L'esperienza mi insegna che nel canto tutti i movimenti musicali verso il basso rappresentano, piccoli o grandi, problemi più che altro di natura psicologica. Credo che in genere non siano problemi realmente naturali, spontanei, ma siano determinati soprattutto da studi o letture che abbiano inculcato paure, insicurezze e confusioni mentali. Trovo sempre più spesso allievi con evidenti problemi quando realizzano intervalli discendenti e quando scendono verso note basse. Bassi e baritoni che non emettono proprio i suoni che caratterizzerebbero la loro classe (e quindi spesso erronee classificazioni verso una classe superiore, quindi bassi che baritonaleggiano o baritoni che tenoreggiano), tenori sfocati e persino bloccati sulle prime note della loro estensione che, siamo d'accordo, appaiono non frequentemente nella letteratura operistica, ma non possono non esserci. Altro discorso vale per le donne; soprani che tentano con ogni genere di contorsione di scendere nelle note basse caparbiamente in falsetto, utilizzo sbracato del petto, specie nei mezzosoprani, ingolamenti e "impiccagioni" che fan male al cuore (oltre che alla gola). Le cause: 1) il tentativo di tenere i suoni "alti"; 2) la spinta; 3) la "capriola" ovvero il salto mortale all'indietro. Quest'ultimo, che fortunatamente non è frequente, l'ho anche visto rappresentato in un libro da un'insegnante che non cito. In pratica quando da una nota centro acuta si deve scendere verso il centro basso, si compie, a livello psicoogico, o di immagine mentale, un "ingoiamento", cioè si pensa di mandare il suono all'indietro e verso il basso. Purtroppo il risultato di una simile procedura è sempre nefasto, cioè la voce si afonizza, si strozza, si ingola. Le capriole è bene lasciarle agli atleti ginnici. Qui noi abbiamo bisogno di fluidità, scorrimento. Vediamo gli effetti degli altri difetti, di cui peraltro ci siamo già occupati in passato. La spinta è un male ormai molto radicato nel nostro tempo, perché si vuole a tutti costi buttare la voce per cantare in quanto si pensa che questo serve per essere sentiti. E invece è proprio il modo buono per frenare e creare resistenze e reazioni e farsi anche del male. La spinta è l'anti-sospiro, è un po' come non lasciare cadere un oggetto grazie alla forza di gravità, ma dargli un'accelerazione. Il fiato-suono esce grazie alla differenza pressoria che si instaura tra dentro e fuori di noi, oltre che per l'elasticità muscolare e polmonare. Le pressioni indotte volontariamente causano una forzata pressione del fiato-suono verso le pareti interne, irrigidendole, ma più gravemente, mettono le nostre "valvole naturali", laringe e lingua, nella condizione di stringersi. Quindi: maggior fatica, risultato inferiore alle aspettative da un punto di vista qualitativo, difetti e perdita di alcune caratteristiche tra cui le note basse. Man mano che si scende di tonalità, le vibrazioni diminuiscono, quindi lo spingere porta a problemi di intonazione (crescente) fino alla quasi impossibilità di emetterle per eccesso di pressione.
Sulla questione del "tenere i suoni alti" mi sono intrattenuto già diverse volte; è un "male" soprattutto delle metodologie della "maschera", che inducono gli allievi a "tirar su" i suoni o a spingerli verso le parti medio-alte della testa, soprattutto quando si scende o quando si canta nelle regioni gravi. E' una sciocchezza (ma tutta la questione della "maschera" così intesa lo è) e porta a vari difetti: la più frequente è l'erronea intonazione (tendenzialmente crescente), ma può anche causare perdita di sonorità, spoggio. Il modo corretto di emettere è, sempre con morbidezza, lasciar scorrere, non interrompere. Sentire, vivere con un certo piacere fisico del palato, della lingua, delle labbra, questo rivolo caldo ma fresco, puro ma frizzante, esiguo ma pieno e soprattutto destinato a correre e riempire lo spazio che ci circonda. Questo, senza che noi ce ne accorgiamo, incoscientemente, avviene quando parliamo tranquillamente e spesso anche quando cantiamo sovrappensiero. Si dirà: beh, ma in questo modo non si può cantare a teatro. Sì, se si sarà educato il fiato a propagare la voce. La differenza, alla fine, è "solo" questa. Ci va un tempo infinito per raggiungere questo risultato, ma non ci sarebbe altro. Ovvero, c'è di mezzo il mare.
Un consiglio, che spesso serve per evitare certi errori stereotipati: quando si scende verso il basso soprattutto quando ci sono suoni "stretti", come la "I" e la "é", è quello di non stringere la bocca, cioè sollevando la mandibola, ma facendo proprio l'opposto, cioè aprendo. Risulterà innaturale e difficilmente si riusciranno a pronunciare correttamente le vocali strette, ma non è molto importante all'inizio; ciò che importa è comprendere che in questo modo si permette un maggiore scorrimento del fiato-suono, senza schiacciare e si sarà anche indotti a spingere meno (perché spingere risulterà davvero assurdo!), Piano piano ci si accorgerà che anche con questa postura orale piuttosto strana, si potrà lo stesso pronunciare, ma a questo punto non sarà più necessario tenere aperto, ma si potrà tranquillamente pronunciare in modo corretto, naturale.
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