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venerdì, giugno 17, 2016

Commenti

Nel post precedente vi sono stati commenti cui ritengo di dover rispondere e siccome le risposte hanno un limite di spazio, dedico un post.
Chiunque abbia letto non dico tutti ma un po' dei post di questo blog sa quanto possa importarmene delle questioni foniatriche e se c'è qualcuno che predica l'antimaterialismo, proprio in quanto assertore della voce artistica-spirituale, sono io, molto più di chiunque metta in discussione questi post. Quanto ho descritto nell'articolo sui contraltini è dato da considerazioni esperienziali e intuitive. Nel campo vocale artistico, ho sempre negato, e lo faccio tutt'ora, una competenza reale della scienza. I foniatri sbagliano, anche clamorosamente, negli aspetti che riguardano la classificazione vocale, come in gran parte di ciò che riguarda l'educazione vocale. Inviare dai medici gli allievi di canto per poter avere una classificazione, cosa che viene fatta da non pochi docenti anche di conservatorio, è una sconfitta e una "incompetenza" dichiarata. La classificazione la può fare solo un vero maestro di canto; se non la sa fare non è un maestro e non sarà nemmeno un buon insegnante. Pertanto, alla luce di un'audizione o di un periodo di studio, sarà e potrà essere solo un docente a stabilire se un allievo è un contraltino o un tenore, e lo deve fare! Non ritengo assolutamente corretto glissare sulle classificazioni. E' forse vero che esistono tenori lunghi, ma mai più di tanto (non credo che nessun tenore "classico" possa superare il do#, in termini di estensione e non reggerà mai il Tell rossiniano, tanto per dire), e sappiamo che la classe vocale non la fa l'estensione ma la tessitura; sappiamo che è soprattutto in base a questa che possiamo classificare le voci femminili. Quando classifico tenore o contraltino un mio allievo, non lo faccio andandogli a misurare le corde vocali, e non lo mando certo da un foniatra, vuoi a classificare vuoi a controllare. Mi pongo delle domande e sulla base della storia e delle competenze/esperienze/osservazioni che ho sviluppato nel tempo, do delle risposte, anche confrontandomi con la letteratura esistente. Proprio Francesco, che io classificai immediatamente contraltino, viene classificato baritono (con dubbi) dal Noto Foniatra, a riprova che non sa cosa siano i contraltini e/o dimostrando di non saper leggere la lunghezza delle corde. Ma questa per me è una considerazione accessoria. Devo sapere qual è la classe di appartenenza perché è intorno a questa che crescerà il repertorio. Non posso poi sottovalutare la questione dei punti di passaggio. Sappiamo come la pensa Simone in merito, ma questo non cambia le cose. Per molto tempo le voci, salvo fortunate situazioni, si troveranno la voce divisa, perché i registri nella voce istintiva esistono e sono sovrapposti, e una moltitudine di aspiranti cantanti si ferma alle prime note acute perché incappa in problemi apparentemente insormontabili che fanno capo ai registri. Se questo è vero, ed è vero, la soluzione non è pensare che non esistono, ma avere le strategie per la risoluzione basate su fondamenti, provate sul campo. La voce artisticamente matura ha superato ogni disomogeneità e ogni segno di passaggio, ma pensare che non esistano è un errore che può costare. Persino un cantante di straordinaria bravura qual è stato Schipa, in alcune registrazioni sentiamo che "passa", e così tutti gli altri. Di Stefano su quello scalino ci ha lasciato la voce. Di conseguenza devo sapere dove è questo passaggio. Me ne frego altamente di quelli che dicono che "ogni voce ha un "suo" passaggio" e non è standardizzato". Non è così. Nonostante i cambiamenti antropologici, immancabilmente le voci, senza che io vada a cercare o forzi, passa dove deve passare. Poi sarà mia cura abolirlo, ma ci vorranno anni, è un obiettivo per niente facile da raggiungere. Sottovalutarlo significa esporre la voce a un pericolo di spoggio. Sento spesso voci giovani che "ballano", oscillano. Questo perché, con la pessima idea che ognuno ha un passaggio diverso, si va a far passare un tenore su un fa# o addirittura sol e sol#, con conseguenze disastrose. Occorre considerare che la Natura, più che standardizzare, proporziona. Quantità e misure fisiche sono in relazione, non tanto per motivi canori, ma per motivi fisiologici, quindi le proporzioni della laringe (e di conseguenza delle cartilagini che la compongono) e delle misure del corpo complessivo, sono e devono essere in proporzione alla capacità polmonare, che è un motore vitale. Poi dovremmo entrare nello specifico di aspetti anatomici per chiarire meglio, cosa che ho fatto nei post passati. Se non mi pongo il problema di quanto può lavorare la cartilagine aritenoide, posso pensare che il registro di petto sia infinito, ma così non può essere. Allora un maestro di canto per quanto appartenga a una certa scuola e a una certa linea di pensiero non può e non deve minimizzare e sottovalutare niente, non può dogmatizzare il proprio pensiero ma può verificare operativamente se la verità che ha appreso per via teorico - pratica su di sé grazie a un valido insegnante, è ripercorribile e applicabile a tutti. Una grande scuola è "comprensiva", nel senso che valuta tutte le altre scuole, tutti i discorsi presenti e passati sui vari argomenti; comprende il motivo di ciò che hanno detto e fatto, confronta con i propri criteri e fondamenti e assume o scarta ciò che sa essere negativo o pericoloso per la voce. Analizzare, comprendere, mettere e mettersi in discussione è fondamentale se si vuole stare in un ambito realmente artistico.

domenica, giugno 12, 2016

Del contraltino

Ne ho parlato così spesso che non mi ero accorto di non aver dedicato mai un apposito articolo a questa corda vocale, che in realtà lo richiede, visto l'alone di misconoscenza che lo attornia.
Dunque, da qualche tempo vengono grossolanamente equiparati alla categoria "tenori" tutte le voci maschili che rientrano grossomodo nella tessitura tra do2 e do4, terza più terza meno. Alcuni definiscono contraltini i tenori "leggeri" acuti, ma la cosa finisce lì. Ricordo che Giorgio Gualerzi definì Pavarotti un contraltino a Torino, alla presenza del medesimo, che non disse nulla, ma subendo un attacco violento da parte della (prima) moglie che recepì la definizione come un insulto. E in effetti salvo, per l'appunto, che per i tenori leggeri acuti, tutti gli altri non gradiscono questo appellativo, come se sminuisse il ruolo, ma in realtà è una solenne sciocchezza.
Garcia nel suo trattato parla del contraltino (in francese haut-contre, ma non per tutti collimano la definizione francese e quella italiana) e dice la cosa fondamentale, cioè che il contraltino non è una "sfumatura" della corda di tenore, come potrebbe essere il tenore leggero o il lirico-spinto, ad es., ma è una classe vocale a sé stante. Non è nemmeno un modo di cantare particolare, come può capitare per sopranisti e contraltisti, ad es. Per certi versi potremmo dire che tenore e contraltino sono due classi del tutto diverse, con ben poco in comune. Poi nella realtà e nella pratica ci sono, e ci devono essere, molti punti di contatto.
La differenza fondamentale sta nel fatto che mentre il tenore ha corde corte, con varie gradazioni di spessore, il contraltino ha corde lunghe e solitamente piuttosto sottili (se le avesse troppo spesse diverrebbe un basso!). Questo, pur non delineando un dato fondamentale né necessariamente standardizzato, ha o può avere un riscontro anche fisico; il tenore "classico" solitamente non ha un corpo slanciato, particolarmente alto e ha collo corto, mentre il contraltino tende ad essere parecchio alto con collo lungo. Questi dati oggigiorno vengono spesso confutati dai cambiamenti genetici dovuti in parte all'alimentazione, in parte al cambiamento di abitudini soprattutto lavorative; il fatto di non fare più lavori pesanti prevalentemente fisici, come potevano essere i minatori ma anche gli agricoltori, i "facchini", ecc., illegiadrisce il corpo e ne assottiglia i caratteri muscolari. Anche il fatto che dal punto di vista estetico oggi è preferito l'uomo alto, ha i suoi effetti nella perpetuazione della specie.
Vediamo le caratteristiche e le differenze tra tenore e contraltino. Per prima cosa si deve rilevare una sostanziale differenza di estensione. Il tenore classico è la voce con la minor estensione tra tutte le classi vocali, e solo raramente affronta con buoni esiti l'intera gamma tra do2 e do4; in genere le note basse sono fioche, poco sonore e di difficile esecuzione, anche il do4 non è mai sicuro e anzi solitamente viene eseguito con buon esito solo nella fase più prestante della vita artistica. Si vedano Gigli, Pertile, Bergonzi, Schipa sicuramente tenori autentici che tolti alcuni anni giovanili, rinunciarono al do acuto pieno e "lungo" e anche alle opere di tessitura troppo acuta. La nota elettiva del tenore è il la3, che risulta quasi sempre la più bella, sonora e di effetto, anche il sib3 è quasi sempre molto squillante e penetrante, mentre il si già tende un pochino a perdere di pienezza e rotondità, inizia a "odorare" di sforzo e perde un po' di squillo, ancor più il do, che essendo, comunque, nota miticamente necessaria, viene solitamente raggiunta con qualunque mezzo, ma raramente rimane efficiente per molto tempo. Peraltro la voce di tenore è bella, ricca, squillante, stabile. Non dimentichiamo che il tenore, come tutte le voci, può caratterizzarsi ulteriormente in almeno tre sottocategorie, cioè il leggero, il lirico e il drammatico (o lirico-spinto); poi ovviamente le classi si moltiplicano come i funghi! Il leggero è voce chiara, che affronta facilmente l'ottava acuta (pur non avendo anch'esso facilità nel do), ha ottima agilità, è la più incline al repertorio classico; il lirico è la voce maschile più bella, è particolarmente suadente e caratterizzante il repertorio romantico, soprattutto pucciniano; è anche la più piena e con l'estensione più ampia; il lirico spinto o drammatico è la voce solitamente più corta, con decisa difficoltà sul do4 ma non di rado anche sul si; ha voce tendenzialmente più scura (ma spesso è un effetto creato ad arte), piuttosto potente, con squillo forte e di effetto sugli acuti. Repertorio più tendenzialmente romantico, ma non mancano anche alcuni ruoli in quello classico (Norma, Medea).
Il contraltino è voce di estrema varietà, ci sono voce belle e anche bellissime (Pavarotti), ma solitamente non è così, risente di una certa instabilità e non è ben omogenea. I centri sono sovente piuttosto forti e scuri (tant'è vero che vengono molto frequentemente scambiati per baritoni e non di rado per bassi) e scendono quasi sempre facilmente sotto il do2, anche fino al sol e anche fa1 (pur esangui), e sicuramente salgono ben oltre il do4, solitamente fino al mib4 ma talvolta anche al fa4. Ciò nonostante la voce di contraltino si può presentare molto robusta e potente. Quando è così l'opinione pubblica non accetta la definizione di contraltino. Allora se prendiamo il caso di Merrit, o, più recentemente, di Gregory Kunde; se canta l'Otello di Verdi è un tenore lirico-spinto? E come ha potuto cantare per anni ruoli acutissimi, e ancor oggi come può cantare con facilità invidiabile aria e cabaletta del Tell rossiniano sciorinando 9 o 10 do senza debacle? Certamente non è frequente che un contraltino salga con questa pienezza e rotondità (in effetti Merrit sugli acuti schiariva molto - e steccava pure -). Abbiamo pertanto anche qui i contraltini leggeri, come può essere oggi Florez, come poteva essere Kraus; abbiamo i lirici, come erano Pavarotti e Gianni Raimondi; poi ci sono quelli che definirei "eroici", più che lirico-spinti, come Lauri-Volpi, Filippeschi, Loforese; infine alcuni drammatici come i sovrascritti Kunde e Merrit. Peraltro la voce di contraltino è più soggetta a "incidenti" di intonazione e stecche (anche Pavarotti e Lauri Volpi ne sono stati soggetti), non sempre dovuti a problemi di scarsa perizia vocale, ma dovuti propriamente alla corda lunga che ha più difficoltà a relazionarsi col fiato. Diciamo che in un certo senso è una classe vocale un po' impropria, nel senso che la corda lunga è più propria del basso, dove si relaziona perfettamente e non sottostà a problemi particolari; fisicamente (nel senso della fisica acustica) è evidente che il settore acuto è più proprio delle corde corte (basta vedere la differenza tra violino e contrabbasso, o le corde di un pianoforte o un'arpa), per cui è evidente che è più facile andare incontro a problemi di disomogeneità e intonazione, in quanto la corda ha uno spazio più grande per "centrare" la nota giusta (come nel contrabbasso) ed è molto più facile che avvengano piccoli ma significativi errori. Per lo stesso motivo l'agilità è più difficile. Nella classe dei contraltini, la porzione di corda più esaltata è quella di falsetto-testa. Il contraltino che canta in leggerezza può talvolta schiarire fino ad assumere una vocalità simil femminea (da non confondere però con sopranisti e contraltisti, che non c'entrano). Non è infrequente che con la corda sottile il cantante possa scendere anche nella zona più propria del petto; questo può aiutare nella risoluzione di qualche problema di "salita", come sapeva Lauri Volpi, che, memore delle lezioni di Cotogni, faceva attaccare le note acute e poi scendere senza irrobustire per trovare il "punto d'attacco"; in realtà lui faceva scendere mantenendo la vibrazione della corda di falsetto, per cui risalendo non avvertiva alcuno "scalino". A questo proposito affrontiamo anche la questione del punto di passaggio. In genere il contraltino sale con più naturalezza e tranquillità rispetto al tenore, che si trova quasi sempre più in ambasce! Garcia indicava il fa3 come nota di equilibrio per il tenore e fa#3 per il contraltino. Anch'io trovo che quasi sempre il contraltino si trovi più a suo agio sul fa#. Sicuramente fu un grossolano errore da parte di Lauri Volpi indicare addirittura il sol# come nota di passaggio di questa classe (lui era ben conscio di appartenervi). Il suo errore fu quello di non considerare l'età (credo che disse questo intorno, se non oltre, gli 80 anni); entrando nell'età senile, occorre tener conto dell'ossificazione delle cartilagini, che modifica anche sostanzialmente molti parametri vocali. La voce tende anche marcatamente a schiarire (lo si nota in tutti gli anziani) e di conseguenza anche il punto di passaggio (se continua a sentirsi), tende a salire. Peraltro io consiglio di non cavalcare questa tendenza e anche nelle voci giovani preferisco che l'educazione vocale parta da un equilibrio delle corde basato sul fa3, poi, se si usa buon senso, buon orecchio, morbidezza, sarà la natura a rivelare la nota più appropriata tra le due. Parliamo in chiusura della porzione "testa". Come è noto ai lettori, le modalità di vibrazione delle corde sono solo due, e si fa una certa confusione tra falsetto e testa. Nelle voci maschili dovremmo parlare solo di petto e falsetto, mentre in quelle femminili di petto e falsetto-testa, dove la testa è la continuazione del falsetto oltre il re4, dove scompare la componente petto. Non sono per niente favorevole a identificare un cosiddetto "misto", parola che detesto in campo vocale, mentre ritengo appropriato parlare di gradualità. Ora, la voce di contraltino è in buona parte assimilabile alla voce del contralto femmina, però mentre in quest'ultima l'attacco delle note di testa può essere molto difficoltosa, lo è un po' meno nelle voci maschili, che in genere, per l'appunto, riescono a entrare in quella zona, grazie alle componenti respiratorie e muscolari più marcatamente maschili, e a cantare con buoni risultati almeno fino al mib4. Pavarotti, essendo voce più centrale, credo che non abbia mai emesso in pubblico questa nota, ma re4 sì, e molto spesso anche il reb4; anche Florez credo si sia fermato al re, mentre ce ne sono diversi che si avventurano al fa4, come fu per Matteuzzi, recentemente per Abelo ma anche diversi altri.E' un azzardo sconsigliabile, bisogna avere una grande padronanza del fiato e in ogni caso considerare che lo spoggio è sempre in agguato, e le possibili conseguenze nefaste.
Nel repertorio abbiamo ruoli marcatamente contraltineggianti, come Puritani e diversi ruoli rossiniani, come Otello e Arnoldo del Tell; anche lo Stabat Mater prevede un reb4, ed è pertanto appannaggio di contraltini. Verdi scrisse una variante della parte per Jacopo Foscari per un contraltino, con una cabaletta piuttosto carina che prevede due mib4, che Pavarotti eseguì ma non in voce. Oggi sento molti tenori che si lamentano perché defraudati dai contraltini, che hanno più facilità negli acuti. E' piuttosto vero! Il problema però è dovuto al fatto che mancano i tenori!!! Opere come Andrea Chénier, Cavalleria e quasi l'intero repertorio verdiano e pucciniano, dovrebbero essere quasi esclusivo terreno elettivo dei tenori. Se non ci sono, queste opere non si fanno o vengono affidate a rozzi e generici urlatori, che non offrono certo un bel servizio a questo repertorio.

martedì, giugno 07, 2016

Gli zampognari

Come funziona la zampogna? C'è una sacca (otre) entro cui si soffia dell'aria, che fornisce un "serbatoio". Alla sacca sono attaccate delle canne che servono per produrre i suoni. Per dare fiato alle canne, il musicista deve esercitare una determinata pressione sulla sacca (credo col gomito e parte del braccio) al fine di produrre un suono continuativo omogeneo. Questa è una procedura che, consciamente o inconsciamente, molti mettono in atto per cantare, cioè esercitano una forza a livello toracico o addominale per dare forza all'aria al fine di mettere in produzione i suoni da parte della laringe. E' un peccato non rendersi conto che nel momento in cui si esercita questa forza sull'aria, la laringe si mette a svolgere la sua funzione istintiva, quella valvolare, e tende a chiudere il condotto, quindi ponendo un ostacolo alla fuoriuscita del fiato. Questo spesso porta a un'azione paradossale, cioè siccome creiamo un ostacolo premendo sul fiato, premiamo ancora di più per poterlo superare!! Questo è il risultato peggiore in tante voci che purtroppo si sentono in giro, ed è anche la inconcepibile base dell'affondo. Quando si esercita una pressione sull'aria dal basso, cioè premendo sulla pancia mediante gli addominali, si esercita anche una pressione sotto il diaframma, per cui si fa esattamente l'opposto di ciò che si vorrebbe, cioè si porta al sollevamento del diaframma, quindi allo spoggio. Anche in questo caso si mette in atto un'azione opposta, anch'essa paradossale, cioè si preme o blocca la laringe per tentare, indirettamente, di frenarne la risalita. Tutte azioni tanto assurde quanto controproducenti, se pensiamo che sono l'opposto di ciò che necessita. Noi dobbiamo partire dalla constatazione che per semplici motivazioni fisiche il fiato tende ad uscire da solo, almeno per un po'. Nessuna azione deve essere esercitata in quel frangente in nessuna parte; così (non) facendo la laringe non si oppone e noi possiamo contare su suoni puri. Naturalmente si opporrà il nostro narcisismo che ritiene che senza pressione non si ottengono suoni potenti e voluminosi. Ma non è proprio così. L'obiettivo fondamentale deve essere di produrre suoni puri e SONORI. La sonorità dipende dalla purezza e dalla velocità. Però anche la velocità è "pericolosa", perché se supera i limiti del rapporto che si instaura con la vocale, l'altezza e l'intensità, nuovamente si avrà una chiusura glottica, e quindi siamo da capo. Questi problemi in fase educativa sono ricorrenti, quasi ordinari, perché tutti tendono a spingere, a caricare, a dare colpi, a premere in varie parti, interne ed esterne, quindi è una questione di santissima pazienza e umiltà.

mercoledì, giugno 01, 2016

Distinguere - separare

-premessa: questo post è un po' complesso e vi consiglio di leggerlo lentamente sei o sette volte, magari a pezzi e magari tornando indietro ogni tanto.-
E' fondamentale in ogni approccio artistico far sì che gli elementi in gioco siano distinguibili, ovvero che si acquisisca coscienza di ciascuno di essi, del loro reale e significativo ruolo, senza peraltro dividerli o, peggio, confonderli. Ci deve essere perenne coscienza del tutto in relazione all'elemento e dell'elemento in relazione al tutto. Questa è la base per l'unificazione, sia essa qualcosa da produrre in un processo nuovo, cioè che parta da elementi esterni a noi, sia da mantenere o ritrovare in un processo già esistente ma per alcune cause tende a spezzarsi, a venire meno.
Nel caso della voce, noi abbiamo tre apparati e due fenomeni: la respirazione e il parlato*. Il canto non chiede nulla di più se non una evoluzione di questi due fenomeni, perché si tratta di "allungare" il parlato; la respirazione non ha nativamente le caratteristiche in sé per sostenere questo parlato "lungo" e quindi produrre un canto di elevata qualità, possedendo solo caratteristiche di scambio gassoso e, secondariamente, di azione grossolanamente fisico-meccanica (sforzi e collaborazione muscolare). Se la nostra conoscenza ci spinge verso un canto artistico, il fisico si adopera per accontentarci, ma l'impegno che richiede comporta una (lenta o rapida, ma) inesorabile reazione che determina usura, oppure, nella maggioranza dei casi, una difficoltà o addirittura una quasi impossibilità a produrre canti che superino per tempo, estensione e intensità, limiti anche modesti.
L'insegnante che fa allenare il fiato, lo separa dal tutto. Egli non ha realmente alcuna reale conoscenza (e coscienza) del ruolo del fiato, assegna ad esso esclusivamente una funzione meccanica con un apporto quantitativo. Cioè non riconosce e non sospetta che in questo modo crea confusione tra gli elementi in concorso, cioè tra fiato, produzione sonora (laringe) e articolazione-amplificazione. Metodologie recenti addirittura non prendono in considerazione il fiato, se non marginalmente, occupandosi dei movimenti e delle posizioni di cartilagini, ossa e muscoli. Altre scuole, più vecchie ma non tanto, si sono occupate di posizioni virtuali, di sensazioni, sempre separando e circoscrivendo gli elementi e ignorando i rapporti e le relazioni. Noi dobbiamo avere innanzi tutto concezione che la voce è fiato e basta. Il fiato che in condizioni particolari si può trasformare in voce e ancor più in canto. Questa condizione noi la dobbiamo intendere come una EVOLUZIONE, cioè un'elevazione o promozione significativa della nostra conoscenza [la conoscenza è in realtà già in noi, ma il fisico e la mente razionale che lo governa non la concepisce e tendenzialmente la teme e le si oppone; la disciplina è il mezzo attraverso il quale possiamo creare sinergia e armonia tra la conoscenza e il corpo ignaro]. Se impariamo a cantare "ragionieristicamente" (cioè con un approccio meccanico, razionale, scientifico), ci troveremo a quel livello, anche se siamo appassionati e se ci mettiamo il cuore. Avremo forse successo e potremo anche conquistare un posto in una piccola storia, ma la verità è che non occupiamo un posto nel regno dell'arte, non saremo realmente artisti, anche se qualcuno ci chiamerà così, perché la nostra vocalità non si sarà evoluta in quella direzione. Affinché ciò avvenga noi dobbiamo educare il fiato attraverso la parola e il canto nella direzione di un suo affinamento orientato all'alimentazione canora vocale, ponendoci nelle condizioni di superare le difficoltà che il nostro istinto ci porrà appena si renderà conto che stiamo tentando di modificare un atto e un apparato preposto allo scambio gassoso e una valvola, a strumento musicale e a suo mantice produttore. L'educazione artistica porterà in un tempo difficilmente calcolabile a far sì che fiato e suono, durante l'atto canoro, diventino una cosa sola, ovvero due cose - che per determinate funzioni continuano a rimanere distinte - fuse in un unico fenomeno che si evolve grazie al terzo elemento, cioè la parola, attraverso l'apparato articolatorio che si trova nell'uomo in quanto segno precipuo dell'evoluzione divina e quindi possibile artefice della crescita se noi gli affidiamo il ruolo trainante**; ma anch'esso non può gestirsi a livello casereccio e di strada, ma deve nobilitarsi! L'arte non può essere villana e plebea, ma nobile, nel senso più positivo che si possa riconoscere a questo termine. L'unità fiato-suono ingloba anche la parola nella trinità di un canto esemplare. Distinguere, non separare, non confondere. L'unità porta al silenzio interno, con le inquietudini e i dubbi degli allievi che pensano di perdere la voce fin quando, invece, la sentono sempre più forte esternamente e sempre più riconoscibile e propria. Già: riconoscere. Altra parola distintiva dell'arte. Cantanti con voci quanto più lontane dalla propria, imitazioni, parodie, rumori "belli", intonazioni approssimative. Si considerano belle voci lontanissime da quelle peculiari del soggetto, e gli se ne fa un merito! Ma questo è spesso un male già nell'approccio; non sono pochi gli insegnanti che fin dalle prime lezioni portano gli allievi a modificare sensibilmente la voce, e inducono in loro una sorta di vergogna della propria voce. Questo è anche un modo per conquistare potere sugli allievi, ma anche creare una sorta di dipendenza, perché allontanandoli dalla loro natura semplice, li si mette in una condizione di non poter fare a meno di un insegnante che sa come coltivare quel misterioso "timbro". E' vero che il maestro è indispensabile ma a coltivare la nostra natura umana potenzialmente divina, che non ha segreti e non ha bisogno di tecniche inventate e scientifiche, ma di semplicità e infinita pazienza, buon senso, umiltà e intuizione.

*: potremmo identificare anche un terzo fenomeno, la deglutizione, che coinvolge il terzo apparato, quello articolatorio, che è esclusivamente fisiologico, quindi non coinvolge direttamente il canto e il respiro, ma è comunque da considerare nella sommatoria dei processi che possono avere un'influenza.

** Sintetizzo diversamente questo concetto: l'uomo ha la virtù della parola che è una peculiarità unica, distintiva di una elevazione conoscitiva. Questo ha prodotto anche una evoluzione della laringe, che infatti è diversa per posizione e struttura da quella di altri animali. Il fiato, viceversa, è in sé quello "animale". La parola, pertanto, può e deve diventare motore trainante per produrre evoluzione anche del fiato.