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martedì, ottobre 29, 2019

Il tempo fisiologico

C'è una componente temporale in ognuno di noi; in teoria dovrebbe combaciare con quello delle altre persone, ma non è così. Il motivo è di carattere psicofisico, umorale. Il tempo delle persone, in generale, rispetto a una volta, è molto accelerato, perché si è molto alzato il livello dello stress, della fretta, dell'ansia. E' cambiato in funzione del lavoro, delle aspettative delle persone, delle pretese... Anche geograficamente è molto diverso; nei paesi caldi è sempre più lento, pacato, nei paesi freddi molto più rapido. Negli ultimi decenni l'accelerazione sta diventando un fenomeno patologico abbastanza serio. Però non è questo aspetto che noi affrontiamo, bensì quello legato al mondo della musica e del canto. Fattori interiori e fattori esteriori. La percezione interna del tempo influenza, e non poco, anche la percezione del tempo in musica, e quindi (lo avrete già capito), questo è uno dei motivi per cui ultimamente le esecuzioni musicali tendono a essere galoppanti. Dall'altro lato c'è meno comprensione e meno attenzione alle strutture interne, al dipanarsi e al comprendere l'orientamento e quindi la tensione interna dei brani... è difficile capire quanto l'uno sia conseguenza dell'altro o siano due problematiche separate, che però portano allo stesso disastroso risultato. Non si fa più musica. E non si fa più canto. Il canto è doppiamente penalizzato perché c'è la carenza sia dell'aspetto musicale che di quello vocale.
Se il nostro umore, il nostro ritmo vitale, è accelerato, noi faremo fatica ad accettare determinate esecuzioni, perché le percepiremmo lente, e questo perché il nostro stato di tensione è alto; dobbiamo sempre fare cose, sbrigarci, avere e dare risposte e soluzioni. Ma qui sta anche la contraddizione. La tensione ci dovrebbe portare a uno stato di gioia, di entusiasmo, che si dovrebbe raggiungere con lucido controllo (quindi non buttandocisi a rotta di collo), dopodiché dovrebbe subentrare il rilassamento durante il quale si vive ancora per un po' lo stato piacevole procurato. Chi vive in perenne tensione, non può apprezzare un brano musicale, perché mal sopporta i momenti di riflessione, quegli spazi che il compositore deve utilizzare per preparare le "salite" al climax. La tensione interna, il tempo rapido personale, denotano anche stati piuttosto confusi della mente. Occorre riportarsi al proprio tempo fisiologico. Ci sono specifici esercizi per riconquistare, anche in pochi minuti, questo stato, che poi è uno stato piacevole, rilassato, sano. Qualche volta la musica può avere questo potere, ma non è detto; esistono molti brani composti a scopo rilassante. Ad esempio c'è un ampio movimento che da tantissimo tempo chiede l'utilizzo del diapason a 432 hz. Secondo certi studi, questa vibrazione base sarebbe in rapporto con una vibrazione della Terra e quindi anche nostra, perché la situazione più elevata si origina quando cose e persone riescono a vibrare all'unisono. E' un discorso grande e complesso, che non posso affrontare qui, ma invito ad approfondire, che ci si creda o meno, non è da considerare propriamente una sciocchezza.
Dunque c'è tutta una questione legata al tempo interiore. Suggerisco di seguire i video di Mauro Scardovelli, che affronta spesso questo tema anche con pratiche soluzioni per controllarlo.
Ovviamente questo ci interessa anche nel canto sul piano musicale, ma qui subentra maggiormente il problema del tempo esterno, in particolare nello studio. Studiare un brano sembra che consista solo nell'imparare le note. Magari fosse così. Anzi, spesso ho gradito esecuzioni con note sbagliate ma con altri parametri ben esposti. Un'aria, un brano cantato, prima di tutto deve essere un brano COMPRESO! sia dal punto di vista testuale, che musicale. Vuol dire che il testo va letto e compreso lessicalmente. Ricordo che anche io cantavo alcuni brani in assoluta ignoranza e mi è pure capitato di storpiare delle parole (che evidentemente mal comprendevo). Ho letto che il tenore Ferruccio Tagliavini quando impartiva lezioni, prima di ascoltare l'esecuzione voleva che l'allievo recitasse il testo. Ovviamente la maggior parte si bloccava o si impappinava, perché se non c'è la musica quasi nessuno ricorda il testo. Ma anche così è troppo poco! Non c'è solo da sapere il testo, esso va RECITATO! ricordo che nella scala evolutiva vocale la progressione è: parlato, parlato modulato (giusti accenti, ritmo, tempo, registri espressivi...), parlato recitato (attore di teatro), canto. Quindi se si vuole raggiungere un alto livello, non si devono saltare i passaggi! Uno dei punti chiave dei corsi di dizione e recitazione è IL TEMPO. Cioè? Voi provate a far leggere dei ragazzi. In genere corrono come gazzelle, non si capisce niente, e non capiscono niente di quanto leggono. Il brutto è che gli insegnanti si limitano a non far leggere quelli che non sanno leggere (anche perché in genere gli insegnanti non sanno insegnare a leggere, così come quelli che insegnano musica si limitano a non far cantare quelli che ritengono stonati, creando danni enormi a causa della loro incapacità e insensibilità). Quindi la funzione temporale, nella lettura come nella musica, è far sì che chi ascolta riesca a mettere in relazione le varie parti del discorso per riuscire a fare di tutto un'unità. Questa cosa può sembrare persino elementare, ma non si considerano mai le variabili e le infinite implicazioni interne. Se voi doveste leggere un normale articolo di giornale, o un libro di svago, potete farlo anche molto rapidamente... potreste persino saltare delle parole o intere frasi, e la comprensione alla fine è quasi sicuro che ci sarà lo stesso. Viceversa leggere dei testi artistici, delle poesie, richiede un tempo a volte enorme, perché in poche parole possono essere contenuti pensieri profondi e che richiamano altri pensieri, e tutto questo richiede tantissimo tempo per essere sviluppato, e a volte non c'è tempo di lettura che basti; bisogna fermarsi a meditare, rileggere più volte, fino a quando si sarà esaurito il processo cognitivo. Quando sentite un grandissimo attore leggere determinati testi, vi si svelerà proprio quel concetto profondo che voi invano avete cercato. Negli anni ho sentito più volte in televisione affrontare La Divina Commedia. In genere ci sono lunghissime spiegazioni, poi qualcuno che recita. Beh, le spiegazioni possono essere molto interessanti perché ci narrano aspetti storici dei tempi di Dante, però l'arte non può esaurirsi e nemmeno puntare a racconti di un contesto storico, ma devono trasmettere ben altro, come sappiamo, per cui ciò che l'autore scrive di contestuale, è un mezzo, un artificio per far passare qualcosa di molto più sottile e utile al nostro spirito, altrimenti rimarrebbe un esercizio retorico. Ed è in genere ciò che fa la scuola, non consentendo di amare niente, ma addirittura di odiare le cose più belle e gioiose che siano state create. Colui che vuole cantare sul serio, dovrebbe porsi in questo atteggiamento realmente professionale (che non significa avere il libretto dell'enpals), cioè scandagliare il testo, capire dove mettere e dove togliere gli accenti (Gloriàààààà), dove crescere e dove diminuire, con quale tempo affrontare il brano, ecc. ecc. Se si pensa che si abbia tanto da trasmettere, se ci si commuove ogni volta che si affronta un brano perché si è sensibili e si è convinti che questo sia "trasmettere", si è sul binario sbagliato ed è bene saltare rapidamente su quello giusto, che è quello di scegliere il TEMPO GIUSTO. Il tempo giusto esterno è smontare un brano, leggere il testo, comprenderlo, recitarlo fermandosi ogni volta che qualcosa non è chiaro, leggerlo a qualcuno per avere riscontro se è ben comprensibile e piacevole da ascoltare, registrarsi; imparare le note, studiare i passi difficili a pezzettini, non imparare dai dischi, capire la forma del brano, dove aumenta la tensione e dove cala, individuare il punto di massima tensione, verso il quale occorrerà studiare il modo di viverlo e farlo vivere; cantare badando in primo luogo a non perdere i criteri della lettura e della recitazione che si sono evidenziati prima. Questo è uno studio artistico. Cantare per soddisfare il proprio piacere di cantare è un modo dilettantesco, che può andare benissimo se si mira a quello, cioè passare un po' di tempo senza impegnarsi, senza stancarsi, magari avendo in testa di avere del "talento" e quindi che si ha "tanto da dare", e che lo studio alla fin fine è aria fritta. Purtroppo anche questo non è del tutto falso, se si cade in mano a insegnanti che realmente fanno accademia e non hanno neanche le basi elementari di un approccio artistico. Nel prossimo post affronterò ancora aspetti dello studio.

mercoledì, ottobre 23, 2019

il dubbio

Si sente spesso dire: "invidio coloro che hanno certezze, io ho sempre dubbi". E' un atteggiamento, una posa, che suscita condivisione, persino ammirazione, e fa il paio con quelli che stigmatizzano chi ha "la verità in tasca". Da cosa si originano queste frasi? Sono frasi fatte, facili repliche in assenza di argomenti. Uno crede di togliersela facilmente pensando di aver messo con le spalle al muro qualcuno che si sentirà scoperto. A volte può anche funzionare. Dopo aver pronunciato una di queste frasi solitamente la discussione o termina o diventa tumultuosa, ma in ogni modo poco fruttuosa, perché chi la pronuncia non vuole mostrare la propria debolezza o carenza. Sono sempre manifestazioni dell'ego, che deve sempre far sì che si abbia l'ultima parola, che non si mostrino le proprie deficienze culturali e conoscitive. Anche dare del "presuntuoso" nasconde un non indifferente egocentrismo, perché per fare tale asserzione occorre porsi su un piedistallo, su una posizione più elevata, ovvero avere maggiori dati da esibire. Invece solitamente viene utilizzata da persone che su una data questione ne sanno ben poco.
Quando si è molto giovani e si manifesta una passione, un forte interesse verso una data materia, si fanno ricerche, ci si documenta e si cercano persone che possano aiutarci ad approfondire. Diciamo insegnanti o maestri. Chi cerca ha dubbi, e si mette nelle mani di chi dovrebbe risolverli. Se ritiene che l'insegnante abbia dei dubbi, si trova, evidentemente, nel posto sbagliato! Può accadere che la situazione non consenta di avere di meglio, quindi ci si accontenta, ma certo non si potranno fare grandi progressi, anche se ci fosse un errore di valutazione, cioè quell'insegnante poi fosse realmente valido; ma se l'allievo ha dei dubbi in merito, ci saranno resistenze difficili da superare, a meno che a un certo punto non cambi idea. Viceversa un determinato atteggiamento o una particolare abilità verbale, spesso ci fanno apparire delle persone come la quintessenza della competenza. Succede molto in campo politico, ma questo fa anche parte del loro lavoro. Viceversa in campo culturale e soprattutto artistico, la competenza si rivela nel fare e nel modo di illustrare quel fare.
Partiamo però da un dato di fatto, che forse a molti non è chiaro: ciascuno di noi quando fa un'asserzione, manifesta una "propria" verità. "Quella cosa è brutta!", "quel tizio canta male!", "Caio non sa niente!", ecc., rivelano un convincimento assoluto, poco incline a essere messo in discussione. Solo una persona a cui viene attribuita una conoscenza superiore può creare dubbi su di sè, ma raramente ben accetti, perché vanno a incrinare l'ego, e questo può creare grossi problemi di sicurezza psicologica, che possono portare a conseguenze anche molto gravi. L'ego è il detentore della nostra verità. Il fatto stesso che parlare di verità metta in imbarazzo quasi tutti, è il segno che c'è qualcosa in noi che non vuole confrontarsi con questo argomento, che può mettere in discussione le nostre convinzioni. Per l'appunto, convinzioni. Essere convinti di una cosa non è "saperla", ma solo aver deciso che è così. Allora in questo senso le frasi citate in premessa prendono forza; se tu sei convinto di una certa cosa, ma non hai seri argomenti di sostegno, ecco che diventa una "verità in tasca", una presunzione e una certezza a priori. Nel campo dell'arte, tutto ciò risulta ancor più instabile, perché si entra in un campo dove le certezze sono molto più labili, non basandosi su attività umane indispensabili e basate su molti dati oggettivi. Il cervello umano funziona per definizioni. Ha la necessità di catalogare in base a etichette, che ripone nei propri archivi. Laddove manca la definizione o dove è molto generica, egli vacilla, non sapendo a cosa aggrapparsi. Non solo è difficile definire l'arte e le varie arti, ma è controproducente, perché la loro è un'essenza "fluida" che sfugge alla staticità e certezza della definizione. Questo d'altro canto, è l'arma buona per far passare qualunque cosa per arte, non essendoci una definizione che ne limiti l'area di pertinenza. Il problema di fondo è che tutto ciò rientra in quel campo della conoscenza superiore e della verità oggettiva che ci spaventa e ci fa allontanare come da un pericolo. E in effetti si entra in un universo dove tutte le nostre certezze vacillano, quindi si deve essere pronti a rinunciare al nostro ego, che del resto è l'unica strada per conquistare un'arte, è l'unico modo per potersi confrontare con la nostra coscienza e poter realmente intravedere e conquistare una verità oggettiva e compiutamente un'arte.

lunedì, ottobre 21, 2019

Il virilismo

La questione del "virilismo" ha invaso, non poco e non di recente, il mondo dell'opera e del canto. Questa tematica è andata di pari passo con l'emancipazione femminile, ma anche con le contraddizioni del nostro tempo. Il tutto possiamo dire che abbia inizio nel primo 900. Il futurismo e le filosofie del periodo, compreso l'interventismo verso la Prima Guerra Mondiale, sono molto tese verso una visione virile dell'uomo e della società. Soldati con armi in pugno, treni e macchine in continua evoluzione che vengono esaltate dalla poesie e dalle arti futuriste, sono il segno più evidente di questa tendenza. Musicalmente (e letterariamente) abbiamo il Naturalismo e il Verismo, dove si raccontano fatti della realtà più cruda. Personaggi come Canio e Turiddu sono la rappresentazione più evidente del "machismo". Nasce quindi la necessità di una vocalità adeguata. Caruso, con la sua voce brunita, viene a rappresentare il primo caso di un tenore verista, cioè una voce di colore baritonale senza rinunciare al settore acuto, a cui non si rinuncia perché rappresenta sempre il simbolo della vittoria, della superiorità (a questo, per la verità, si accompagna anche una perdita del fraseggio musicale per esaltare l'accentazione declamatoria). Ma il lento ma inesorabile progresso dell'emancipazione femminile non è da sottovalutare, per cui ai soprani di coloratura si sostituisce sempre di più il soprano drammatico e il mezzosoprano, tant'è vero che in quasi tutte le opere del periodo la protagonista è quasi sempre un soprano centrale, non di rado propriamente mezzosoprano, perché voci più vicine alla realtà e al tipo di voce che rappresenta il potere, il dominio. La produzione musicale operistica, però, va lentamente spegnendosi. Prende piede una maggiore tematica sociale, e le voci tradizionali vengono un po' messe da parte; il baritono è maggiormente protagonista (Wozzeck, Ulisse...), poi bassi e mezzosoprani, che hanno ruoli più narrativi. Si consolida e intensifica il repertorio classico, per cui le questioni si spostano interamente sul canto, quindi anche le opere meno recenti vengono rivisitate sul piano vocale. Opere come Norma e Guglielmo Tell, sono ripensate soprattutto per un tenore "virile". Mario del Monaco, più ancora di Caruso, anche per convinzione personale, viene a impersonare il mito del tenore "maschio", mentre i tenori leggeri vengono emarginati al poco repertorio residuo dove questi sono indispensabili, come le opere buffe o i ruoli caratteristici, dove la voce querula (come l'imperatore Altoum nella Turandot, il rivendugliolo della Forza del destino), li ridicolizza, come il loro stesso repertorio. Oggi può sembrare assurdo che un tenore come Pavarotti non sia stato subito salutato come un astro luminoso. La sua voce argentina e squillante che adesso ci pare normalissima in opere come il Ballo in maschera o Turandot, tra gli anni 60 e 70 destava molte perplessità, accompagnate dai commenti dello stesso Del Monaco o di critici e appassionati, ormai consolidati nella tradizione delle voci virili, per non parlare di opere come Cavalleria, Pagliacci o Otello, dove quest'ultima ancora oggigiorno con difficoltà viene accolta da voci che non siano paragonabili a quella delmonachiana. Eppure la realtà non è quella; Tamagno aveva voce chiara e squillante, niente a che vedere con i "baritoni lunghi" cui è stata affidato quasi sempre il ruolo, persino da Toscanini. Per non allontanarsi dal "feticcio" della voce maschia, si insinua e prende sempre più piede la vocalità "affondata" e ingolata. Sono le voci più fisiche che si possano produrre, cioè le più lontane dalla voce sul fiato di belcantistica cultura, che è stata la culla anche delle voci più potenti e squillanti della Storia, ma oggi questo non lo si comprende. La fatica e lo sforzo che occorrono per produrre un suono scuro e sonoro, al limite del sacrificio, appagano un vasto pubblico, che li saluta quasi come eroi, come pompieri, che non per nulla rappresentano proprio il mito dei nostri giorni (giustamente), ma non solo e non tanto per il meraviglioso lavoro umano che compiono, ma per come lo compiono, cioè sfidando la morte. I nostri cantanti (parlo molto del tenore, perché sicuramente è quello che meglio rappresenta il tema, ma lo stesso percorso ha anche animato baritoni bassi e le altre classi vocali) sono glorificati se non fanno troppe mezzevoci (segno di mollezza), se mantengono il più possibile verso l'acuto quel colore oscuro e pieno di timbro "inchiostroso" (gola).
Ma ecco che, nella logica delle contraddizioni che ci animano, a un certo punto avviene il recupero del repertorio belcantistico e delle voci che lo rappresentano, quindi soprani, tenori e bassi con acuti facili e agilità virtuosistiche. Lo consente una modificazione anatomica, antropologica oso dire, dovuta ai radicali cambi di stile di vita. L'uomo è sempre meno sottoposto a lavori duri, pesanti; ci sono sempre più macchine per quelli, si lavora meno in generale, e questo porta a un assottigliamento e allungamento delle pareti muscolari. Tutto, nel corpo umano, tende a diventare più lungo, leggero e sottile, e questo porta più facilmente a suoni chiari e acuti. Si presentano quindi più frequentemente contraltini che bassi, tenori leggeri e soprani di coloratura. Ma si va anche oltre. Si recupera un repertorio ancora più antico, dove furoreggiavano i castrati, ed ecco sorgere pletore di controtenori, all'insegna del mito opposto al tenore dalla voce maschia. E oggi ci troviamo proprio a vivere questo doppio aspetto dell'opera: Haendel e Mascagni, Rossini e Puccini. Purtroppo non all'insegna di una diversità musicale, da far rivivere nella loro ricchezza, ma in una competizione, che è il vero disastroso segno dei nostri tempi.

mercoledì, ottobre 16, 2019

Del gridare

Le corde vocali oppongono un certo grado di resistenza al passaggio del fiato, in relazione alla loro tensione, al grado di accollatura, spessore, ecc. Questa occlusione non è la stessa (o non dovrebbe esserlo) se la motivazione della loro chiusura è di tipo valvolare o relazionale o di altri tipi (e vedremo quali). La laringe è fisiologicamente parlando una valvola, che si relaziona con l'apparato respiratorio per moderare l'afflusso di aria soprattutto in uscita, per gestire la deglutizione, per gestire la pressione pneumofonica, e altre situazioni in cui è coinvolto il fiato.L'area del cervello dedicata, regola la tensione delle c.v. in base alle motivazioni per cui esse sono chiuse. Se la chiusura riguarda uno sforzo che il soggetto sta compiendo o sta per compiere, essa sarà molto energica, i muscoli intrinseci saranno estremamente contratti con l'obiettivo di impedire al massimo livello di far uscire l'aria, in quanto essa serve per creare una forte pressione che si riverbererà sul diaframma e sui polmoni onde creare una sorta di "pallone" che aiuterà la muscolatura del torso a sostenere questo sforzo. E' la condizione più antivocale che possa esistere, anche se purtroppo, per il fatto che c'è un rilevante impegno diaframmatico, alcune scuole lo utilizzano senza rendersi conto di quanto sia pericoloso e contrario a ogni buon senso artistico.
Il tipo relazionale è quello del parlato colloquiale tranquillo, che è la condizione più equilibrata.
Un altro tipo è la situazione dell'alterazione della normalità, che può riguardare: l'essere in pericolo, l'essere irritati, arrabbiati fino all'ira, l'essere in collera, l'essere piangenti addolorati, sofferenti, ecc. In queste situazioni potremmo dire che l'apparato si trova in una condizione intermedia, cioè è prevista dall'istinto, quindi non avversata, ma per produrre un tipo di voce utile allo scopo, è necessario uno sforzo che non riprodurrà propriamente la condizione valvolare, ma ci andrà piuttosto vicino, con una forte adduzione, per cui questa condizione non dovrebbe protrarsi per troppo tempo.
Un altro tipo, che ci interessa più da vicino, è il canto lirico. Come ho scritto decine di volte, il nostro istinto non riconosce il canto come qualcosa di utile alla vita dell'uomo, e non riconosce quindi una condizione da consentire come nel caso del tipo relazionale (parlato), in quanto vi è una richiesta di pressione e di tensione molto elevata (per ottenere suoni forti e di ampia estensione), per cui più facilmente interpreta questa richiesta come valvolare, cioè come per compiere uno sforzo. Ed è ciò che solitamente avviene soprattutto con chi inizia a cantare e lo fa senza troppa cognizione, senza una disciplina di tipo artistico, ma meccanica. Se non si entra in un percorso virtuoso, la vita del cantante sarà sempre angustiata da una lotta tra la propria volontà di cantare e la resistenza del corpo che non arriverà mai a capire, ad acquisire coscienza, di cosa sia il canto artistico, per cui ci sarà un periodo di apparente tregua, in cui si sfrutterà la tolleranza dell'istinto, la gagliardia fisica giovanile, che già richiedono costante allenamento per essere mantenute, dopodiché anche con questo mezzo si dovranno cominciare a praticare compromessi, mettendo sempre più in mostra limiti e difetti. Per altro anche nella fase precedente ci saranno sempre difetti più o meno evidenti perché comunque ci si trova in una situazione di perenne opposizione, che non consente e non può consentire la piena libertà, per non parlare di coscienza, che è un miraggio. Dunque occorre una terza condizione, che chiameremo di "senso vocale artistico", in cui ci si trovi come nella situazione "relazionale", cioè come nel parlato, pur chiedendo prestazioni molto superiori. Questo è ciò che sto cercando di spiegare nei quasi 900 post di questo blog e nelle mie lezioni, e non proseguo qui, se no non arrivo al nocciolo di questo specifico post.
Ho detto all'inizio che le corde vocali si oppongono al passaggio dell'aria in base alla tensione che viene loro comunicata da uno stimolo nervoso in base all'esigenza. Se l'esigenza è parlare, esse si addurranno al minimo, opponendosi quasi per niente al passaggio dell'aria, per cui manterranno un'ampia elasticità e morbidezza. Questa dovrebbe essere la stessa condizione da presentare per cantare. Purtroppo non è per nulla facile, perché il fatto di voler cantare "liricamente", per stereotipia, pone una condizione psicologica particolare (potrei anche dire esaltata), in cui siamo orientati a spingere, ad alzare l'intensità e ad utilizzare frequentemente la parte più acuta della voce. La parte acuta della voce, che istintivamente è divisa dalla parte centrale anche da un punto di vista meccanico, è quella che l'istinto ci riserva per situazioni anomale, come ho descritto poco sopra, cioè quando si è in uno stato di pericolo, quando si è alterati, quando si è in una posizione autoritaria, ecc. (si pensi al classico caporale militare che addestra la truppa). Però bisogna specificare meglio: il grido si può originare in diverse parti della gamma voce. Se il grido è legato a una richiesta di aiuto, oppure se si lanciano gemiti di dolore, più facilmente si utilizzerà la parte più acuta della gamma, che è molto penetrante e viaggia più lontana, quella che suol definirsi falsetto-testa, più o meno intensamente. Viceversa se il grido è autoritario, se si vuole spaventare un avversario o umiliarlo, ridurlo all'impotenza, o situazioni analoghe in cui si vuole esercitare una condizione di superiorità, si utilizzerà più facilmente il registro detto di petto, sempre in una zona molto acuta, ma decisamente impropria, però efficace, che può arrivare a danneggiare l'apparato stesso, se protratto per molto tempo. Questo perché la pressione sottoglottica è decisamente squilibrata. Dunque, cerco di illustrare al meglio la situazione: quando il fiato ha la forza (o pressione) minima per mettere in vibrazione le c.v., esse produrranno un SUONO vocale. Con i veri suoni, si può perfettamente intonare, quindi si può cantare, e si possono articolare fonemi, quindi pronunciare, parlare con o senza intonazione. Questo è più facile nella zona centrale della voce, dove si parla abitualmente, ma molto più difficile quando si sale, dove non siamo abituati a parlare ma a gridare. Pertanto siamo portati a spingere e quindi a entrare nella condizione grido. Quando la pressione dell'aria (attenzione: non la quantità, ma la qualità dell'aria, cioè la spinta o pressione!) supera quella giusto necessaria alla vibrazione delle c.v. in relazione all'altezza della nota e al suo colore e intensità, quindi non è rapportata, si entra nella condizione grido. Cosa succede, ancor più esattamente? che perdendosi questo rapporto, si avrà un quantitativo d'aria con una elevata pressione che preme sotto le corde (p. sottoglottica). Questa pressione che investe tutta la laringe impedisce alle c.v. di vibrare in modo perfetto, per cui non possiamo più parlare realmente di suono vocale, perché l'eccesso di vibrazione produce in realtà un RUMORE, che in parte genererà un suono, non perfettamente relazionato, in parte farà "sbattere" le corde producendo rumore o diversi rumori, a seconda di quanto si è fuori dal rapporto. Il grido non permette facilmente di articolare le parole ed è per questo che negli acuti solitamente, specie in campo femminile, dove si è un'ottava sopra rispetto ai maschi, non si comprende niente della pronuncia. Purtroppo però possiamo dire che oggi in una percentuale molto elevata di cantanti in carriera, in quasi tutta la gamma vocale si tende a gridare, ed è per questo che non si capisce più niente della pronuncia. Pertanto ribadisco che la strada più corretta riguarda proprio la volontà di parlare. Se si cerca di articolare e di dire con intenzione, con sincerità e contestualizzando ciò che si vuole (o deve), l'istinto si orienterà nella condizione del primo tipo, cioè in quella relazionale, per cui le c.v. si disporranno in una posizione elastica, morbida, non oppositiva, e relazionandosi con un fiato di modesta pressione (e quindi ecco il prezioso consiglio di cantare piano, pianissimo, in falsetto e falsettino, sussurrando, ecc.). Seguendo questa strada, ci si indirizzerà verso una sempre maggiore fluidità del fiato.
Il grido, per sua natura, è brutto, aspro, irritante, ed è giusto che sia così perché deve richiamare l'attenzione, incutere fastidio, quindi in nessun tipo di canto artistico, esclusi occasionali necessità espressive, sempre da usarsi con il massimo della parsimonia, vi si deve far ricorso. Purtroppo invece io sento cantanti che non sanno utilizzare il registro acuto se non urlando. Tutti dovrebbero rendersi conto di quando un cantante grida, e invece oggi le grida piacciono a molti, anche presunti competenti e insegnanti.
Ancora una cosa: se si impara a non spingere, quindi a lasciare fluire il fiato e far sì che le c.v. si trovino in uno stato di elasticità, morbidezza e "sottigliezza", la gamma possibile di ogni sfumatura, colore, dinamica è enorme; se si entra nella logica della spinta, anche minima, cioè in quella condizione per cui c'è più fiato di quanto le corde richiedano, quindi del grido, la laringe e le c.v. in particolare dovranno adeguarsi a contenere questa spinta, quindi si svilupperà una muscolatura di contenimento. Questo significa che perderanno proporzionalmente elasticità, sottigliezza e morbidezza. Quanti utilizzano una situazione da sforzo, avranno corde da "culturisti", ammesso che la loro condizione fisica lo permetta, cioè che non ceda prima di raggiungere quella condizione, e questo è antivocale. E' come se su un violino si volessero montare corde da contrabbasso per poter reggere una pressione dell'arco molte volte superiore a quella necessaria ordinariamente per suonare le normali corde da violino; spero di aver compiutamente spiegato la situazione.

sabato, ottobre 05, 2019

C'est plus facile...

In un film documentario biografico, il m° Celibidache a un certo punto, durante un corso di direzione, ferma un allievo e dice, grossomodo: "perché tutta questa fatica, guarda:" e dirige l'orchestra ruotando banalmente un dito. In altre interviste dice: "Vengono qui, quindici giorni, un mese, pensano di aver capito tutto e cercano di far carriera: io in quel tempo riesco a malapena a far capire cosa NON bisogna fare". L'unica differenza tra la direzione d'orchestra e il canto artistico è che la direzione d'orchestra i più pensano che non vada nemmeno studiata, o, appunto, giusto un mesetto, mentre il canto si sa che richiede qualche anno. Ma la questione di fondo sta proprio in quella frasetta "perché tutta questa fatica"? Stavo guardando poco fa un post su facebook dove si glorifica un celebre tenore che è andato alla casa di riposo Verdi di Milano con i suoi allievi di una masterclass. Al termine anche lui si unisce in un "nessun dorma". Inizia il video e io lo spengo subito. Il motivo si sarà capito: un fiume di gola. Poche settimane fa ho involontariamente visto su rai 5 un concerto di gala alla Scala con alcuni dei più celebri cantanti del momento, e accanto a un corretto Florez, stava un tenore ben più famoso, che gode di tanta fama usando bistecche di faringe.
Il canto di gola non è solo sgradevole (ma se poi subentra l'abitudine acustica che... va bene così...)  è proprio sbagliato, non artistico. La voce di gola non corre, non si espande, non consente molte sfumature espressive. Quindi perché possa funzionare al "minimo sindacale", deve essere molto forte, quindi o in corpo a una persona con notevoli doti fisiche, oppure amplificato artificialmente. Meglio se tutte e due le cose. L'arte è la capacità di svolgere un'attività spirituale arrivando al limite delle capacità umane. Quindi è possibile, ce lo hanno mostrato e insegnato tanti cantanti del passato, far sì che una voce qualsiasi possa essere udita in uno spazio teatrale con tutte le sfumature espressive che questa esige, e quindi possa essere portatrice del messaggio in essa insito. Ma chi ha voglia e sente l'urgenza di raggiungere quel risultato sa e deve sapere che non solo richiede molto tempo, ma anche molto sacrificio, pazienza, perché è un risultato che trascende la normalità, intesa come "tecnica". La tecnica, anche quella molto buona, raggiunge un risultato "accomodato", cioè sfrutta quella tolleranza che l'istinto consente entro certi limiti. Allora "perché tutta questa fatica"? Se al pubblico va bene un canto ingolato, forzato, inespressivo, duro, inarticolato, aspro, perché impiegare le nostre migliori energie per ottenere purezza, eleganza, omogeneità (vera), recitazione, espressione, sostanza di contenuti...? Basta un fisico un po' robusto e, meglio ancora, un buon microfono... A maggior scorno, proprio perché il pubblico (ah, no, non solo il pubblico, ma molti "esperti") ha sempre più le orecchie foderate, chi canta in purezza spesso viene deriso e criticato o, nel migliore dei casi, indicato come "voce d'altri tempi, inattuale". Si salvano più facilmente i tenori, perché oggi avere un tenore che affronta il registro acuto con brillantezza è un fatto raro, quindi bisogna accettarlo. Ciò che poi mi lascia perplesso è che ci sono una miriade di siti che diffondono registrazioni antiche, e spesso anche sui social ogni tanto inseriscono qualche vecchia incisione di artisti delle prime decadi del 900, ed è tutto un pullulare di "ahhh", "ohhh", "che meraviglia", "che stile", "che piacere sentire cantare così, oggi non c'è più nessuno..." ... ma poi si esaltano veri violentatori della voce e del canto, supportati da insegnanti che inventano le cose più stravaganti per cercare di far cantare i poveri allievi, quando l'essenza del canto è la semplicità, la piccolezza, la linearità. Ma quanti riescono a cogliere che il canto è un flusso espiratorio continuo? Tutti a dar botte, a spingere come arieti alla carica, a cercare di "costruire" ciò che potenzialmente c'è già e inibendo in realtà il giusto flusso. Bisogna comprendere che ogni volta che si mette in azione volontariamente o per reazione la struttura fisica degli apparati, quindi laringe, faringe, lingua, ecc., si blocca il fiato, quindi ci si allontana sempre di più dal corretto funzionamento vocale, dal canto sul fiato, da tutti proclamato e da nessuno raggiunto. Chi parla di muscoli, e più o meno tutti lo fanno, si è già posto sulla strada sbagliata. Voler imporre e voler dominare parti del nostro corpo per cantare è già di per sé un'idea assurda, un ossimoro! Come si può imporre la libertà? L'arte è libertà, il raggiungimento di un ideale potenziale in ognuno di noi, possibile a patto di scioglierlo dai legami imposti dai limiti muscolari e mentali. Questo è il lavoro veramente massacrante, non imporre, non forzare il nostro organismo a fare ciò che noi pensiamo sia meglio (ovviamente una pia illusione), ma permettergli di sviluppare ciò che è già contenuto in esso. Ogni muscolo, ogni articolazione fisica tesa, rappresenta un ostacolo, un impedimento. Solo con la rilassatezza si può raggiungere la libertà. Ma dobbiamo fare i conti con una reazione che ci pone difficoltà in questo percorso, perché manca la consapevolezza, e la conoscenza razionale, scientifica, ci porta su una strada che è più in contraddizione che a favore di quanto vorremmo fare. Sono pochi, ad es., i riferimenti al fatto che la laringe è una "valvola", cioè ha un ruolo, una funzione istintiva e fondamentale come organo fisiologico. Ma detto ciò, si pensa che si possa far sì che essa possa diventare uno strumento musicale semplicemente con una "tecnica"? (quale poi non saprei dire e non credo nessuno sappia dire). Ho letto molti libri anche di foniatri e insegnanti esperti di anatomia e fisiologia. Bene, ho intravisto negli scritti delle intuizioni interessanti, un avvicinamento al problema... ma la cosa è finita lì, non si è arrivati a proporre soluzioni davvero efficaci, ma questo dipende dal fatto che c'è da fare un salto, non indifferente. Per capire veramente a fondo il problema bisogna entrare nell'ambito gnoseologico (diciamo filosofico, per intenderci più semplicemente). Se non si riflette in chiave di un pensiero più profondo e più ampio, e si rimane sulle "tecnicucce", si va poco lontano. Ma chi si avvicina al canto o anche allo studio di uno strumento, non vuole sentire parlare di queste cose, in genere, le ritiene "fumosità" o peggio, le ritiene argomentazioni da "setta", e quindi non solo rifiuta, ma attacca, anche pesantemente. E' comprensibile. Come ho già più volte detto e scritto, ognuno è spinto dalla propria esigenza spirituale; chi si sente portato ad approfondire, potrà farlo, e quindi siamo qui per offrire uno spiraglio a coloro che si sentono di navigare nelle tenebre; per gli altri... ci sono tante scuole di canto tecnico che li aspettano.

giovedì, ottobre 03, 2019

Profondità

Sentendo cantare le ultime generazioni, si avverte spessissimo che al suono si vuol dare una profondità, intesa come ampiezza interna. Sono i frequenti consigli ad "allargare la gola" se non addirittura a tirare indietro (ho sentito io stesso più d'un insegnante dire di tirare indietro come tendere l'arco per scoccare la freccia. Ci rendiamo conto!!?), oppure dare spazio, ampiezza interna, che creano questa condizione tutt'altro che positiva. La voce cantata correttamente si deve generare fuori e non deve dare questa sensazione di retro-allargamento, di incavernamento interno. Queste sono induzioni fisiche che modificano e distorcono la voce e la tolgono dal giusto percorso respiratorio. Deve solo esserci il canto puro e semplice; il fisico, gola, collo, nuca, ecc. devono essere e restare rilassati. Questo non significa che la gola non debba essere ampia, ma questo è un compito del fiato che non si avverte nella voce perché il fisico non partecipa (e non deve partecipare) attivamente. Ascoltate i cantanti che registravano cent'anni fa, e, in genere, ascolterete voci pulite e pure che "parlavano" e salivano e scendevano con facilità senza strani giri interni, senza allargamenti e retroflessioni. Si canta come si recita, su una linea musicale. All'orecchio dei cantanti e insegnanti odierni quella mancanza di "incavernamento" suonerà forse troppo semplice, "piatto"ma senza alternative se si tornasse ad ascoltare con sincerità e purezza.