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sabato, luglio 19, 2014

Chiamale se vuoi emozioni

Bene, mi si sta incitando ad affrontare alcuni nodi fondamentali dell'arte e della musica in particolare. Vediamo i tre attori coinvolti: Compositore, Esecutore, Fruitore (l'esecutore-compositore riunisce due figure, che però restano distinte pur in un unico soggetto).
Nel corso degli ultimi, direi, centocinquant'anni, si è fatta strada la figura dell'interprete. Questi è stato un "parto" dell'ultimo periodo del romanticismo, che definirei "romanticume", cioè un'esaltazione decadente di alcuni caratteri tipici del romanticismo, e in particolare dell'individualismo. Ciò è stato identificato con un'altra erronea esaltazione di un mito romantico, quello della libertà, per cui si è ritenuto che un esecutore non dovesse sottostare meramente ai "diktat" ortografici dell'autore, per quanto vaghi, che lo "ingabbiavano" ma dovesse "interpretare" un brano in base a una propria esperienza, competenza e personalità, altrimenti non era libero di esprimere sentimenti ed emozioni, per cui si è fatta larga l'idea che eseguire oggettivamente un brano musicale significasse tout cour privarlo di questi attributi e renderlo "sterile", meccanico, vuoto. In fondo non è molto diverso da quanto è successo in tema di vocalità, cioè arricchire un suono di "rumori" e colori, che per alcuni è ancor oggi imprescindibile, altrimenti ciò che ne risulta è "vuoto", povero, incolore.
Questa è la premessa.
Partiamo da capo: cos'è un intervallo musicale? Quando noi tracciamo una melodia, un tema musicale, eseguiamo una serie di intervalli. Sono essi puramente suoni giustapposti? Sono fredde risonanze fisiche? O ci comunicano qualcosa, anche se fatti con un apparecchio elettronico? La risposta la conosciamo tutti: una serie di intervalli ci darà un certo tipo di sensazione o percezione che, a seconda di alcuni parametri usati, ci comunicheranno piacere, dolcezza, forza, bellezza, tristezza, dolore, gioia, ecc. C'è qualcosa di "interpretabile" in tutto ciò? No. L'autore, con l'ausilio della propria coscienza, più o meno sviluppata, ha identificato un percorso sonoro grazie al quale si manifesta una determinata comunicazione profonda, comunicazione che è decifrabile dalla coscienza di CIASCUN UOMO, con differenze che riguardano la sensibilità, la cultura, l'interesse, ecc., ma di cui nessuno è privo. Allora, se un intervallo è portatore di sentimenti ed emozioni voluti dall'autore, l'esecutore che fa? Se ci mette anche i suoi non farà che sovrapporre o enfatizzare quelli già presenti, contraddicendo, contrastando, esagerando e opponendosi a quello che GIA' C'E'! La vera arte esecutiva, e la enorme difficoltà, consiste nel RICONOSCERE ciò che c'è e permettere di farlo affiorare a coscienza affinché possa essere MANIFESTATO e raggiungere così "neutralmente" (cioè senza le mie "impressioni") l'ascoltatore. E' un po' come se un tizio, invece di leggere una lettera così come è scritta a una terza persona che per qualche motivo non può farlo direttamente, la "intepretasse" a sua discrezione.

Cos'è invece l'esecutore meccanico, apatico, sterile e vuoto? Quello che non ha capito NIENTE e non permette alla musica di nascere, vale a dire che non ha riconosciuto nulla e non permetterà ai suoni di trasformarsi in musica, ovvero, come dicevo nell'altro post, di UNIFICARSI.
Altro luogo comune è quello della "identità" delle esecuzioni. L'altra contestazione "depositata dal notaio" può essere quella di dire: ma allora le esecuzioni saranno tutte uguali, se non "interpreto". Errore più che clamoroso! Ogni esecuzione sarà assolutamente e totalmente diversa in quanto cambia il luogo e il momento (hic et nunc), cambiano una pletora di parametri e condizioni, cui l'esecutore CHE BASA LA PROPRIA PERFORMANCE SULL'ASCOLTO, e non su astratte decisioni a tavolino, dovrà attenersi.
Analogamente arricchire artificialmente il suono di rumori (per lo più con i muscoli della gola) che alcuni individuano come "armonici" (ma dove??) o "smalto" o "timbro lirico", ecc., significa impedire al suono VERO e personale di un cantante di farsi strada e diventare strumento musicale libero, in grado, a quel punto, di poter eseguire oggettivamente il brano.
Qualcuno ritiene anche che raggiungere un ideale di perfezione, cioè svelare i criteri che guidano alla trasformazione del suono in musica, possa arrecare "noia", perché non c'è più il "mistero", la ricerca, ecc. Anche questa è una colossale sciocchezza: l'esecutore, così come l'ascoltatore "informato", non saranno mai "passivi", ma costantemente attivi, proprio nella gioia e nella profonda commozione di riconoscere in ogni istante cosa sta succedendo e come la coscienza si muova. Infatti il grave problema di ogni esecuzione "non orientata" è propriamente quello di un continuo pericolo di caduta dell'interesse, per mancanza di relazioni tra il prima e il dopo.

Nel canto c'è poi un elemento ulteriore da considerare, che è la parola (ammesso che la si colga). Anche qui c'è un dato "interpretabile" e un dato oggettivo. Allora, pur con cariche molto meno profonde rispetto alla comunicazione musicale, in ogni contesto io potrò cogliere il senso di una parola o una frase. Quando dico, ad esempio, "amore", se il contesto è chiaro (può esserci un significato ironico, neutrale, enfatico, ecc.), io non dovrò caricare con sospiri, iperespressività, languori o portamenti, anche gestuali, questa parola, perché esaltandola prima di tutto è come se considerassi cretino chi mi ascolta attribuendogli una incapacità a cogliere il contesto e il significato, rischio fortemente di spezzare l'unità della frase e del percorso musicale e anche sul piano sonoro farei danni non valorizzando ciò che l'autore ha già programmato mediante i parametri musicali (intervalli, altezza, ritmo, colore, timbro, armonia, dinamica) ma sovrapponendo la mia "idea", la mia sensibilità e personalità e impedendo, di fatto, ogni discorso realmente artistico, ovvero di rivelazione di una verità, e cioè ancora, da dove quel brano viene e dove va onde assicurare 'COME E'! Per cui la bravura di un vero artista esecutore non deve essere quella di ESALTARE l'espressione e i significati che SECONDO LUI vanno sottolineati, ma di rendere TRASPARENTE il disegno che l'autore ha saputo realizzare.

3 commenti:

  1. Raffaele Napoli5:33 PM

    Chiarissimo e laser, non si potrebbe descrivere meglio la tematica...

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  2. Salvo1:51 PM

    Giustissimo, anche se ammetterai che è molto difficile, ma non impossibile, raggiungere lo scopo del bravo artista, perchè comunque entrano in gioco appunto emozioni, sensibilità umane, sensazioni soggettive che in un'interpretazione, che non dovrebbe essere enfatica, comunque hanno un ruolo che viene più o meno percepito dall'ascoltatore; quindi da una parte l'autore, dall'altra l'ascoltatore in mezzo l'esecutore che ha appunto un compito difficilissimo ma stupendo: quello di porgere con veridicità ed onestà le intenzioni del compositore. Qundi ascoltando trenta "Tosca" nessuna è uguale all'altra... o almeno ce ne dovrebbe essere qualcuna che è più vicina agli intenti del compositore... e come si fa a saperlo? Perchè è pur vero che anche il direttore d'orchestra e i musicisti ci mettono del loro, per non parlare delle scenografie, delle ambientazioni, dei colori, le luci, ecc.ecc. Ecco allora che rientra il concetto di UNIFICAZIONE, di assemblaggio, di neutralità. Molto, molto, difficile.... ma auspicabile. Grazie Fabio.

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    1. mmmh, forse non ci siamo ancora. Che sia difficile, ça va sans dire, ma è proprio come nel canto, purificare, svuotare il suono dai rumori molesti, andare sulla propria vera voce, ecc. Quando si parla di emozioni che vengono percepite dall'ascoltatore, di quali parli? Le emozioni si "vivono", tanto l'ascoltatore quando l'esecutore: non si interpretano e quindi non si aggiungono o modificano. Le tante Tosche sono diverse perché diversi sono i cantanti, le orchestre e i luoghi, ma potrebbero essere tutte altrettanto lontane - attenzione - non tanto dagli "intenti" del compositore, ma dalla sua coscienza. Quando questi decide, magari dopo 20 tentativi, di usare un certo intervallo o una certa armonia o strumentazione, può essere o non essere una "intenzione" ma è sicuramente un suggerimento della sua coscienza (l'intenzione è in relazione alla purezza e trasparenza della coscienza), per cui la strada da percorrere per l'esecutore è quella della coscienza musicale, non tanto delle scelte superficiali. Mi spiego meglio: molto spesso si fanno ricerche approfondite per sapere se l'autore all'epoca della composizione di un certo brano che vogliamo eseguire era felice, era triste, aveva problemi, che faceva, dove viveva e con chi, mogli, figli, parenti, amici, ecc. Non è che tutto ciò sia inutile e da cestinare, ma c'entra poco con la musica, che è frutto di un cammino interiore che poco ha a che vedere con la vita quotidiana del singolo, ma può essere influenzata da questioni sociali e umane di vaste dimensioni. Andare sullo spicciolo può fuorviare e immeserire l'approccio. Per il cantante l'avvicinamento alla pagina è in parte facilitato dall'esistenza delle parole (anche se spesso contraddicono la musica), che, però, vanno rese con il massimo della trasparenza e della semantica. Se è il caso riprendo e approfondisco.

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