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martedì, aprile 01, 2025

ANNUNCIO

 Buongiorno a tutti i lettori di questo blog. 

Ho un importante annuncio da fare. Ho deciso di istituire delle borse di studio. Come prima mossa, ne istituisco due, una legata al campo del canto, cioè dei miei allievi di canto, un'altra la dedico agli allievi di direzione d'orchestra e fenomenologia che seguono i corsi dell'Associazione "Celibidache" italiana, ovvero tra gli allievi del m° Raffaele Napoli.

Attualmente entrambe le borse saranno di 2.500 €. ripetibili fino a tre volte. Non hanno una cadenza preordinata, quindi altre ne potranno sorgere nel tempo.

La borsa servirà per pagare lezioni, trasporti, vitto e alloggio presso i propri maestri di riferimento, ma anche per frequentare corsi, concorsi e lezioni di insegnanti che abbiano avuto l'approvazione dei propri maestri principali. 

Istituisco anche delle borse "minori", cioè la possibilità di cancellare le quote di partecipazione alla scuola.

Naturalmente esiste una lista di criteri a cui attenersi per poterne usufruire. L'assidua partecipazione, la collaborazione, lo stato lavorativo, l'età, la partecipazione positiva a audizioni, concerti, i progressi, la pazienza.

Tra alcuni giorni svelerò il nominativo dell'allievo di canto che riceverà la prima borsa di studio della mia scuola, cui seguirà a breve distanza quella della scuola del m° Napoli. Entrambe con le adeguate motivazioni. Al termine del periodo indicato, dovrà essere consegnata una sintetica relazione con la rendicontazione delle spese sostenute.

Il tecnico della lavatrice

 E' vero che i capaci tecnici (della lavatrice, ma anche del televisore, della caldaia, ecc. ecc.), possono essere dei geni, che arrivano, stringono due viti, sistemano un cavo, sostituiscono una valvolina, e voilà, tutto come prima. Il m° di canto non è quella roba lì! Sa come operare, sa dove operare, conosce i motivi per cui non si canta bene, conosce i principi del buon canto e sa come farti arrivare, al di là dell'ultimo... "km", che è una questione che riguarda solo voi, la vostra consapevolezza, la vostra coscienza. Per il resto è sempre disponibile a dare consigli, sollecitazioni, soluzioni, a spiegare perché dice quello che dice, perché determinate cose non funzionano bene, perché tizio canta bene e voi no... e via dicendo... a lungo.

Il canto, il corpo umano, l'arte... non sono meccanismi, non ci sono meccanicismi. Ci sono auomatismi e abitudini, ma sono tutte da estirpare, per lo meno in campo strettamente vocale. Ripetere una sequenza pensando che si radicherà in noi è sciocco, banale, pensare che così "lo ricorderò" è altrettanto velleitario. Ciò che funziona è la concentrazione, è l'ascolto dei fondamenti del canto da parte del maestro e soprattutto l'ascolto più che concentrato dei suoi esempi. Il m° Antonietti raggiunse il suo stato massimo ascoltando reiterate volte gli esempi che elargiva a tutti i suoi allievi, maschi e femmine, bassi, tenori, soprani e mezzi il suo ultimo insegnante: Giuseppe Giorgi. Il quale i fondamenti non li conosceva, ma aveva un'esperienza e aveva avuto una brava insegnante, la figlia del tenore Domenico Donzelli, di cui ripeteva alcuni consigli. Nel canto non ci sono viti da stringere, bulloni, cavi, ecc., non ci sono manuali da consultare e soprattutto non è pensabile di poter sostituire dei pezzi, se non per gravi motivi di salute, che non sono compatibili col canto. 

Quindi, quando ci si rivolge a un maestro di canto, non chiedetegli "ma come faccio a fare quell'acuto, quella vocale, quella nota senza stonare", e via dicendo. Affidatevi a lui, che sa riconoscere subito i problemi e conosce la strada per portarvi in salvo. Non pensate, non giudicate, soprattutto voi stessi. Lasciate andare e cercate solo di bearvi dei risultati via via migliori. Come disse il m° Celibidache al termine di una preziosa trasmissione televisiva della Svizzera italiana, presente su Youtube ("idee sulla musica"), "non credete a Celibidache, ma realizzate voi stessi". Dovete seguire l'evoluzione della vostra condizione vocale e quindi considerare questi progressi NON come la bravura del m° ad "aggiustarvi" come foste una lavatrice, ma la sua capacità di recepire le VOSTRE qualità e capacità e farvele tirare fuori. Se migliorate e perché in voi ci sono le risorse del miglioramento. Mi permetto di suggerire anche la lettura del libro o di pagine di questo blog (frequentemente). Non l'ho scritto per lasciare una traccia di me, per vantarmi di aver scritto un libro (ne avevo già scritti tre) o altre vanità e narcisismi. L'ho scritto principalmente per i miei allievi e per i possibili allievi e maestri di domani. Molti mi hanno detto "è difficile" (altri non l'hanno detto ma è evidente che lo pensano). La risposta è nel libro stesso: il paragrafo: "evolversi o ripetere". O vi impegnate, vi concentrate e riflettete e vi mettete nelle condizioni di evolvere, oppure state buttando via il vostrto tempo e la vostra vita, e, seguendo un principio buddista, dovrete ripetere (come la bocciatura a scuola) e così via finché non avrete capito che sta in voi questo progresso, non nel maestro, che se avete avuto la fortuna di incontrare; dovrete assimilare da lui tutto il possibile, ma che comunque non è voi, ma la soluzione è in voi, non fuori di voi. Ricordate che l'arte... non serve a niente! Quindi se state cercando con determinazione di cantare non è per ilposto di lavoro, ma perché in voi c'è la fiamma dell'evoluzione. Però la dovete alimentare, se no rischia di spegnersi. 

sabato, marzo 15, 2025

L'altra voce animale

 Ho disquisito a lungo sulla voce animale nell'uomo, sia qui nel blog che sul libro. Non starò a ripetere, invito chi vuole a ritrovare le osservazioni in merito. Ciò che mi accingo a scrivere ora è una particolarità su cui non mi ero soffermato e che non è, però, da sottovalutare.

Ho spiegato che la voce animale o istintiva nell'uomo risponde a diverse esigenze: allertare i propri simili di un pericolo incombente, chiamare aiuto, imporre la propria autorità, offendere, e altre azioni violente e poi: segnalare dolore, segnalare affetto e invocare amore e altre azioni tenere e di piacere. Non ho mai indicato che queste due produzioni comportano diverse modalità di emissione con problematiche diverse, che possiamo sfruttare diversamente in campo canoro. 

La modalità "violenta" comporta sostanzialmente uno sforzo non indifferente da parte degli apparati, con chiusura glottica e sollevamento diaframmatico. Chi la utilizza frequentemente rischia usura e danni. Purtroppo ci sono metodologie di insegnamento che sfruttano questo sistema e che solo in caso di robustissimi fisici possono resistere nel tempo e dar luogo a un canto importante sul piano "tecnico", ma discutibile sul piano espressivo. 

La seconda modalità, quella del dolore intimo e dell'amore, non produce problematiche fisiche. E' un tipo di emissione chiaro, leggero, penetrante, diffusivo. E' quello che viene definito "falsetto" leggero nei maschi e che viene utilizzato dai cosiddetti "controtenori", o sopranisti o contraltisti. Può prodursi mediante un utilizzo più leggero della porzione acuta della voce o mediante il cosiddetto "stop closure" cioè una parzializzazione della corda vocale che la rende di dimensioni analoghe a quelle femminili e quindi utilizzabili in un repertorio analogo. 

A differenza della voce acuta piena, che richiede molto tempo per essere educata similmente alla voce di petto, perché l'istinto la considera uno sforzo, la voce detta di falsetto nei maschi non richiama reazioni importanti e quindi è educabile più facilmente. Naturalmente richiederà comunque un tempo importante per l'educazione respiratoria in grado di renderla artisticamente rilevante.

sabato, marzo 08, 2025

Va dove ti porta il fiato

 Credo sia difficile immaginare la rivoluzione che avviene nel corpo umano quando si raggiunge il vero canto sul fiato. Abbandonare completamente ogni contributo muscolare significa trovarsi con tutto il peso vocale sul fiato, che non essendo (ancora) esercitato a quel consumo, creerà il timore di non riuscire a cantare una frase "normale" senza dover prendere anche più volte fiato. Un vero esborso di fiato che ci pone in un forte imbarazzo. Eppure, se ascoltiamo un vero maestro che abbia conquistato quella condizione, noteremo che invece il fiato dura anche più del normale. Dunque, dobbiamo superare le paure. Le parole chiave sono "alleggerire", "sospirare", "lasciar andare", "rilassare". Occorre debellare ogni spinta, ogni pressione e ogni induzione a tirar su, o a premere in giù. Il fiato deve scorrere, e più si sale verso gli acuti più il fiato dovrà aumentare di portata e di quantità. All'inizio, come ripeto, spaventa, ma è proprio questo iniziale iperconsumo che crea in noi, nella nostra mente, l'esigenza respiratoria vocale artistica che in tempi brevi genererà la condizione sensoria per cui cantare non sarà più considerato un "lusso" saltuario, ma una situazione abitudinaria (ma non totalizzante come quella fisiologica) che non solo riusciremo a gestire con piacevole semplicità, ma che non ci costerà più fatica. Non solo, ma questa corrente aerea costante e priva di interferenze negli apparati, sarà addirittura benefica, salutare. Via ai mal di gola, ai raffreddori e alle tosse. Però si ricordi sempre che questo obiettivo ha un costo elevato di studio, di impegno, di diligenza. Non c'è mai abbastanza concentrazione per curare la dizione maniacalmente, senza premere e mantenendo rilassamento nella gola, nel collo, in tutte le parti della testa. Riposarsi spesso, perché è facile entrare in confusione, non capire più cosa si sta facendo. 

mercoledì, febbraio 26, 2025

Il vero passaggio

 Il vero e unico passaggio è quello dai suoni sbagliati, ingolati, frenati, nasali, "immascherati", schiacciati, ecc, ai suoni giusti, ovvero libero, fluidi, puri, piacevoli, E ho detto tutto.

mercoledì, febbraio 19, 2025

La non pronuncia

 Ma come? Ci hai massacrato le orecchie a suon di ripetere "pronuncia, pronuncia", "parla, parla", e poi vieni fuori con "non pronunciare"?

Esatto, la pronuncia può essere realizzata fisicamente oppure... no. In realtà non c'è contraddizione; quando parliamo non usiamo quasi mai una pronuncia fisica, muscolare, e deduciamo questo dal fatto che normalmente parlando riusciamo a essere fluidi e a non provare fatica e sforzo. La prima causa di questa facilità consiste nel fatto che il nostro apparato respiratorio, quando parliamo, è tarato su un tipo di emissione estremamente leggero e poco continuativo, cioè esce un po' a intervalli. Come sempre ricordate che sono questioni estremamente soggettive, quindi variano tantissimo da persona a persona. 

In ogni modo, il problema si presenta quando intendiamo cantare, soprattutto con intenzioni artistiche, cioè canto lirico, operistico, classico, che non necessita di un'amplificazione elettrica o elettronica, e ancor di più quando superiamo la prima ottava della nostra estensione. Ripeto per quanti non hanno seguito i dettami di questa scuola, che mentre la prima ottava è un dono della Conoscenza, fissato nel DNA, che ci consente di parlare fluidamente, la seconda ottava è un residuo ancestrale della nostra animalità, quindi è seguito dalla parte più antica della mente, che non la considera una zona per la comunicazione corrente, ma per l'emergenza e per occasioni specifiche e particolari (aiuto, aggressione, dolore...). Ciò produce una spaccatura non solo nelle meccaniche produttrici, ma soprattutto nell'alimentazione respiratoria. Ciò comporta che nella seconda ottava risulta difficile, a volte difficilissimo parlare, perché il corpo interpreta i nostri tentativi di utilizzare vocalmente quella zona in modo espressivo, come uno sforzo e pertanto si genera una chiusura della glottide e un sollevamento del diaframma. L'errore, involontario, che fanno quasi tutti gli insegnanti, è di considerare la seconda ottava alla stregua della prima, da affrontare solo mediante un "passaggio". Un passaggio che, però, porta in una dimensione limitata, infatti la maggior parte dei cantanti in zona acuta ha soverchia difficoltà di pronuncia, tende a gridare, o comunque a cantare molto forte, e avverte notevole fatica. Infatti i danni che si producono agli apparati vocali, si realizzano più frequentemente affrontando la zona acuta. 

Ma torniamo a noi. Nel momento in cui immettiamo nella voce la volontà di cantare, compiamo più frequentemente distorsioni e modificazioni e soprattutto perdiamo quella spontaneità e leggerezza tipica del parlato fluente e tendiamo invece a spingere e cercare ausili muscolari di vario tipo, in base agli insegnamenti ricevuti o alle proprie idee. 

L'idea che la parola sia la chiave del grande canto artistico, che era presente nelle antiche scuole di canto o vocali comunque sia, oggi non sfiora quasi più alcun docente, mentre ha preso prepotentemente piede l'idea di utilizzare i movimenti interni (velopendulo, lingua, faringe, laringe, diaframma, muscolatura addominale dorsale, pelvica, ecc.). Questo fa sì che mentre un tempo tutte le voci riuscivano in tempi ragionevoli a produrre ottimamente gli acuti (lo possiamo vedere nelle cronache musicali ottocentesche sui giornali presenti anche in internet, quando in centinaia di teatri pressoché contemporaneamente si producevano opere di elevato impegno vocale), oggi abbiamo una vera crisi, per cui molte opere devono essere eseguite abbassando la tonalità, e anche con questo pessimo artificio mandare i cantanti incontro a problemi e prestazioni mediocri. 

Quindi, come ripeto, la chiave di volta per arrivare a una vocalità esemplare, è la dizione, la perfetta pronuncia. Peccato però che anche così non basti!! La tendenza istintiva, infatti, ci fa utilizzare prevalentemente la muscolatura, e la propriocezione di ogni vocale ci fa credere che ognuna di esse abbia un punto o zona interna dove "suona", dove si produce. La questione, purtroppo, è drammaticamente sbagliata! Se noi osserviamo il nostro parlato quotidiano, non possiamo fare a meno di notare che la voce suona e si produce esternamente! Questo però avviene in modo spontaneo, come camminare e respirare. Nel momento in cui vorremmo prendere coscienza del fenomeno, sleghiamo le relazioni esistenti e mandiamo tutto all'aria. Quindi, se da un lato è fondamentale eseguire esercizi i più precisi possibili sul parlato, dovremo arrivare a cogliere la verità di esso per poterlo utilizzare anche nel canto a livello espressivo e nel modo più raffinato e sensibile possibile. 

Questo significa mettere in relazione perfetta fiato e parola. Ma nel momento in cui io vi dico che dobbiamo estirpare la componente muscolare dalla pronuncia, per lasciarla unicamente al fiato, voi giustamente domanderete: ma cosa produce la pronuncia, se è esterna? 

La risposta, molto poco tranquillizzante, è che non vi sarà niente di fisico (o quasi) in questo processo. Labbra, lingua, cavità orale e faringea, potranno atteggiarsi a seconda delle vocali che andremo a pronunciare, ma in modo appena avvertibile e secondo impulsi mentali non dominabili volontariamente. Anzi, è proprio il voler "fare" volontariamente che interrompe quella fluidità indispensabile al buon canto, e quindi alla buona pronuncia.

La frase che più frequentemente pronuncio soprattutto con chi è già un po' avanti nello studio, è "lascia andare" o "lasciati andare". Non ci deve essere volontà di pronuncia. Noi dobbiamo "sentirla", viverla come spettatori. Non è un "emettere", un "proiettare", perché questo induce pressioni e spinte, ma come una sorta di magia, allorché le parole, o vocali, o sillabe, nascono davanti a noi e si muovono scivolando, senza impulsi e "botte", solo grazie al consumo di fiato e dove gli apparati si lascino percorrere inerzialmente, senza collaborare, soltanto rilassandosi. 

Dunque la pronuncia non esiste fisicamente, è un prodotto astratto della mente. Non si può chiedere "come faccio a fare quella "A", o "E", ecc. non esiste alcun modo pratico. Devo lasciare che avvenga. Poi naturalmente ci sarà anche una seconda fase: come faccio a intensificare o ridurre l'intensità? Tutto è legato al fiato, alla sua continuità, al suo consumo. Ma anche su questo dobbiamo porre attenzione: non si deve premere sul fiato, lo si deve lasciare fluire. L'unica parte del corpo che noi dobbiamo controllare è il torace. Mediante la postura "nobile", cioè col torace alto e avanzato che non ricade durante il canto, noi faremo sì che il fiato stesso "galleggi", cioè non sia premuto e non prema a sua volta su niente. La leggerezza e la purezza. La magia sarà quando riusciremo, senza volerlo praticamente, a produrre il canto con una perfetta pronuncia che si espanderà davanti a noi occupando tutto lo spazio possibile. E' l'espansione dell'amore, del coinvolgimento degli altri. Non si canta per sé, ma per la felicità condivisa.

Se non vi è chiaro qualcosa, chiedete, ma soprattutto: leggete il libro!

sabato, febbraio 08, 2025

La gola morta

 "Gola morta" è un termine che veniva usato anticamente dagli insegnanti di canto. Ritengo sia un attributo eccellente per caratterizzare lo stato interno degli apparati durante l'emissione. Purtroppo non è così facile da conquistare, ma è ciò che provo e che sento in chi canta esemplarmente quando la voce dà il massimo delle sue possibilità. Tutta la voce risuona esternamente e dentro si ha la sensazione di una incredibile rilassatezza dei tessuti e degli organi, compresa la laringe, il faringe, il velopendulo, la lingua... E' come se non avessero più alcun ruolo attivo, puri testimoni passivi di un evento demandato unicamente al fiato, che andrà a generare il canto nell'acustica esterna. Alleggerire, diminuire, togliere, ecc. sono i termini che devo utilizzare di continuo con gli allievi per far sì che evitino di partecipare e far partecipare il fisico al processo di emissione, al di là delle sole componenti respiratorie. L'atteggiamento o postura "nobile" è l'unica indicazione fisica che può essere consigliata per far sì che il fiato "galleggi", cioè non sia compresso o spinto in nessun mondo. Per il resto... basta la parola (senza riferimento all'antica pubblicità televisiva)! 

martedì, gennaio 07, 2025

Dosare il fiato

 Uno dei problemi che i trattatisti del canto si sono sempre posti, fornendo varie soluzioni, è stato quello del dosaggio del fiato durante l'emissione. I primi grandi e celebri maestri hanno identificato l'origine della forza propulsiva al petto. Mancini, in particolare, ne parla spesso nel suo trattato, Questo avveniva già in precedenza, mentre successivamente il petto ha perso centralità nell'attività respiratoria, mentre è andato assumendo sempre più importanza il diaframma. Nel primo e nel secondo caso, comunque, questo ruolo ha sempre occupato un posto fortemente attivo. Che fosse il petto o che fosse il diaframma, i maestri han sempre ritenuto che l'uno o l'altro dovessero premere, provocare pressione sul fiato, che poi si ripercuotesse sulla voce. 

Una forza esterna al fiato stesso, ovvero ai polmoni, genera una pressione incontrollabile, o comunque difficilmente controllabile, e sempre maggiore rispetto quella effettivamente necessaria. Questa è la causa principale della spinta, che non può che avere ripercussioni negative sulla voce. In particolare questo genera la perniciosa confusione con lo sforzo, cioè quella attività istintiva che si genera quando compiamo determinate attività, fisiologiche (come il parto o la defecazione o il semplice riacquistare la posizione eretta quando ci si piega in avanti, specie se sollevando un peso) o lavorative. 

Petto e diaframma non è che non abbiano un ruolo, ma... passivo! Passato un certo periodo di tempo dall'inizio della disciplina, quindi superate le reazioni istintive più violente, quando è consigliabile utilizzare una respirazione diaframmatica leggera, si potrà integrare quel tipo di respirazione con una costale, che significa sostanzialmente aprire le costole e tenere il torace alto e avanzato, omde permettere la massima espansione polmonare, sostenendolo con la muscolatura toracica, ma senza farlo richiudere, il che significa che non ci sarà pressione sul fiato stesso, il quale "galleggerà". Ciò che servirà al fiato per avere la giusta dose di energia, è il polmone stesso, che è dotato di una elasticità sufficiente al bisogno. Perché il suo apporto sia efficace, è necessario che la respirazione avvenga orizzontalmente, cioè tra le due ascelle. Questo comporta una dilatazione del polmone (e del suo involucro), che subito dopo vorrà riprendere le dimensioni iniziali, fornendo una modesta pressione sull'aria, senza le forze squilibrate dell'intera cassa toracica. Quanto al diaframma, come ho spiegato più volte, è importante che non abbia movimenti istintivi repentini. Esso ha un moto regolare che permette ai polmoni, appoggiati su di esso, di mantenere un ampio contatto e di fondare su di esso un efficace appoggio, che non deve essere aumentato, a costo di reazioni molto controproducenti.