'opposto, cioè aprendo. Risulterà innaturale e difficilmente si riusciranno a pronunciare correttamente le vocali strette, ma non è molto importante all'inizio; ciò che importa è comprendere che in questo modo si permette un maggiore scorrimento del fiato-suono, senza schiacciare e si sarà anche indotti a spingere meno (perché spingere risulterà davvero assurdo!), Piano piano ci si accorgerà che anche con questa postura orale piuttosto strana, si potrà lo stesso pronunciare, ma a questo punto non sarà più necessario tenere aperto, ma si potrà tranquillamente pronunciare in modo corretto, naturale.