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domenica, gennaio 26, 2014

Dallo staccato al legato

L'esecuzione di scale e arpeggi è possibile sia mediante suoni staccati che legati. Parlando di esercizi, è usuale fare prima quelli staccati e passare successivamente al legato. Il più delle volte l'esecuzione legata è meno buona, se non addirittura scadente. Qual è il motivo? Sempre il solito (art. 1 comma 1, per dirla con un po' di buonumore): la pronuncia. Mentre facendo 5 o più suoni staccati su una qualunque vocale, per quanto approssimativamente si cercherà di dire ogni volta quella vocale, nel legato questo si tende a non fare, cioè si pronuncerà la prima volta dopodiché si pensa di "portare" quel suono sulle alte note, ma così facendo in realtà si farà una sorta di "cucchiaiata" che parte sempre dall'interno (spesso persino dalla gola) verso l'esterno e la pronuncia andrà subito perduta. La realtà è che anche nel legato su ogni nota componente la scala o arpeggio noi dovremo ripetere o ridire la vocale. La cosa è assai difficile, non si capirà come fare per un po' di tempo, perché mentre si emette un suono sembra impossibile poter ribadire nuovamente quella stessa vocale, ci sentiamo come impossibilitati a identificare il luogo o il mezzo con cui poterlo fare. La cosa è vera fin tanto che noi siamo legati alla pronuncia eseguita col fisico, ovvero con i muscoli. Appena avremo contezza del fatto che le vocali sono nel fiato, cioè svincolate dal corpo fisico, ecco che pronunciare anche nel corso di un vocalizzo legato diventerà possibile. Aiutino: la cosa migliore per raggiungere questo obiettivo consiste nel togliere intensità alla prima nota, subito dopo l'attacco e prima del passaggio alla seconda, e ripetere questa procedura per tutte le note dell'esercizio.

4 commenti:

  1. Premesso che non sono molto bravo ad esternare con le parole ciò che vorrei dire, mi cimento lo stesso...
    La paura del falsetto e della parola sussurrata, leggera: entri in contatto con una parte di te, credo la parte "vera" non artefatta che non deve dimostrare ma che al contrario deve "essere". E quindi la paura di una parola sottile, leggera, gentile; e "gentile" in questa nostra società è un pò sinonimo di "poco virile", di personalità "debole"... e qui ci potremmo dilungare. La parola, l'intensità, il livello del parlato, rappresenta spesso ciò che gli altri vorremmo pensassero di noi, e qua sta il guaio! Noi non siamo tenuti a sembrare, ma ad essere, a vivere in piena sintonia con noi stessi e quindi con la nostra gentilezza, la nostra sensibilità, che al contrario non sono sinonimo di debolezza ma di vera umanità, di salda conoscenza di noi stessi e del rapporto con gli altri, nel rispetto e nella solidarietà che dovrebbero esistere quotidianamente ma che invece vediamo giorno dopo giorno attenuarsi, scomparire. Speriamo non accada mai.... almeno che i nostri figli possano ricostruire sui nostri errori una società meno "apparente"

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    1. Certamente, come si è già avuto modo di esporre, la voce porta con sé elementi della nostra interiorità, e questo comporta che ci si vergogni o si abbiano timori, e quindi nasce il desiderio di mascherare, di standardizzare, uniformare in senso appiattente.

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  2. Salvo1:19 PM

    Scusami Fabio, se possibile, vorrei commentassi.... Grazie.

    http://youtu.be/KZgxzIWLFTU

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    1. Avevo già avuto modo di vedere/sentire l'intero duetto del Musichiere con Villa e Olivero. Non posso che dirne benissimo! Non possiamo sapere quanto poteva rendere questa voce in teatro, ma non c'è dubbio che aveva stoffa da vendere!

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