Translate

domenica, ottobre 20, 2024

L'A sguaiata e l'oscuramento

 Stavo ascoltando un vecchio filmato di Luciano Pavarotti che spiega ed esemplifica che facendo una A e portandola verso gli acuti, diventa sguaiata (cosiddetto suono aperto), sicché la rifà facendo un leggero oscuramento, per cui quella A non diventa più sguaiata. Però, aggiungo io, non è neanche più A, ovvero perde brillantezza, armonici, verità. Gli acuti di diversi cantanti del passato (ad es. Tamagno), erano veri, e piacevoli. Dunque? 

La verità sta in quanto ho scritto più e più volte! Se la vocale nasce internamente nelle frequenze centrali, man mano che viene spostata verso l'acuto, tende a verticalizzarsi e a portarsi verso il grido, Oscurandola, si porta più verso la parte anteriore del palato, diventando più morbida. Ma se la A, come qualunque altra vocale, nasce esternamente, quindi alimentata dalla giusta respirazione, non ha alcuna necessità di oscuramento, resta omogenea su tutte le frequenze (canto aperto). 

Detto così può sembrare piuttosto semplice e rapido, ma purtroppo così non è! Far nascere la vocale esternamente può essere abbastanza semplice, perché il nostro parlato si genera già in quella posizione, ma quando lo si intona, già i riferimenti vengono persi, anche perché psicologicamente si vuole "cantare", cioè creare un timbro e un volume considerevoli, e questo porta a modificarlo e gonfiarlo. Se anche si riesce a mantenerle corrette nel centro, diventa sempre più difficile farlo in zona acuta, anche perché richiede una
qualità respiratoria molto evoluta, che richiede molto tempo per essere raggiunta. 

domenica, settembre 08, 2024

Non cantar con la bocca

 C'è una questione fondamentale nel canto. In tanti sostengono che si canti con il fiato, ma ben pochi credo dicano che non si canta con la bocca. Però bisogna spiegare. Anche quando si comincia a cantare bene, quindi e tutto il processo avanza verso l'esterno e si tolgono gli ostacoli interni, ne resta ancora uno, cioè la bocca, con cui molti credono di pronunciare correttamente. Bisogna invece considerare che la pronuncia esterna e perfetta è una proiezione mentale, senza quasi alcun apporto fisico. Allora ad esempio dire una bella A aprendo molto la bocca, che può essere necessario durante i primi periodi di studio, a un certo punto diventa invece controproducente. La mandibola può offrire un ostacolo notevole allo scorrimento del fiato e addirittura un punto di appoggio al sollevamento del diaframma, impedendo la corretta articolazione. Il cantante deve arrivare a cantare con la stessa semplicità con cui si parla, quindi con movimenti minimali della bocca. Quando si prova le prime volte a non aprire molto, si ha la tendenza a irrigidire, quindi dobbiamo renderci conto che implicitamente stiamo schiacciando verso il basso, impedendo di fatto la fluidità aerea. Dobbiamo lasciare che il fiato scorra e investa la parte alta della cavità. Il fiato non deve essere in alcun modo guidato o indirizzato, perché di fatto non è possibile, quindi ciò che ci dà questa impressione è la tensione faringea che modifica l'anatomia del "tubo" e quindi della colonna d'aria.Dobbiamo ascoltarci esternamente e non "fare" materialmente la pronuncia con muscoli e ossa, ma lasciare che sia la mente a formulare i fonemi, con minime e inavvertiti movimenti delle labbra e di qualche muscolo, solo a scopo di creare la forma corretta. Non dobbiamo presuntuosamente pensare di insegnare a cantare, o, peggio, pronunciare al nostro corpo. Lo sa benissimo, molto meglio di quanto riteniamo. Dunque lasciamo che sia lui a farlo, senza interferire. Leggerezza e rilassamento sono le parole d'ordine.

giovedì, agosto 29, 2024

"Che di’, questa testa?..."

 Molti cantanti, e sopratutto allievi, hanno la tendenza, specie quando si avvicinano alla zona acuta, di piegare la testa. I tenori hanno le tendenza a piegarla all'indietro, quindi come se guardassero in alto, mentre vedo spesso le donne che tendono a piegarla in avanti. E' una questione che in passato veniva affrontata anche in maniera assai discutibile. Forse non tutti sanno che in un tempo nemmeno tanto remoto, inizio 900 e poi 800, alcuni (pessimi) insegnanti facevano uso di alcuni strumenti che potremmo far rientrare tra quelli di tortura (mi pare che siano anche esposti in qualche museo), tipo l'abbassalingua, ma anche uno strano aggeggio simile a un misuratore di altezza che con la sua asticella superiore aveva lo scopo di far abbassare la testa a coloro che avevano la tendenza ad alzarla. Veniva considerato uno strumento per migliorare gli acuti. La situazione paradossale è che quando la media qualitativa del canto era enormemente superiore a quella odierna, c'erano anche situazioni pessime nell'ambito dell'insegnamento. Pensate che parrucchieri, truccatori e altri artigiani teatrali, si improvvisavano maestri di canto perché erano stati a lungo a contatto con grandi cantanti, di cui facevano nomi e cognomi, e con cui avevano instaurato lunghe chiacchierate. Allora ritenevano di aver colto i loro "segreti" e di poterli applicare ai giovani aspiranti cantanti. 

Tornando all'argomento, come ho già scritto in passato e come ho anche descritto nel libro, la fisicità è sempre in agguato e occorre riconoscerla e affrontarla. L'aumento di pressione del fiato quando si va verso gli acuti, porta la colonna d'aria, che istintivamente è piegata a L, seguendo la piegatura del palato, a cercare di raddrizzarsi e puntare verso l'apice della calotta cranica. Questo fatto, che molti insegnanti e trattatisti ritengono positivo, è invece da scongiurare, perché non solo la voce va indietro, ma perde appoggio, in quanto il punto di riflessione sul palato alveolare, dietro ai denti anteriori superiori, diventa un "puntello" della colonna d'aria che in questo modo frenerà la tendenza a sollevarsi. In più, ricordiamo che quel punto è anche fondamentale per l'amplificazione, perché l'osso mandibolare si comporta come il ponticello di uno strumento a corde, cioè trasmette la vibrazione alla parte superiore del cranio, confutando quindi quelle assurde teorie secondo cui per aumentare l'amplificazione occorrerebbe far passare la voce dal palato posteriore, dove invece proprio la sollecitazione a sollevare il velo pendulo impedisce quel transito, senza contare la montagna di effetti secondari sulla qualità della voce. 

Quindi, sollevare la testa, che ha origine, soprattutto nei tenori e ancor più nei contraltini, nel fatto che la laringe è molto alta, e può dare un senso di fastidio all'attaccatura tra collo e mento, può avere ripercussioni negative nel fatto che la colonna d'aria perde il punto di appoggio anteriore e quindi perde squillo e pienezza. Quindi l'insegnante deve sempre insistere affinché la testa stia posizionata normalmente, senza alzarsi o abbassarsi. Nelle donne, che hanno una maggior tendenza a inclicarla in avanti, il difetto può essere indotto dagli insegnanti, che con la storia della maschera, insistono per far "girare" (mio dio) il suono dietro e portarlo poi (sì, bona notte) verso la maschera. Il problema, come dicevo, è che in questo modo si perde appoggio e amplificazione. In entrambi i casi, poi, si perde anche dizione, perché il sistema articolatorio non può più funzionare correttamente. Quindi rispondiamo alla domanda del titolo come fa Rigoletto: "è ben naturale che far di tal testa": tenetela "normale", guardate in avanti. Se l'allievo prova fastidio nella posizione alta della laringe, deve solo rilassare.

lunedì, agosto 12, 2024

Uomo o animale?

 Si può cantare in quanto animali, certamente con un buon grado evolutivo, oppure come uomini dotati di un più o meno ampio bagaglio spirituale. La maggior parte dei cantanti odierni e della maggior parte degli insegnanti di canto, perlomeno per quanto osservo, si riferisce al primo modo, cioè considerando gli apparati così come sono in natura. Ma questo non può diventare un canto d'arte, nemmeno se il soggetto è un fenomeno privilegiato. Mi si fa notare che un tenore abbastanza celebre posta spesso dei brevi video in cui propone un suo metodo, che purtroppo è zeppo di errori molto gravi. Lui considera la laringe una valvola, e ha perfettamente ragione (purtroppo tantissimi insegnanti questo non lo sanno e non lo considerano), peccato però che il suo uso in questo modo sia antivocale. Se si vuol fare un canto di qualità, noi dobbiamo far superare alla laringe questa condizione esistenziale e farla diventare, mi pare ovvio, uno strumento musicale. Nel momento in cui assolve la funzione valvolare, si crea un blocco, ovvero un'apnea, come si può facilmente notare dal video. Altro errore: lui dice che le vocali si formano nella laringe. Per dimostrarlo mostra un breve spezzone video della Olivero che chiude una frase della traviata. Intanto farei notare che la voce della Olivero è cinque o sei milioni di anni luce più avanti della sua, il che già la dice lunga. Secondo lui il fatto che la Olivero non modifichi in modo evidente la forma delle labbra è un segno che la vocale viene fatta con la laringe. Allora, mi piacerebbe vedere lui eseguire tutte le vocali correttamente senza muovere le labbra. E' vero che ci sono persone che riescono a parlare muovendo quasi indistintamente le labbra, ma è il faringe, grazie alla sua elasticità e plasticità che riesce nell'intento, per quanto assolutamente non adeguato a un canto, nemmeno di bassa qualità. La laringe può solo emettere suoni "anonimi", cioè privi di una qualificazione semantica. Oltre ai ventricoli del Morgagni, è poi il tratto compreso tra le false corde e il velopendulo che origina un COLORE, chiaro o scuro o variamente sfumato, in base alle esigenze foniche. Dopodiché tutto il complesso apparato articolatorio, composto da lingua, labbra, velopendulo, faringe, mandibola, cioè tutto l'insieme mobile della cavità orale, modellerà la risonanza e produrrà i fonemi. Non entro nei particolari, comunque la sostanza è questa, e pensare che le corde vocali e la laringe abbiano a che fare con la pronuncia, è pura follia. Noi parliamo e siamo in grado di pronunciare con varie gradazioni qualitative fondamentalmente grazie alla nostra spiritualità, che ci ha donato l'uso della parola e che è entrata, ad un livello modesto, nella nostra natura. Ad un basso livello perché richiede energia, e quindi, facendone un uso molto intenso, sarebbe folle consumare molto. Il canto artistico, essendo di utilità specifica nei momenti in cui si utilizza per scopi superiori, può anche consumare più energia, però occorre una lunga disciplina per far sì che il corpo si metta nella condizione di sostenere questo lavoro, alla cui base deve esserci una forte esigenza che posso definire esistenziale, cioè talmente potente da convincere la mente ad accettarlo. Non si tratta di una esigenza di volontà, ma interiore, cioè che proviene dalla Conoscenza stessa che ha riconosciuto in un essere umano la forma e le condizioni per poter raggiungere quello straordinario risultato conoscitivo. Per concludere il commento sui video di cui sopra, aggiungo che questo cantante dice, alla fine, che si canta "sul fiato" e non "col fiato". A parte che si deve per forza cantare col fiato, se no la voce non potrebbe prodursi, è lapalissiano, ma il problema grave del suo metodo è che la voce non è per niente sul fiato (è palesemente ingolata), ma poggia propriamente dove lui indirizza tutto, cioè sulla laringe. Altro che diaframma (che tra l'altro non si capisce esattamente dove sarebbe, secondo lui, così come non si capisce bene dove starebbe il fiato). 

lunedì, agosto 05, 2024

Parola d'arte

 L'umanità ha potuto avvalersi di un raro dono da parte dello spirito: la parola. Un dono che a buon diritto possiamo chiamare artistico. Toccò in sorte molto probabilmente solo a una quantità ristretta di ominidi, che però grazie a questa dote ebbero la meglio su altre specie, che si estinsero, mentre sempre più esemplari nascevano con questa abilità, che si fissò definivamente nel DNA. La parola, che si realtzzò solo a seguito della postura su due gambe e sulla modificazione rilevante del cranio e degli apparati respiratorio e digerente con la discesa della laringe sopra la trachea (precedentemente, come nei neonati, si trovava nella zona del velopendulo), è una particolare qualificazione non del suono prodotto dalle corde vocali, ma della risonanza, cioè dell'eco del suono negli spazi oro-faringei. Qualcuno la definisce una materializzazione del pensiero, ma non mi trova molto d'accordo. Non c'è, infatti, alcunché di materiale. Il pensiero plasma, modella in modo incorporeo; ci sono appena piccoli movimenti anatomici per incanalare e dare la giusta forma alla cavità che dovrà fornire la risonanza adatta a quanto si vuole dire. 

Dunque l'uomo conserva in sé il dono artistico della parola, passando così nel regno della Natura. L'attributo artistico si riconosce nell'unitarietà che si realizza tra fiato, laringe e apparato articolatorio-amplificante. Peraltro, ovviamente, tale prerogativa diffusa su tutta l'umanità, non poteva non avere dei limiti, anche notevoli, per cui si è attestata su una intensità e una estensione legata alle necessità, piuttosto modeste, anche se, in quanto espressione d'arte, in rari casi può manifestarsi a livelli molto elevati, che però il soggetto può perdere se non lo porta a coscienza. 

La parola posso definirla come uno "stargate", cioè un portale che può farci transitare verso il regno della completa vocalità canora. Essendo essa un attributo artistico, ci mostra la strada, le condizioni per far diventare espressione artistica tutta la voce soggettivamente presente in ciascuno di noi. Grazie alla parola già in nostro possesso, esercitandola affinché dia sempre il meglio di sé su ogni semitono, genererà la respirazione idonea a sostenerla per tutta la gamma. Naturalmente sotto la guida di un maestro che sappia riconoscere il più piccolo errore, la più lieve carenza e rimettere l'allievo sui giusti binari e sensibilizzarne l'udito affinché la sua coscienza si arricchisca   

giovedì, luglio 11, 2024

Gli acuti sulla punta

 Man mano che si sale verso le note più acute, qualunque sia la classe vocale, bisogna considerare che la massa di corda vibrante è sempre più piccola, per cui chi canta deve considerare di parzializzare anche l'ampiezza cessaria alla produzione della voce. Per dare una immagine simbolica, è come se, nell'ultima quinta, noi cantassimo con una massa corrispondente a "un dito", poi, man mano che si sale, si passa a 2 falangi poi una falange, poi l'unghia ed eventualmente a tratti sempre più piccoli di unghia. "Cantar sulla punta" è una frase che si diceva una volta, e che ritengo molto valida. In genere chi canta vuol avere una portata sempre più ampia, ma in questo modo produce un'energia che investe senza criterio la laringe e impedisce la purezza e la la giusta sonorità per generare, oltre che suoni, rumori e impurità che affaticano la laringe e impediscono la corretta emissione.

mercoledì, luglio 03, 2024

sillabe e allungamento delle vocali

 Un problema che mi trovo frequentemente ad affrontare con gli allievi, riguarda l'allungamrnto delle vocali, che il più delle volte si traduce in spinta e schiacciamento. E' in fondo il problema originario del canto. Anticamente i maestri descrivevamo il canto come un prolungamento delle vocali. Questo sarebbe corretto se non consistesse, come spesso è, nello spingere, nel premere ogni vocale verso la successiva.

Non si tiene, invece, conto dell'importanza della pronuncia della sillaba. Questo, come al solito, fa capo all'ego, ovvero a quella presunzione di ognuno di dettare le regole, quindi di non affidarsi alle propria creatività e capacità spirituale di saper fare le cose senza mettersi in mezzo. Ma, ancora una volta, non soffermandosi a studiare con attenzione ciò che già sappiamo fare per indole naturale, cioè parlare. 

Quando parliamo non schiacciamo, non spingiamo, ma emettiamo sillabe unendole con leggerezza. Se dico "quando parlo", in realtà pronuncio "QUAN-do par-lo". Qui avrei bisogno di utilizzare diverse gradazioni di misura per i caratteri per farmi capire meglio. "Quà" ha un accento tonico, quindi è logico che la maggior energia insista su questa sillaba. A meno che io non sia arrabbiato, e quindi dia accenti su ogni parola, e su ogni sillaba, si noterà facilmente che neanche su "par" ci sarà un accento altrettanto forte, anche se è logico che su "lo" ce ne sarà ancora meno. Quindi, volendo esprimermi con una numerazione, io potrei indicare per le quattro sillabe: 5-3-4-2. Se facessi cantare in una zona medio-alta, su un'unica nota, queste parole, il forte rischio sarebbe di sentire un 8 continuo. Cioè non viene quasi mai in mente di riferirsi alla stessa logica del parlato, e quindi di togliere energia sulle sillabe meno importanti. Quando dico meno importanti non voglio affatto togliere validità a quella sillaba, ma dare il giusto peso COMUNICATIVO: Il fatto che le parole siano divise in sillabe che solo su una ci sia un accento, è fondamentale alla comprensibilità e quindi alla correttezza comunicativa (articolazione). Se mettessimo accenti su tutte le sillabe dopo un po' saremmo fortemente infastiditi e non seguiremmo più. Ma ancor prima, il problema sta nel non cogliere il fatto che la parola è composta, articolata. Si considera sempre troppo il canto come legato al mondo dei suoni, per cui se noi vediamo quattro note uguali, tendiamo a uniformare, quindi a pronunciare la parola come un unico suono, ed escludiamo la corretta pronuncia delle sillabe e i diversi valori dinamici. Si può obiettare che si rischia la suddivisione e quindi uno spezzettamento delle parole e delle frasi, il che succede. Ma se succede è perché ci manca la consapevolezza dei giusti valori, cioè non riusciamo a trasportare nel canto la stessa discorsività che usiamo abitualmente nel parlato. In alcuni casi, ad es. gli articoli, invece ci può essere un legame: "inqué-sta-RE-ggia" dove la scansione numerica potrebbe essere: 13-2-5-3.(da "in" a "que" ci vuole un aumento di intensità, perché su "que" c'è l'accento, mentra occorre diminuire su "sta"). La domanda però potrebbe essere: ma il legato come si relaziona con questo discorso? Certo, può essere un po' più difficile mantenere il collegamento tra le sillabe pur dando rilievo alle singole sillabe con il giusto peso. Ma è ciò che possiamo fare, e magari facciamo, parlando, e che assolutamente possiamo fare nel canto di qualità. E' un esercizio fondamentale! Il mio consiglio è che quando volete studiare perfettamente un'aria, se non addirittura un'intera opera, vi mettiate con santa pazienza e una matita a mettere sotto ogni sillaba il numero che ritenete opportuno ai fini della dinamica. Fatelo parlando, e poi riproducetelo nel canto.