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venerdì, dicembre 08, 2017

Apprezzare

La difficoltà nel raggiungere un risultato artistico di rilievo in ogni campo, è dovuta a una evoluzione parziale dell'uomo, che ha modificato molti dei propri parametri fisici, espressivi e psicologici, tali per cui riesce a fare tutta una serie di cose molto complesse e di notevole qualità, ma non tutte, o completamente, a livello "spontaneo", o naturale, ma solo dietro impegno straordinario in una disciplina atta allo scopo. Quindi molti uomini riescono a fare cose importanti, anche in campo artistico, compreso il canto, che qualcuno indicherebbe come "istintivo" (il che non è corretto) o "sesto senso" (anch'esso non molto corretto), ma senza averne coscienza, quindi controllo. Tra queste cose vi è anche il giudizio o apprezzamento. L'uomo che si discosta dal resto del mondo animale, è in grado di distinguere i contrari, cioè il bello dal brutto, il giusto dall'ingiusto, il male dal bene... almeno così sembra, ma in realtà sempre a un elevato grado di incompletezza, ovvero "istintivo" (che non è). Lo spirito di libertà, o scintilla divina, che in noi alberga, non può palesarsi oltre un determinato grado - in modo soggettivo - in quanto ostacolato dalla forte resistenza della nostra componente fisica e quindi dal controllo realmente istintivo che è deputato al suo controllo, funzionamento e difesa. L'arte è indice di verità e di bellezza; saper vedere il vero e il bello non è concesso in modo consapevole, ma richiede un cammino irto di difficoltà. Si apprezza un bello superficiale, che sicuramente può nascondere il vero e il veramente bello, ma è un approccio intuitivo, da non sottovalutare, ma che non può dichiararsi oggettivo e quindi condivisibile. C'è poi anche una questione relativistica. Se noi guardiamo la natura, osserviamo sprazzi di ambiente che ci tolgono il fiato per la suggestione, l'impatto fortissimo che ci comunicano, altri che non notiamo per niente. Anche su questi noi rivolgiamo spunti critici. Siamo spesso pronti a partire, a fare lunghi viaggi, magari perigliosi, per vedere o rivedere panorami straordinari, e a malapena ci accorgiamo di quanto ci attornia. Perché siamo attratti dal bello, o almeno da un qualcosa che definiamo bello? E' una condizione della stessa conoscenza, che necessita di riconoscersi (altrimenti rimarrebbe fine a sé stessa, dunque inutile e quindi tendente a sparire, il che è impossibile, incoerente), quindi nell'essere più evoluto, l'uomo, inserisce la condizione di saper riconoscere le differenze ed esprimere un giudizio; in questo modo le persone sono attratte dal bello, e seguendo quella strada alcuni, pochi, sono anche curiosi di andare oltre e intravvedere la strada del vero. Anche nel canto abbiamo molte false belle voci, ovvero voci superficialmente belle: voci ricche, fastose, timbrate, opulente, e poche vere belle voci, cioè voci che esprimono il vero. La vera grande e bella voce può anche non apparire particolarmente bella, cioè "edonisticamente" piacevole, almeno al primo impatto, ma quanto porta con sé, la profondità del messaggio che giunge dal nostro cuore o centro emotivo, potrà rivelarsi sempre anche a coloro che poco capiscono o che sono testardamente instradati su gusti più rozzi, superficiali e sensoriali. Ormai tutti coloro che seguono questa scuola sanno fino alla nausea che ciò che permette il raggiungimento di una meta che sfiora il trascendente passa attraverso due condizioni: seguire la parola, quella vera e spontanea che ci permette di esprimere sinceramente dei contenuti, e un'evoluzione respiratoria che consente a quella parola di proiettarsi o elevarsi a canto. La parola, quindi, che noi già possediamo, anche se limitatamente a una condizione comunicativa di relazione sociale, è indispensabile perché, richiedendone un accrescimento qualitativo, provoca l'esigenza di sviluppo respiratorio conseguente, che è appunto la condizione artistica che noi desideriamo. Viceversa oggigiorno la maggior parte degli insegnanti punta unicamente al suono, facendo addirittura un discorso inverso, cioè ritenendo "fastidiosa" la parola che con le differenze che caratterizzano le varie vocali, impedirebbe l'uniformità e l'omogeneità sonora, dunque spesso tenta e tende a accentrare in un suono unico, con scarse sfumature, l'insieme delle vocali. Lo si potrebbe definire un crimine verso le caratteristiche umane e verso l'arte. Questo può creare superficialmente una "bella voce", ma impedisce, per intanto, la fondamentale comunicazione testuale a un livello percettivo profondo, ma anche dal punto di vista vocale il suono senza l'arricchimento delle caratteristiche dell'articolazione verbale non permette il raggiungimento di una vocalità realmente bella. Molte persone, che possiamo tranquillamente definire ignoranti, senza per questo volerle insultare, quando sentono che un cantante pronuncia in modo decisamente chiaro, subito tendono a dire: "eh, ma così sembra che canti musica leggera". In alcuni casi c'è una volontà sminuente, e non si comprendono le vere differenze tra il canto artistico e quello di tipo canzonettistico. Le differenze sono tante, dallo stile alla capacità di farsi sentire in qualunque spazio senza necessità di amplificazione elettronica, all'estensione... ma per quali assurdo motivo un cantante lirico non dovrebbe pronunciare con assoluta perfezione? Ce lo spiega un passaggio successivo: se la parola è troppo accentuata, secondo loro si perde il "timbro lirico". Purtroppo in moltissimi casi quello che si chiama "timbro lirico" è ingolamento bello e buono. Suoni gutturali, senza vita, vibrazioni artificiali, spinte e manovre senza alcun senso che non fanno altro che imbruttire e corrompere ciò che abbiamo potenzialmente di bello, sano, comunicativo, espressivo. Quando mi muovo in auto, sono spesso attratto da alberi cresciuti bene, che hanno una maestosità e una forma meravigliosa (questo specie in autunno inverno quando senza le foglie si nota meglio la struttura); poi resto basito quando in alcuni giardini vedo piante potate con forme bizzarre tipo animali. Ecco, è un po' la stessa cosa nel canto: abbiamo la possibilità di esprimerci con qualcosa che può crescere e svilupparsi in forme meravigliose, ampie, unitarie, gradevoli e portatrici di messaggi a più strati, dai più semplici e superficiali ai più profondi, dolorosi o benèfici, e noi invece di consentire questo meravigliosa possibilità, la deturpiamo con criminali "potature", ovvero manipolazioni laringoiatriche. Se non partiamo dall'apprezzare il semplice, il chiaro, l'elementare, e il filo che lega il prima col dopo, siamo già nell'errore, e dobbiamo tornare indietro, il che non è mai facile, ci vuole uno sforzo non solo di volontà e di studio, ma psicologico. Dovremmo in un certo senso arretrare alla nostra infanzia per escludere o meglio controllare, essendo comunque ormai in un'età in cui certi meccanismi sono scattati, gli interventi dell'ego ci hanno portato a considerare le proprie virtù artistiche, non solo un mezzo spirituale, con quanto consegue, ma un oggetto di esaltazione, in alcuni casi - dietro al successo - anche di possibile esercizio di potere o di dominio. Quindi tornare indietro per attuare il vero artistico, vuol dire rinunciare con tutto il cuore, come suol dirsi, a "mercificare" il proprio dono e metterlo umilmente a disposizione di tutti. In questa prospettiva ecco che si comprenderà il suo vero ruolo comunicativo, e non più quello propagandistico di un sé che non ha poi nulla da propagandare se non un vuoto apparente. Come cantava Petrolini in Gastone, "bello, senza nulla nel cervello"; ecco, quando sento molti cantanti anche famosi, alla fine non posso che concludere con una riflessione analoga: non ho sentito nulla di interessante, un suono dietro al quale non c'era niente.

1 commento:

  1. È quanto mi è successo ultimamente. Cantare insieme ad un soprano.con voce scura ingolata timbrata pessima dizione. Dopo poche battute ha dovuto limitare e quasi azzerare il suo rumore.... erano due voci diverse dove però la mia volava leggera. Brano semplice. Questa è la verità e ormai siamo abituati al rumore!

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