Questo si preannuncia un post molto lungo, forse da suddividere in più puntate. Tutto parte da un libro che mi ha prestato un mio allievo, "il canto dell'essere", di Serge Wilfart. E' un libro che reputo interessante, anche se, come un po' tutti i libri, per la verità, piuttosto inutile per chi cerca orientamenti e suggerimenti sulla giusta strada da intraprendere per ben cantare; lo ritengo più interessante per chi ha già una buona educazione tracciata che per chi è agli inizi, anche se diversi spunti sono comunque utili. Non ho idea se questo insegnante sia riuscito a far ottenere importanti risultati a cantanti lirici; probabilmente ha conquistato la fiducia di tante persone, perché senz'altro il suo modo di pensare e agire può contribuire alla serenità, alla risoluzione di molti problemi psico-fisici. Dico solo, succintamente, che l'autore (belga) si è dedicato al canto, in gioventù, senza porsi troppi interrogativi, che si sono affacciati quando era già in carriera. Ha conosciuto un bravo maestro italiano, che ne ha risolti molti, dopodiché ha contemperato questa scuola con le discipline zen e yoga. Ha raggiunto così consapevolezza di molti nodi che attanagliano l'essere umano, in generale, e chi fa uso della voce in particolare. Peraltro i tempi e gli approfondimenti stessi di questa disciplina, credo che possano persino risultare opposti agli obbietivi di un cantante. Ma questo può essere un dettaglio di scarso interesse. Mentre leggevo facevo delle riflessioni e mi ponevo questa domanda: questo autore non ha capito
quali sono i reali ostacoli che si frappongono alla conquista di un canto perfetto, però le conquiste e i riferimenti filosofici è possibile che portino ugualmente molto avanti; è dunque possibile la conquista dell'Arte, in questo caso fonatoria, solo tramite una disciplina filosofica?
Dunque devo fare un passo indietro. Come ho già accennato qualche post fa, il Maestro Antonietti parlava continuamente di filosofia. E' comprensibile; chi si trova a conquistare qualcosa di assolutamente eccezionale, è fatale che si ponga domande e possa, nella conquista stessa, trovare le risposte. Il M° soleva dire: "ho date testate a un muro per 18 anni, poi, anche grazie all'ultimo periodo con il M° Giorgi, che aveva un imposto fantastico, un bel giorno mi sono trovato al di là del muro!". Trovandosi in quella situazione, non poteva fare a meno di domandarsi perché, ed è riuscito a trovare tutte le risposte, che ha poi faticosamente cercato di infondere nei suoi allievi. Questo aspetto della disciplina in un certo senso è risultato poi rovinoso, perché mettere di mezzo la "Verità", l'Essere, il Nulla, la Perfezione, Dio e il creato tutto, specie se con la disinvoltura con cui lui la propugnava, può guadagnarti simpatie ma anche, più facilmente, accuse di follia, di presunzione, di manie di onnipotenza e via dicendo. Conscio di ciò, quando ho iniziato a insegnare canto, ho cercato di evitare il discorso, e anche quando non ho potuto o non sono riuscito a scansarlo, ne ho dato un rilievo minimo. Mi sono posto, però, il problema di star limitando la portata del mio insegnamento. E' un fatto che non si può raggiungere la perfezione se non ci si crede; è una limitazione al pensiero che ne impedisce l'accesso. Quindi prima o poi devo chiederlo; alcuni, soprattutto persone fortemente credenti, restano perplessi sulla possibile diàtriba che può nascere tra l'accettazione di questa filosofia e il loro credo, che peraltro non sono fortemente in contraddizione.
Ricordo un giorno, studiavo da poco tempo col M° Antonietti, era estate, e alcuni allievi e miei amici proposero di andare a mangiare un gelato. Si andò quindi al dehor di un bar a degustare, e, come accadeva pressoché sempre, il M° cominciò a dissertare di filosofia. Quel giorno ero particolarmente ben disposto, e seguivo con facilità le sue argomentazioni, e lui stesso si accorgeva della mia comprensione; poco più tardi si andò a lezione, e, incredibilmente, tutti ci rendemmo conto che senza esercizi iniziali, la mia voce già era facile e squillante, e fummo tutti d'accordo che quella condizione era favorita dalla discussione precedente. Accadde un'altra volta, ma in quell'occasione la lunga chiaccherata era più improntata a questioni prettamente canore.
Sto parlando da un po' di filosofia, ma sto sbagliando termine. In realtà ciò di cui parlava il M° era gnoseologia (studio della conoscenza). La questione principale su cui si basa tutto l'impianto gnoseologico della nostra scuola, è che nessuna Verità o conoscenza superiore può essere raccolta su un piano esclusivamente teorico. Essa si pone al termine di tragitti operativi. Dunque partiamo sempre dal fatto che qualunque progresso, anche nel canto, deve comunque sempre passare attraverso l'esercizio e la disciplina fisica. E' però interessante notare che Wilfart nel suo libro non accenna mai, o almeno mai in modo conclamato, all'istinto. Però ho scorto nel suo argomentare che in un certo senso è come se lo affrontasse e trovasse le strade per aggirarlo e superarlo, che è esattamente ciò che fa la nostra scuola. Egli lo definisce (mia generizzazione) un altro sè stesso, che crea difficoltà e resistenze, dunque da "uccidere". In questo però sta anche un altro concetto, anch'esso da noi condivisibile, quello dell'ego che impedisce alla coscienza di funzionare in modo traparente (cioè di rivelarsi). Se, dunque, una buona disciplina filosofica può aprire la mente, può far migliorare anche di molto il rapporto col proprio corpo e con i sistemi di funzionamento, mi chiedo se può significativamente far superare quelle barriere, che noi sappiamo essere tremende, poste dall'istinto fisico ed emotivo. Ovvero sia, nel caso di questo autore, stata realmente raggiunta una "UNIFICAZIONE" tra la disciplina spiriturale e quella fisica, tale da permettere il superamento di ogni vincolo di tipo valvolare. Da quanto ho letto direi decisamente di no, però è una strada interessante, che può essere piacevole e istruttiva da percorrere soprattutto da chi non ha particolari velleità di tipo carrieristico.
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