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domenica, dicembre 13, 2020

La repubblica dei bei suoni

 Ormai da tanto tempo, sicuramente almeno dal dopoguerra ma con molti esempi anche precedenti, è diventata popolare la "bella voce", laddove il requisito viene separato e valorizzato dal resto del canto.

Soprattutto in campo femminile, dove la pronuncia può costare maggiormente in termini di studio, "il suono", quindi non "la voce", viene sempre più identificato come l'oggetto primario di una cantante e quindi posto come requisito indispensabile e venerato. Non per nulla una cantante quasi del tutto priva di dizione quale fu Joan Sutherland è stata additata da schiere di fan e di critici come una dei più grandi soprani del XX sec. Lo stesso può dirsi dallo sciocco confronto tra la Tebaldi e la Callas, dove senz'altro la seconda aveva voce meno bella della prima (ma la Tebaldi valeva molto più della Sutherland). Con questo non voglio togliere dei meriti che hanno avuto tutte queste cantanti, ma che non possiamo indicare come esemplari, perché carenti di uno dei requisiti fondamentali, che è appunto la parola, la pronuncia. L'involuzione musicale e vocale in cui ci troviamo sicuramente da almeno 20-30 anni, non fa che amplificare questo fenomeno. Oggi trovare soprattutto cantanti (nella fattispecie donne) con la voce avanti, fuori, e perfettamente comprensibile è cosa rara, e per lo più dovuto a fattori naturali, perché dubito che vi siano altre scuole oltre la nostra che curino la dizione non solo quale requisito necessario da un punto di vista espressivo, ma quale attributo fondamentale per l'educazione vocale in toto. Bellissime donne con la mandibola inchiodata, che cantano davanti a microfoni aperti, con acuti forse belli, ma totalmente vuoti perché non sorretti da una chiara e fondamentale vocale. Vibrazioni artificiose e rumorose che servono a ingannare le orecchie ormai avvelenate e atrofizzate dei sedicenti appassionati d'opera sono ormai il piatto quotidiano degli spettacoli lirici; più in alto si va e più domina il puro estetismo dello spettacolo fine a sé stesso, senza una reale base artistica che ci faccia vivere, sognare, coinvolgere in un flusso musicale autentico, continuo, drammaturgico, poetico, vero, sincero e realmente bello. Nella voce umana non ci può essere bellezza senza significato (quindi resta solo il significante). In un suono strumentale per certi versi è ancora più difficile far scaturire la vera bellezza musicale, perché oltre a ciò che può donare uno strumento costruito da mani geniali ed espertissime, riuscire a farlo "parlare" è cosa miracolosa; l'uomo ha a disposizione l'elemento principe per raggiungere lo scopo, anche se a livello base è scadente, cioè la parola (scadente da un punto di vista artistico, ma perfetto per il suo scopo, cioè la comunicazione interpersonale). E' estremamente faticoso, impegnativo, difficile, elevare questo elemento ad arte, già nell'eloquio verbale puro, ma ancor più (molto di più) in quello musicale. Ma è un dato indispensabile e ineliminabile. Quanto sarebbe bello risentire nei teatri e, per quel che può valere, tramite i mezzi di riproduzione, recitar cantando! Quando una voce parla e recita musicalmente con verità, ogni altra componente diventa secondaria, non ci accorgiamo neanche più se una voce è "soltanto" bella, ma la bellezza diventa requisito insito nel tutto. Quanti, ascoltando Schipa, come prima reazione notano una voce non bella, sono preistorici, totalmente ignoranti in materia, devono fare tanta strada per poter parlare di canto artistico. Lo stesso, pur con notevoli distinguo, vale per altre voci, come quella della Callas e, a un livello ancora un po' inferiore, Pertile. 

Comunque, mi rendo conto di scrivere e parlare al deserto. Seguire questa strada richiede un coraggio non solo estremo, ma forse anche inutile, perché chi giudica, e quindi chi apre la strada ai cantanti (e si basa, poi, in gran parte anche su un giudizio popolare) è indirizzato a selezionare, privilegiare e premiare le voci vuote e apparenti. La competenza non esiste più, contano più le opinioni di chiunque che le articolate esposizioni di un pensiero fondato, per cui io, come il mio maestro e alcune altre scuole d'arte, come quella fenomenologica perseguita dal m° Celibidache, sentiamo il dovere di scrivere, insegnare, parlare, perché ci obbliga la coscienza, ma proprio per la differenza sempre più netta che le separa dall'azione comune imperante, restano inascoltate e financo derise e osteggiate. 

Toscanini diceva: "nella vita democrazia, nella musica aristocrazia". Beh, non posso dargli torto! Oggi chiunque, essendosi moltiplicati all'infinito i mezzi di propalazione dei messaggi, può parlare ed esprimere opinioni e giudizi su qualunque cosa; ma possiamo credere che una base, sicuramente molto numerosa, senza requisiti culturali, educativi, espressivi, tecnici, pratici, possa determinare la storia e l'attività concreta di un fenomeno artistico? Ma bisogna anche tener conto della potenza e preminenza dei poteri finanziari, che hanno distrutto la realtà artistica, soppiantata dallo spettacolo e dall'apparenza. Che bello lo spettacolo della Scala. Ma quel "bello" è conforme ai valori? Vedendo alcuni vecchi filmati in bianco e nero di spettacoli, non possiamo non ridere di alcuni allestimenti scenici, che "poveri" è dir poco, ma che ci rapiscono per quanto esprimono alcuni cantanti veri, che riescono a far scaturire i significati di quanto hanno prodotto librettisti e compositori. Oggi il vero non riusciamo nemmeno a scorgerlo, perlomeno da quanto ci viene proposto platealmente. Forse qua e là potremmo intravvederlo in qualche situazione locale minore. Chissà che da lì non possa risorgere qualcosa di valido, quando ci si renderà conto di vivere come in una "cinecittà", dove le case sono solo facciate di cartone. 

mercoledì, dicembre 02, 2020

Il falsetto "totale"

 Il punto saliente di qualunque discorso che riguardi una voce completa e perfettamente educata, sta nella sua omogeneità. La semplice esistenza di un passaggio (o più d'uno, come alcuni sostengono e richiedono) già rappresenta la negazione di un simile principio. Molti sanno e osservano che se si prende una nota acuta e si scende, difficilmente si avvertirà un passaggio, a meno che, specie nelle donne, non si scenda nelle note gravi, dove è di nuovo possibile che si senta uno scalino, a meno che non si lasci "morire" la voce. Senza stare a girarci tanto attorno, diciamo subito che il tutto è riconducibile all'ignoranza diffusa sulla questione dei cosiddetti registri e in particolare sul "falsetto". Già il nome è oggetto di molte discussioni e polemiche! Nella donna nessuno parla di falsetto ma di "misto"; non è una questione terminologica, ma di comprensione. Per molti esiste un registro "di testa" nelle note acute, un registro medio E un registro misto, cioè un mescolamento tra centro e acuto. Assolutamente così non è! I registri sono due, certo, ma quello centrale, che anticamente fu chiamato falsetto, domina tutta la gamma vocale, anche se si presenta debolissimo nel settore centro-grave, e fu definito "testa" solo a partire dal re4 quando perde ogni relazione con la vibrazione di petto, però occorre aver ben presente CHE E' SEMPRE LA CORDA DI FALSETTO. Ma nell'uomo è la stessa cosa, solo che non raggiunge quasi mai la parte di testa, perché solo alcuni contraltini riescono a cantare abilmente dal re4 in su (e comunque occasionalmente). Quindi tutta la gamma vocale maschile è cantabile nei due registri, ovviamente molto debolmente nel centro grave per il falsetto, e più appropriatamente nella zona centro acuta dove invece il petto da solo è gridato. A questo punto entra in gioco la necessità artistica di omogeneizzare il tutto, il che non avviene e non può avvenire con un "passaggio di registro"! Questa, che è a tutti gli effetti, una manovra, è una sorta di ponte o scala. Se io ho due lotti di terreno a diverse altezze, ho due possibilità di superare questo dislivello: erigere un artificio o livellare. L'artificio forse si farà prima a costruirlo, ma rimarrà sempre qualcosa di innaturale e ostacolante, che potrà anche creare problemi, e soprattutto non potrà MAI assicurare omogeneità. Se io livello, cioè porto materiale dove non c'è e lo tolgo dove ce n'è troppo, alla fine avrò una soluzione perfetta, dove tutto è coerente e costante, dove non ci sono cambi di colore, manipolazioni foniche e soprattutto fonetiche ai danni della pronuncia. Quindi occorre ricordarsi che laddove si usa più frequentemente il petto, c'è anche il falsetto, che per scarso uso, oltre che per le proprietà insite nelle corde vocali, è più debole, e laddove si usa, o è più corretto usare più regolarmente il falsetto, c'è anche il petto, e queste due modalità non devono essere pensate - e utilizzate - separatamente, ma coinvolgendoli sempre entrambi. Cosa significa questo? Che IL FIATO, che è abituato e allenato (ovvero è più comodo) ad alimentare in questo modo la voce (cioè voce parlata e voce gridata), può invece sostenere con continuità e uguaglianza l'intera gamma; sarà un lavoro assai più impegnativo, che richiede una rimodulazione del fiato in chiave fonica, anziché respiratoria (senza, ovviamente, neanche tentare di compromettere questa funzione vitale). Pertanto, allenando il falsetto in zona centrale (come lo stesso Garcia consigliava, mentre non parla assolutamente di passaggi oscurati) e attenuando il petto, e estendendo quest'ultimo in zona acuta, noi indurremo una nuova esigenza al fiato che lentamente si adatterà fino a ottenere la piena e meravigliosa omogeneità vocale (con la possibilità sempre di utilizzare i colori a propria volontà e in ogni zona) senza alcuna necessità di ricorrere a ponti, scale, passaggi e manovre meccaniche di alcun tipo. Ma in fondo queste scoperte non è che richiedano dei geni per essere riportate alla luce, basterebbe il buon senso! Ma tutte le scuole preferiscono attaccarsi a questo o quel "metodo" invece di riflettere, intuire, osservare e non cibarsi sempre della pappa pronta, oltretutto avariata!.  

La "non" altezza

 Una delle cose più interessanti di una raggiunta perfezione dell'emissione, sta nella totale assenza di percezione dell'altezza, intesa in vari sensi, ma in particolare che, salendo, il suono (non) si alzi. E' persino ovvio che dal momento che l'emissione è esterna, essa si forma frontalmente all'area della bocca, qualunque siano le note da emettere, vuoi grave, vuoi media, vuoi acuta. Cambiano appena alcuni parametri, ma l'attacco o il passaggio da una nota all'altra avviene rimanendo alla stessa altezza, cioè davanti, fuori. L'istinto per molto tempo stimolerà a alzare internamente, più o meno indietro, ma metterà sempre in difficoltà a mantenere una linea o un piano orizzontale, questo anche perché c'è una motivazione fisica che spinge in quella direzione, a cui però noi non dobbiamo sottometterci, non perché vogliamo contraddire le leggi della fisica, ma perché esse entrano in gioco solo in determinate situazioni (nella fattispecie quando si richiedono notevole intensità e tessiture in zone impegnative) e sono controllabili, cioè riconducibili alla normalità del parlato (quando esse non sentono l'esigenza di entrare in azione).