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domenica, maggio 13, 2018
La convivenza
Il nostro istinto, potrei dire il nostro corpo, non accetta o addirittura rifiuta il canto artistico, in quanto sconosciuto ma soprattutto in quanto minaccia per il corretto utilizzo del fiato inteso come scambio gassoso e in subordine come aiuto alla postura eretta. Da qui nascono tutte le difficoltà e di conseguenza le carenze e i difetti di una corretta vocalità. Due sono i percorsi possibili per affrontare questo confronto: forzare l'istinto a concedere l'utilizzo del fiato per poter cantare al massimo livello possibile, oppure "dialogare" con esso affinché comprenda, accetti la nostra esigenza espressiva e conceda l'utilizzo del fiato per il canto come fosse un altro senso, cioè senza opposizioni. Se si accetta questa visione della questione, si avrà anche coscienza del fatto che nel primo caso il confronto sarà sempre oppositivo, cioè volendo prendere con forza il fiato e utilizzando muscolarmente il corpo per un utilizzo non previsto dalla sua natura fisica, non ci sarà mai accordo; esisterà la tolleranza, potranno esistere situazioni di privilegio (incoscienti), situazioni di casuale fortuna educativa, ma non potrà esistere la SCUOLA e le condizioni che possano forgiare voci realmente libere. Detto ciò resta la difficoltà di spiegare in modo veramente chiaro e convincente in cosa consista la seconda strada, come si possa ottenere. Intanto occorre considerare qualche dato di fatto: chiedere al nostro corpo in un tempo brevissimo di permetterci di fare suoni molto sonori e disposti su una estensione notevole, è il modo più errato che possa esserci, perché significa metterlo subito in forte antagonismo e crearci problemi a non finire che non potremo più risolvere in modo accettabile, se non (ma sempre con gravi limiti) sviluppando forze fisiche in grado di combattere le reazioni quasi allo stesso livello; ovviamente occorre avere potenzialità fisiche non indifferenti, il che non è da tutti. In quel caso, comunque, mai si potrà parlare realmente di canto artistico. Da qui possiamo anche desumere che la strada corretta sarà quella opposta, cioè NON FORZARE, non anticipare i tempi, e non seguire percorsi meccanici e fantasiosi, ma proseguire ciò che in parte noi già possediamo, cioè la parola, facendola evolvere prima in quanto parola stessa, quindi applicandone l'intonazione e quel "prolungamento" sonoro che poi è il canto. Questa è già una situazione positiva, che anche alcuni (pochi) insegnanti, credo quasi del tutto inconsapevolmente, seguono ottenendo buoni risultati. Non è un caso se oggi alcuni buoni cantanti provengono da una buona musica leggera, dove non si spinge, non si gonfia ma si segue la parola. Questo però non porta ancora a un superamento dell'opposizione, ma solo un buon compromesso, che può anche essere una buona strada, ma non quella risolutiva. Affinché l'istinto possa concedere l'utilizzo del fiato a scopo artistico-vocale riconoscendo questa esigenza personale, consentendone quindi una parziale commutazione dallo scopo fisiologico a quello espressivo, occorre una condizione essenziale, e cioè che le caratteristiche del fiato non siano quelle comuni, ma che esso abbia compiuto un'evoluzione che consenta la "convivenza". Spiego meglio: Nel momento in cui io mi metto in una condizione vocale di tipo artistico, cioè omogeneità di voce su circa due ottave con la massima sonorità possibile e tutte le caratteristiche espressive necessarie, il fiato fisiologico comune, anche se particolarmente privilegiato dalla natura, non basta ad assicurare l'istinto che nel momento in cui si canta, ovvero si prolungano gli atti respiratori per tempi molto più ampi rispetto il solito, ci siano le condizioni affinché la fisiologia respiratoria necessaria non ne abbia detrimento. Questo comporta una modificazione del funzionamento polmonare. Quelle scuole e quei cantanti che privilegiano la componente addominale della postura respiratoria, di fatto privilegiano la quantità e possono solo contare su questo e sulla prestanza fisica; viceversa l'esigenza respiratoria orientata al canto di alta classe, farà evolvere la respirazione ma non solo inteso come fiato, aria, ma come complesso anatomico. Cioè muscolatura respiratoria complessiva, diaframma compreso, muscolatura erettiva, quindi esterna, polmoni e laringe, si modificano (o modificano il proprio funzionamento) quel tanto che basta per orientarsi al canto e non più solo alla respirazione. In pratica possiamo dire che l'apparato respiratorio DIVENTA l'apparato vocale. In genere si dice che i due apparati si identificano, ma questo è un errore concettuale. Se dico che la laringe è la valvola dei polmoni, mi riferisco alla fisiologia respiratoria, se dico che è uno strumento musicale, mi riferisco al secondo, però do per scontato che coincidano, mentre non è così. Affinché la laringe si comporti perfettamente come strumento, io dovrò creare le condizioni affinché possa svolgere questa funzione, ovvero dovrò fare in modo che il fiato, educato alla bisogna, "suoni" la laringe come uno strumento; ovviamente allo stesso tempo non può perdere la sua funzione fisiologica, quindi si arriva a una sorta di "sospensiva", cioè durante il canto la funzione fisiologica si "mette in pausa", salvo non subentrino stati di allarme. Quindi è chiaro che la chiave di tutto sta nel fiato, ma tutte le chiacchiere che si fanno nelle scuole di canto, compresi libri, trattati, ecc. non arrivano mai a una conclusione fondata. Il polmone quindi deve modificare l'esercizio del suo funzionamento nella componente temporale, ovvero rilasciare il fiato in modo costante, e questo può avvenire solo se esso non subisce pressioni da nessun lato, quindi essere nelle condizioni di avere il massimo tempo possibile di scambio chimico e, dall'altro lato, poter lasciare la frase canora anche molto lunga senza penalizzazione. Allo stesso tempo deve conferire al fiato stesso e quindi alla voce condizioni di energia tali da poter conseguire la sonorità massima e la proiezione più efficace, sempre con un contributo minimale di forza. Quindi tutto dipenderà da come si organizza il polmone. Ecco perché le antiche scuole puntavano così tanto sulla respirazione toracica, e potevano farlo anche da subito, perché partendo dal parlato non mettevano il fisico in condizione oppositiva. Oggi, che si vuol partire dal vocalizzo, magari subito forte e magari già su estensioni ragguardevoli, partire dalla respirazione toracica sarebbe un rischio serio, perché le reazioni porterebbero a un sollevamento complessivo del fiato, quindi spoggio e utilizzo apicale dei polmoni, con gravi conseguenze. Quindi in questo l'intuizione perlomeno è più corretta; la respirazione diaframmatica consente un miglior controllo delle spinte spoggianti. La respirazione toracica, quando rientrante in una fase progressiva corretta di sviluppo (integrazione), consente di gestire quantità e qualità, grazie all'elasticità complessiva del polmone e alla funzione della pleura, ma anche alla capillare rete degli alveoli, che potranno svolgere il doppio compito, quindi non saranno più inerti, passivi, ma potranno adoperarsi per conferire quella qualità al fiato indispensabile per un canto esemplare. Oltre a ciò, come si può desumere da quanto suddetto, è fondamentale che la postura del corpo vada nella direzione di evitare che la gabbia toracica, spalle e quant'altro, gravino sul fiato, quindi è necessaria, indispensabile, un "galleggiamento" del fiato, libero da ogni pressione, condizionamenti e forza da qualunque parte, il che si realizza con quella orizzontalizzazione a "pallone da rugby", cui faceva molto spesso riferimento il m° Antonietti. Questa è la vera e unica componente atletica del cantante.
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