Translate

lunedì, dicembre 27, 2010

Un colpo al cerchio e un colpo... alla glottide!

Bisogna riconoscere che nè il M° Antonietti (che io sappia) né il sottoscritto ci siamo mai soffermati su un punto che è invece presente nel trattato del Garcia, e cioè il colpo di glottide. Il punto è sempre stato liquidato come un "vezzo" dell'epoca, con negatività sul piano dell'emissione corretta e nessun vantaggio. Una riflessione un po' più approfondita, seguita anche a una constatazione e intuizione, mi spinge a fare qualche commento in merito.
Il cd colpo di glottide è una breve apnea con liberazione istantanea della pressione a livello di corde vocali. Anche la H espirata può condurre a un colpo di glottide, ed è una delle ragioni per cui non viene tollerata, aggravata dal fatto che esce una certa quantità di aria insonora, cosa grave perché toglie parte dell'appoggio.
Il colpo di glottide viene usato, più o meno coscientemente, per attaccare alcune vocali di cui si ha scarsa percezione del punto esatto ove iniziare. Ci sono poi consonanti come la C e la G dure che producono effetti simili al colpo di glottide, anche se i punti di attacco sono più alti, tra lingua e faringe. Sono, come si era già accennato, effetti valvolari. Possiamo dire che il c.d.g. nel canto è sempre da evitare: è brutto espressivamente e non giova all'emissione. Quando può essere utile?
Diciamo che ci sono casi in cui è meglio, per pochissimo tempo, "accorciare il tubo". Ad esempio quando, dopo molti esercizi, persiste la tendenza a mandare certe vocali nel naso, il c.d.g. può, spezzando la colonna, portare il soggetto a indirizzare meglio il flusso verso i denti superiori, e percepire il suono più correttamente. Naturalmente è cosa di poche lezioni, dopodiché andrà tolto, e lo stesso esercizio è sempre da svolgere sotto controllo. Altro esempio, in unione con un altro consiglio di Garcia, e cioè la percezione della gola aperta in basso, può essere l'esperienza di qualche c.d.g. per avere la sensazione della gola larga in basso, perché capita abbastanza spesso che con l'idea del suono in maschera, alto, ecc. ecc, ci sia sempre uno stimolo ad "alzare" e quindi un movimento che tende a spoggiare e quindi chiudere la gola. Ripeto che sono questioni delicate e quindi da provare sotto controllo e occasionalmente.

giovedì, dicembre 23, 2010

Ma va...

Alcuni insegnanti, o perlomeno ritenuti tali, insistono con gli allievi che per appoggiare il suono bisogna spingere verso il basso, simulando uno sforzo paragonabile ... all'andare in bagno!! E' uno dei tanti crimini che si perpetrano nei riguardi dei poveri giovani allievi che ritengono validi e padroni della materia tali insegnanti, per la sicurezza che ostentano.
Qualcuno può pensare che sia anche logico che per indurre il diaframma ad abbassarsi, un tale atteggiamento possa avere una qualche utilità. Invece no! E' clamorosamente sbagliato, e sapete perché? Perché questa azione, che rientra pienamente nelle funzioni fisiologiche e istintive, richiama la laringe alla propria funzione VALVOLARE, cioè quest'organo non è più utilizzabile quale strumento musicale, ma compie un'azione di chiusura del flusso aereo in modo che l'aria contenuta nei polmoni possa concentrarsi e aiutare la muscolatura nella propria azione. Infatti nel corso di uno sforzo (anche sollevando un peso, ad es.), la parola è molto più difficoltosa e persino impossibile. In sostanza, quindi, quel suggerimento non solo è sbagliato, ma addirittura controproducente, cioè opposto al risultato che si vuole ottenere, perché aumenta l'apnea e ogni tentativo di parola o canto si trasforma in uno sforzo deleterio.
Per cui, se qualcuno vi da un tale suggerimento, credete a me, mandatelo... a fa' 'n bagno!!!

giovedì, dicembre 16, 2010

Il segreto di Pulcinella (ma neanche tanto...)

Nella Storia del canto di cui abbiamo tracce, credo siano stati davvero pochissimi, poche unità, che abbiano capito realmente (e quando dico capito, intendo fatto, o meglio saputo fare) qual è il "segreto" del grande canto, che come ho scritto è pressoché un segreto di Pulcinella, nel senso che non è niente di trascendentale, ma a parole è quasi impossibile da spiegare. Questo segreto altro non è che... cantar piano. Qualcuno a questo punto già potrebbe aver smesso di leggere! Spero di no. Quando intendo cantar piano, non intendo a basso volume, anche se pure questa è una disciplina fondamentale e indispensabile all'acquisizione del bel canto, ma intendo dire che occorre lasciar scorrere il canto senza premere. Il luogo ove si può dare volume a sazietà, è sulla punta del fiato, che può essere avvertita fuori di noi, se tutto funziona a dovere; ma, appunto, prima bisogna aver acquisito questa forma mentale, che è incredibilmente difficile. L'unico grandissimo cantante che credo sia riuscito, non so in che percentuale dovuto alla scuola e nell'altra alla propria intelligenza e ricerca, è stato Tito Schipa. Io stesso devo dire che se quando faccio lezione faccio quasi sempre esempi perfetti, il che è indispensabile per chi insegna, e solo malesseri o stanchezza possono talvolta scusare la non perfetta riuscita, nel canto vero e proprio posso non raggiungere le stesse quote.
Dunque, indipendentemente dallo spessore vocale che soggettivamente ciascuno esprime, il dato fondamentale che distingue il cantante vero artista dagli altri, è la capacità di far SPANDERE la voce nell'ambiente in cui si esibisce. Se la voce spande, non esiste più grande differenza tra voci piccole e grandi, nel senso che ciascuna dovrà rimanere nell'ambito del proprio repertorio, quindi il leggero canterà opere del repertorio leggero, il drammatico quello drammatico e così via, ma senza pericolo che quello leggero non si senta. E così si spiega che pure Schipa cantò, e più d'una volta, all'Arena di Verona.
Perchè la voce spanda, occorre che l'aria dell'ambiente entri in vibrazione, cioè diventi tutt'uno con l'aria di chi canta. A teatro l'ho sentito tre volte: con Alfredo Kraus, limitatamente ai recitativi dell'opera "La favorita" di Donizetti, nel 1980, Bruson, durante le prove de "i due Foscari" a Torino nel 1984, e Tiziana Fabbricini, alla Scala di Milano nel 1990 e anche in altre prestazioni successivamente.
Qual è il segreto perché ciò possa accedere, oppure: perché ciò non accade sempre?
Come ho già accennato, il dato essenziale è quel "cantar piano". Il Maestro Antonietti aveva scoperto che alla base della voce c'è il canto sospirato. Già questo è un dato che nessuno comprende. Poi nessuno comprende che nella stessa ottica c'è il parlato. Anche miei allievi già consolidati, non sanno passare da una frase parlata a intonata senza modificare sostanzialmente l'emissione. Già solo questo potrebbe risolvere ogni problema, ma sarebbe una scuola troppo dura, non più proponibile con i ritmi del tempo odierno.
Allora il segreto nel segreto, sta in quell' "EFFETTO VALVOLARE", che ciascuno di noi, nessuno escluso, si trova ad affrontare. Per farlo capire meglio mi riferisco quasi sempre alle cinture di sicurezza. La cintura di sicurezza, se voi la tirate piano, si srotola e la potete allungare quanto volete. Se aumentate troppo la tensione, il meccanismo blocca la cintura. E' un effetto valvola. All'interno dell'apparato respiratorio-canoro, abbiamo diversi punti-valvola, ma soprattutto due: la laringe e la zona immediatamente successiva, il punto di congiunzione tra laringe e spazio faringeo. La laringe è essa stessa una volvola. Le pareti elastiche dello spazio faringeo, diciamo più comunemente la gola, sono estremamente sensibili alle modificazioni della pressione aerea e hanno molte possibilità plastiche, dovute anche al meccanismo della deglutizione. Dunque, quando il fiato esce con una pressione costante e moderata, il "tubo vocale" rimane elastico e, se ci sono le giuste condizioni di pressione, può ampliarsi fino alle massime dimensioni possibili (che, ribadisco, non sono raggiungibili con impulsi volontari). Se il fiato non si trova in queste condizioni, ma ha irregolarità di pressione, compie il proprio ruolo valvolare e, come la cintura di sicurezza, blocca, almeno in parte, il flusso, e quindi si perde irrimediabilmente la possibilità di realizzare quell'unificazione con l'aria dell'ambiente. Concludendo: se volete raggiungere l'esemplarità vocale, ma anche, più semplicemente un elevato livello canoro, dovete imparare a far fluire con leggerezza il fiato che possedete. Questo vi darà modo anche di capire che la pronuncia non è un'azione meccanica e fisica, ma mentale, nel senso che riuscirete a immettere nel fiato la pronuncia stessa, come fosse un portato della mente. Quando si avrà consapevolezza che la pronuncia è staccata dal fisico, e quindi come fosse fuori di noi, come se la producesse qualcun altro, si avrà anche cognizione del fatto che può essere ampliata, sviluppata in ogni dimensione, di colore, di volume, di intensità, senza ripercussioni organiche, perché è come se la gola fosse diventato un "tubo vuoto", inerte.

domenica, dicembre 12, 2010

La strada della filosofia

Questo si preannuncia un post molto lungo, forse da suddividere in più puntate. Tutto parte da un libro che mi ha prestato un mio allievo, "il canto dell'essere", di Serge Wilfart. E' un libro che reputo interessante, anche se, come un po' tutti i libri, per la verità, piuttosto inutile per chi cerca orientamenti e suggerimenti sulla giusta strada da intraprendere per ben cantare; lo ritengo più interessante per chi ha già una buona educazione tracciata che per chi è agli inizi, anche se diversi spunti sono comunque utili. Non ho idea se questo insegnante sia riuscito a far ottenere importanti risultati a cantanti lirici; probabilmente ha conquistato la fiducia di tante persone, perché senz'altro il suo modo di pensare e agire può contribuire alla serenità, alla risoluzione di molti problemi psico-fisici. Dico solo, succintamente, che l'autore (belga) si è dedicato al canto, in gioventù, senza porsi troppi interrogativi, che si sono affacciati quando era già in carriera. Ha conosciuto un bravo maestro italiano, che ne ha risolti molti, dopodiché ha contemperato questa scuola con le discipline zen e yoga. Ha raggiunto così consapevolezza di molti nodi che attanagliano l'essere umano, in generale, e chi fa uso della voce in particolare. Peraltro i tempi e gli approfondimenti stessi di questa disciplina, credo che possano persino risultare opposti agli obbietivi di un cantante. Ma questo può essere un dettaglio di scarso interesse. Mentre leggevo facevo delle riflessioni e mi ponevo questa domanda: questo autore non ha capito
quali sono i reali ostacoli che si frappongono alla conquista di un canto perfetto, però le conquiste e i riferimenti filosofici è possibile che portino ugualmente molto avanti; è dunque possibile la conquista dell'Arte, in questo caso fonatoria, solo tramite una disciplina filosofica?
Dunque devo fare un passo indietro. Come ho già accennato qualche post fa, il Maestro Antonietti parlava continuamente di filosofia. E' comprensibile; chi si trova a conquistare qualcosa di assolutamente eccezionale, è fatale che si ponga domande e possa, nella conquista stessa, trovare le risposte. Il M° soleva dire: "ho date testate a un muro per 18 anni, poi, anche grazie all'ultimo periodo con il M° Giorgi, che aveva un imposto fantastico, un bel giorno mi sono trovato al di là del muro!". Trovandosi in quella situazione, non poteva fare a meno di domandarsi perché, ed è riuscito a trovare tutte le risposte, che ha poi faticosamente cercato di infondere nei suoi allievi. Questo aspetto della disciplina in un certo senso è risultato poi rovinoso, perché mettere di mezzo la "Verità", l'Essere, il Nulla, la Perfezione, Dio e il creato tutto, specie se con la disinvoltura con cui lui la propugnava, può guadagnarti simpatie ma anche, più facilmente, accuse di follia, di presunzione, di manie di onnipotenza e via dicendo. Conscio di ciò, quando ho iniziato a insegnare canto, ho cercato di evitare il discorso, e anche quando non ho potuto o non sono riuscito a scansarlo, ne ho dato un rilievo minimo. Mi sono posto, però, il problema di star limitando la portata del mio insegnamento. E' un fatto che non si può raggiungere la perfezione se non ci si crede; è una limitazione al pensiero che ne impedisce l'accesso. Quindi prima o poi devo chiederlo; alcuni, soprattutto persone fortemente credenti, restano perplessi sulla possibile diàtriba che può nascere tra l'accettazione di questa filosofia e il loro credo, che peraltro non sono fortemente in contraddizione.
Ricordo un giorno, studiavo da poco tempo col M° Antonietti, era estate, e alcuni allievi e miei amici proposero di andare a mangiare un gelato. Si andò quindi al dehor di un bar a degustare, e, come accadeva pressoché sempre, il M° cominciò a dissertare di filosofia. Quel giorno ero particolarmente ben disposto, e seguivo con facilità le sue argomentazioni, e lui stesso si accorgeva della mia comprensione; poco più tardi si andò a lezione, e, incredibilmente, tutti ci rendemmo conto che senza esercizi iniziali, la mia voce già era facile e squillante, e fummo tutti d'accordo che quella condizione era favorita dalla discussione precedente. Accadde un'altra volta, ma in quell'occasione la lunga chiaccherata era più improntata a questioni prettamente canore.
Sto parlando da un po' di filosofia, ma sto sbagliando termine. In realtà ciò di cui parlava il M° era gnoseologia (studio della conoscenza). La questione principale su cui si basa tutto l'impianto gnoseologico della nostra scuola, è che nessuna Verità o conoscenza superiore può essere raccolta su un piano esclusivamente teorico. Essa si pone al termine di tragitti operativi. Dunque partiamo sempre dal fatto che qualunque progresso, anche nel canto, deve comunque sempre passare attraverso l'esercizio e la disciplina fisica. E' però interessante notare che Wilfart nel suo libro non accenna mai, o almeno mai in modo conclamato, all'istinto. Però ho scorto nel suo argomentare che in un certo senso è come se lo affrontasse e trovasse le strade per aggirarlo e superarlo, che è esattamente ciò che fa la nostra scuola. Egli lo definisce (mia generizzazione) un altro sè stesso, che crea difficoltà e resistenze, dunque da "uccidere". In questo però sta anche un altro concetto, anch'esso da noi condivisibile, quello dell'ego che impedisce alla coscienza di funzionare in modo traparente (cioè di rivelarsi). Se, dunque, una buona disciplina filosofica può aprire la mente, può far migliorare anche di molto il rapporto col proprio corpo e con i sistemi di funzionamento, mi chiedo se può significativamente far superare quelle barriere, che noi sappiamo essere tremende, poste dall'istinto fisico ed emotivo. Ovvero sia, nel caso di questo autore, stata realmente raggiunta una "UNIFICAZIONE" tra la disciplina spiriturale e quella fisica, tale da permettere il superamento di ogni vincolo di tipo valvolare. Da quanto ho letto direi decisamente di no, però è una strada interessante, che può essere piacevole e istruttiva da percorrere soprattutto da chi non ha particolari velleità di tipo carrieristico.

mercoledì, dicembre 08, 2010

Tempi moderni

Mi viene spesso rivolta la domanda: come mai c'è questa crisi di voci importanti? Come mai una volta c'erano tanti grandi cantanti, oggi è difficile trovarne uno discreto? In genere la risposta è: non ci sono più le scuole di canto. Questa è una verità inoppugnabile, ma forse non è l'unica risposta. L'uomo fa fatica a relazionarsi; non solo c'è lo stress per una vita assurda: traffico, input di ogni tipo da ogni dove, tasse, telefoni, tv, burocrazia, politica, ingiustizie, ecc. ecc. ecc., ma anche sul piano sociale le cose sono davvero cambiate. Nel relazionarsi col prossimo manca la genuinità, la spontaneità, l'essere sé stessi. Troppi modelli, troppo narcisismo, troppa voglia di avere, di essere qualcuno, poco piacere nel dare per il gusto di dare, ma sempre o quasi per ottenere qualcosa in cambio, per diventare "qualcuno", per la fama, la gloria, sia pur per un giorno. Allora, qui non è solo questione di Arte, che per potersi esprimere, come già ho scritto, richiede la purezza, la limpidezza della coscienza, ma di qualcosa di più grave. Il canto, anche a un livello semplicemente buono o discreto, richiede comunque che la persona si esprima, cioè "tiri fuori" ciò che ha dentro, e il canto è lo specchio più profondo di espressione dell'interiorità. Se la comunicazione è difficile, nel senso che la persona non esprime sé stessa, ma al contrario vuol dare una certa idea, irreale, superiore, di sé, il canto avrà due possibilità: o bloccato, con tutte le classiche difficoltà: stecche, disomogeneità, ingolamenti tremendi, oppure,esattamente all'opposto, voci stentoree indomabili, urlatori, fabbri ferrai dell'ugola, perché quel "blocco" o lo si accetta e se ne paga le conseguenze, o lo si vuole sfondare, con le conseguenze opposte. In termini psicologici però i primi saranno frustrati perché subiranno il blocco, i secondi vivranno "eroicamente" la forza con cui si sono liberati (secondo loro) delle catene. Da un punto di vista qualitativo la differenza è minima. Ma ascoltiamo Gigli; nel bene e nel male, noi sentiamo la vera voce di un uomo, non di un divo, non di un superuomo. E lo stesso io percepisco con Caruso e tanti altri cantanti di un tempo, con diverse sfumature, ma sempre di voce "vera" parliamo. Questo non riesco più a sentirlo in quasi nessuna voce degli ultimi decenni. Credo che sotto sotto Bruson l'avesse, io lo sentii cantare in modo spontaneo, e c'era quella voce, ma poi quando andava in scena è come se la voce venisse "filtrata" da un altro sé stesso, meno vero. Discorso analogo per Kraus. Secondo me era questa umanità così diretta e palpabile che faceva andar pazze le generazioni passate, e quindi reputo che anche una scuola straordinaria come la nostra avrà sempre difficoltà a produrre autentici e grandi artisti del canto, perché per superare quella barriera occorre un percorso non solo di apprendimento dell'Arte vocale, ma anche di tipo psicologico, sociologico e soprattutto filosofico, che, comunque, non si sa, nella società attuale, che tipo di risultato possa conseguire. Comunque non perdiamoci d'animo!

domenica, dicembre 05, 2010

Coniugare sopra e sotto

In un tempo piuttosto lontano, usavo dire alle persone che si interessavano di canto e che parlavano ostinatamente o della maschera o dell'appoggio, che il fiato è come la classica coperta, che "se la tiri di sopra ti scopre i piedi, se la tiri di sotto ti scopre la testa". Quando in una scuola si insiste molto nel "tirar su", c'è il forte rischio che la voce si spoggi, o, nel caso contrario, che i centri si "gonfino" eccessivamente, con alte probabilità di ingolamento, di "mangiarsi" gli acuti ecc.
Nel corso dello studio può capitare che per togliere un certo difetto o per migliorare un determinato aspetto vocale, si ometta di insistere costantemente su uno dei due punti di appoggio, anche perché dobbiamo considerare che un appoggio completo ha un costo elevato in termini di impegno fisico e/o di esborso di fiato, quindi se occasionalmente, appunto per circoscrivere un certo argomento o problema, anche l'appoggio non è completo, non è grave, rimarcando però che parliamo di un fatto occasionale.
Ma parliamo di come mantenere "coniugato" l'appoggio diaframmatico con quello palatale. Se emettiamo correttamente una "U", noi di regola abbiamo un appoggio diaframmatico piuttosto consistente, e mantenendo con forza questa vocale con le labbra, dovremmo avere anche un buon appoggio superiore. Ora, se da una U passiamo a un'altra vocale, specie se chiara, ad es. una "I", la prima cosa che capita è di "tirar su" il fiato, ovvero il diaframma. Questo è dovuto anche al fatto che nella I, come nella E, soprattutto quella stretta, la lingua sale e si ha la tendenza a seguire lo stesso movimento. Ora, non è che la lingua non debba sollevarsi, ma bisogna considerare che la pronuncia della vocale non è in zona faringea, ma oltre le labbra. Il che significa che il passaggio dalla U alla I non deve avvenire in bocca, o posteriormente, ma oltre le labbra. Si noterà che la risonanza della U occupa l'intera cavità orale. Un falso istinto induce il cantante a voler mantenere questo "corpo" vocale, e così facendo si produrrà lo schiacciamento della vocale, con prevedibile pessimo effetto. Invece occorre lasciare che il corpo della U svanisca, e la pronuncia della I si possa esplicare sulla "punta" del fiato, oltre le labbra. Non si deve aver paura di perdere sonorità o timbro, anzi, la pronuncia deve essere sempre perfetta, però non è facile, psicologicamente, accettare di ridurre la portata del suono, ma questa è la strada al canto sul fiato, che, dovendo abbandonare la fibra, vale a dire muscoli, fisico, ci mette in ansia e reagisce mettendoci paura e facendoci frenare, bloccare, trattenere il fiato e creando pericolose apnee.

sabato, dicembre 04, 2010

La respirazione artistica "galleggiante"

Vengo quindi ora a parlare di questa ultima e "impossibile" respirazione artistica. Leggo e sento parlare talvolta di un canto "galleggiante". Ammesso che chi ne parla abbia effettivamente percezione di un canto leggero, aereo, "sul fiato", devo precisare che non è la stessa cosa della respirazione galleggiante.
Esiste, dunque, un terzo stadio respiratorio per chi punta alla perfezione vocale. Occorre aver disciplinato lo strumento, inteso come forme oro-faringee, in rapporto all'alimentazione (fiato). Tutta la disciplina si basa sulla possibilità di aggirare e superare l'istinto di conservazione e difesa della specie. Se e quando sarà raggiunto questo traguardo, che, lo ripeto, è da considerarsi quasi un'utopia, noi ci troveremo in una condizione molto particolare in quanto NON E' PIU' NECESSARIO ALCUN APPOGGIO. Spero si capisca la portata di questo concetto, che era contenuta nella premessa all'argomento, tre post fa. Se non c'è più necessità di appoggio, significa che il fiato non ha più altra necessità, nel senso che non è più vincolato alla condizione di mantenere abbassato il diaframma, perché rimarrà abbassato con la semplice quantità di aria presente nei polmoni, diciamo col cosiddetto fiato di riserva (ricordiamo che il diaframma si rialza in parte per la normale azione muscolare di rilassamento, ma, in maggioranza, per l'azione dell'istinto che "ordina" a questo potente muscolo di sollevarsi per esplerre l'aria). L'erezione del torace, che non deve mai venir meno, nel senso che il petto deve sempre stare "su", permetterà quella postura diritta che svincolerà totalmente il fiato dall'azione valvolare (quindi sarà venuta meno anche il 90 e più percento di pressione sottoglottica). Questo darà piena libertà alla laringe, che a questo punto si sarà trasformata in perfetto e delicato strumento musicale.
Se la respirazione diaframmatica, il primo "stadio", poteva farci ritenere il serbatoio respiratorio come un "pallone rotondo", il secondo e a maggior ragione il terzo stadio, portano il serbatoio a una forma di "pallone ovale", posto a livello dei capezzoli e fino ai muscoli ascellari.
Alla maggioranza di chi legge non sfuggirà, penso, il limite di un possibile problema che viene posto in qualunque trattato di canto, e cioè la vicinanza tra questo tipo di respirazione e la cosiddetta "clavicolare", da tutti ritenuta insufficiente e pericolosa. La respirazione clavicolare, detta anche "apicale", è una respirazione che sfrutta più intensamente la parte alta del polmone; essendo il polmone vagamente piramidale, la parte alta è costituita da "punte", che, come si può bene immaginare, contengono poca aria, e soprattutto hanno poca possibilità di agire sul diaframma. Molto erroneamente, molti teorici riferiscono che questo tipo di respirazione veniva praticato anticamente, quando le donne portavano il busto. Non possiamo del tutto controbattere questo assunto, ma mi permetto di affermare che in grandi scuole come quella del Garcia, dove c'era la Malibran, non si potessero compiere errori di tal gravità. L'opinione mia e già del M° Antonietti è che in realtà lo studio avvenisse senza busto e costrizioni particolari, per cui il fiato aveva la possibilità di un normale e corretto sviluppo e che al momento della grande carriera le buone cantanti potessero già utilizzare una respirazione toracica, che, se pur non ottimale, potesse per altro produrre un canto di alta qualità.
Per concludere, in sintesi, quindi diciamo che nella respirazione "galleggiante", non c'è solo più il cosiddetto "canto sul fiato", cioè la parola sopra il fiato, che è già un risultato straordinario e ignoto a praticamente tutti i cantanti oggi noti, ma che il fiato stesso possa "galleggiare" sul diaframma, non essendoci necessità di alcun tipo di appoggio, né sul diaframma né su alcuna parte del torace. E' sufficiente (si fa per dire) la perfetta erezione della persona, grazie alla piena, consapevole e continua erezione del torace, che non deve mai "ricadere". Il M° Antonietti, quindi, definiva "divini ladri" i superbi cantanti dell'epoca barocca, tra i quali i castrati, che non avevano necessità di grandi esborsi d'aria, ma potevano giocare su fiati brevi e rubati, che non intaccavano mai la riserva.
Ho scritto tutto ciò più per un dovere di informazione che per necessità disciplinare, perché, lo dico ancora una volta, è uno stadio a cui quasi nessuno (il quasi è una speranza) può pensare (ed è pericoloso pensare di farlo anche solo per prova) di avvicinarsi, e mai e poi mai se non c'è stata a monte la lunga e sofferta disciplina di superamento di ogni istinto che contempli la respirazione quale necessità esistenziale.

mercoledì, dicembre 01, 2010

La respirazione toracica

Nei suoi scritti il Maestro Antonietti si è sempre espresso nei riguardi di una respirazione "artistica", conclusiva di un lungo periodo di apprendimento, culmine di un percorso disciplinare. Personalmente ho sempre evitato questo argomento, al massimo sfiorato, perché lo ritengo talmente difficile da raggiungere da essere considerato impossibile. Comunque prima di arrivare a questo concetto vediamo qualche altra considerazione respiratoria.
Per prima cosa posso affermare che se non esistesse la reazione di difesa istintiva, qualunque cantante potrebbe tranquillamente adottare una respirazione toracica senza problemi. Il motivo per cui in quasi tutte le scuola prevale la respirazione diaframmatica o costo-diaframmatica, per quanto inconsapevolmente, è dovuto a questo problema. Però dobbiamo fare un'osservazione: nella respirazione diaframmatica, la gabbia toracica non è quasi per niente coinvolta, e lo è poco anche in quella costo-diaframmatica. Questo fatto non è senza conseguenze. Quando il diaframma scende, grazie ai legamenti all'ossatura toracica, porta la gabbia stessa a chiudersi, avvicinarsi, infatti si noterà che durante la estroflessione della parete addominale, il torace si deprimerà. Questo è necessario in quanto saranno le costole stesse e la muscolatura intercostale che andranno a premere sui polmoni per estromettere l'aria. Dall'altro lato la potenza del diaframma completamente abbassato fornirà all'aria stessa quell'energia necessaria per un canto di qualità. Dobbiamo osservare, però, che se la gabbia toracica è già depressa in partenza, ci sarà poco spazio perché le costole possano premere sui polmoni. In un certo possiamo dire che la respirazione è incompleta. Dunque, il secondo stadio respiratorio durante lo studio, vale a dire quando le reazioni istintive saranno più contenute (naturalmente dobbiamo riferirci a uno studio dove questo obiettivo viene perseguito coscientemente), sarà quello di una INTEGRAZIONE respitoria. Infatti noi consideriamo la respirazione costale non una diversa modalità respiratoria rispetto la diaframmatica, ma una sua integrazione. Qual è il senso di questa integrazione? E' di tre tipi: uno: la leggera depressione della parete addominale, che non significa far rientrare la cosiddetta fontanella dello stomaco, è che in questo modo il busto, o torso, si erge diritto. Nel momento in cui il busto è ben diritto, scarica interamente il proprio peso sulla colonna vertebrale. Questo è un fatto FON-DA-MEN-TA-LE! Il fiato, oltre che di scambio gassoso, si occupa di mantenere eretto il busto a integrazione della muscolatura della schiena. Se la postura è corretta, al fiato viene tolta una mansione istintiva, cioè sarà maggiormente libero di "occuparsi" dell'azione fonatoria. Secondo: sarà possibile riempire meglio i polmoni; terzo: ergendo molto di più il torace, si avrà un sollevamento cospicuo delle costole, le quali, per gravità e per azione degli intercostali, potranno agire più efficacemente nell'azione espiratoria. Quindi miglior risultato con minore fatica. Questo è un tipo di respirazione che si può utilizzare dopo qualche tempo di studio e che, per successivi miglioramenti, può garantire eccellenti prestazioni professionali anche per l'intera carriera.