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sabato, dicembre 23, 2017

Su e giù

Scrivendo il post precedente, riflettevo sul fatto che ormai da diverso tempo la teoria vocale della maggior parte dei cantanti e dei didatti si concentra su un'immagine verticale interna, cioè alto basso, e solo raramente sullo scorrimento orizzontale. In alcuni disgraziati casi l'orizzontalità è pensata verso il posteriore. Persino a un bambino credo risulterebbe assurdo ipotizzare che ci sia una relazione tra la voce cantata e lo spazio retrostante (cioè parlo proprio di "dietro di noi", dalla nuca, dalla schiena a retrocedere...). Invece per quasi tutti la questione di un buon "metodo" di studio consiste nel concentrarsi o su pancia, schiena o su testa, occhi, zigomi, naso; in qualche caso su entrambe le zone. Non viene il sospetto che forse la voce dovrebbe correre dal punto in cui si canta verso lo spazio teatrale dove essa dovrebbe trovare l'acustica ove diffondersi, ammesso che ne abbia le caratteristiche intrinseche?. E' giusto che qualcuno metta in guardia questo modo di procedere da possibili spinte, pressioni, schiacciamenti, il che non significa che, dato il pericolo, lo si debba escludere. La nostra scuola insiste su alcuni punti basilari, e cioè che il fiato deve scorrere costantemente, senza interruzioni e senza scatti, senza spinte, schiacciamenti e pressioni. Come l'acqua in un tranquillo torrentello. Altro punto: il canto deve propagarsi con la semplicità del parlato colloquiale tranquillo, quindi, anch'esso, senza pressioni, scatti e forzature. Al parlato istintivo manca, perlopiù, la prima componente, cioè la fluidità e scorrevolezza, perché è più una catena di impulsi, quindi, e in fondo, il canto non si può che considerare come un parlato a cui è stata conferita quella fluidità e scorrevolezza che manca istintivamente. Si obietterà che non basta ciò, ci vuole anche intensità, estensione e altro. E' vero, ma è implicito. Cioè applicando la disciplina per realizzare quel connubio tra parola e fiato, si potenzieranno ed esalteranno tutte le altre componenti. Mi spiego meglio: nel tentativo di conferire alla parola la "lunghezza" dei melismi (diciamo le parti vocalizzate), ci si scontrerà con delle difficoltà, anche piuttosto rilevanti. Queste difficoltà si può cercare di superarle con "tecniche" che in realtà non risolvono il problema, ma lo aggirano, modificando e quindi compromettendone la qualità artistica. Occorre invece migliorare gli aspetti fondamentali della parola, cioè mantenere in ogni momento la sua verità di significato; in questo modo si produrrà un'esigenza respiratoria per poter conservare quella condizione (cioè, è il fiato che ci consente di poter esprimere con verità le nostre parole anche in quelle condizioni dove non siamo abituati a parlare, vale a dire su tutta la nostra estensione e in ogni condizioni di dinamica e di colore - comprendendo in questo anche i cosiddetti registri, che sono solo delle "fratture" della gamma vocale dove il fiato non lavora convenientemente in quanto non ne avverte la necessità). Allora l'immagine dovrebbe essere semplicemente quella di un "tubo vuoto" che parte dai polmoni (diaframma) e si apre all'esterno con la bocca. In questo tubo (anticamente detto "beante") deve poter scorrere senza ostacoli e impedimenti, in modo tranquillo, senza pressioni, il fiato, che a un certo punto diventa suono, ma senza fratture, come l'acqua che a una determinata temperatura diventa vapore. Il canto va pensato ancora più leggero ed evanescente dello stesso fiato.
Ritenere che la voce cantata si muova esclusivamente o prevalentemente su una linea verticale, dal diaframma alla testa, è un errore gravissimo. Si omette di considerare che è proprio grazie della piega che la colonna di fiato-suono assume nello spazio orale, che si può assicurare l'appoggio. Se la colonna potesse realmente proseguire verso la sommità del cranio (il che per fortuna non succede anche se un gran numero di cantanti e didatti lo crede): 1) non si potrebbe avere articolazione; 2) la voce avrebbe una sonorità modestissima, perché il diaframma non incontrerebbe nessuna opposizione alla sua risalita.
Ma occupiamoci di un'altra questione molto frequente: la cosiddetta "caduta del suono". E' vero che nel canto, e in particolare in determinati movimenti musicali, il cantante rischia di "far cadere" il suono, cioè esso perde ricchezza, sonorità, bellezza, ecc. Per la maggior parte dei didatti questa "caduta" è dovuta a uno scarso "sostegno", cioè si ritiene che esso "scenda" di posizione (il che non è del tutto falso) e che quindi vada "tenuto su". Per far ciò si consiglia di chiudere la bocca, di alzare la lingua, di sorridere, ecc. ecc. Sono tecniche, e non si può dire che in assoluto non servano, ma in quanto tecniche, se da un lato possono risolvere parte del problema, ne creano altri. L'errore di fondo è il pensiero "statico". La vera ed efficace soluzione non sta in una tecnica muscolare e fisica, ma nel tener presente che la voce è fiato (quindi dinamica), e il fiato deve sempre scorrere. Se si presta attenzione a questo, il problema si risolve da sé, perché dal momento che c'è scorrimento, il suono rimarrà sempre egualmente ed efficacemente sonoro e omogeneo.

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