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domenica, giugno 10, 2018
Non provocare
Torno ancora una volta sul tema della respirazione artistica. Non si dirà mai abbastanza che il nostro corpo non è un semplice meccanismo; quando noi compiamo un'azione che lo coinvolge, possiamo aspettarci una reazione. Se non teniamo conto che il corpo, ovvero la mente che lo controlla, reagisce, dobbiamo anche renderci conto che non stiamo usando l'intelligenza. La maggior parte delle persone che studiano e insegnano canto, per carenza di umiltà, oltre che di uso dell'intelligenza e del pensiero, sono convinte che si debbano fare determinate cose per cantare, e che il nostro corpo le accetterà supinamente. E' esattamente il contrario, ma proprio perché il nostro corpo possiede una sua intelligenza, spesso ci inganna, quindi si constatano determinati risultati come una vittoria, ovvero come la conseguenza che facendo quelle determinate cose, si consegue una certa abilità. Quando i risultati non sono eccellenti, si ritiene che non ci si eserciti abbastanza, non si capisca, o ci siano carenze "tecniche". Ogniqualvolta noi applichiamo un meccanismo nei riguardi del nostro corpo, specie se questa azione non ha una ragione che investa la nostra vita vegetativa o di relazione, dovremo aspettarci delle reazioni, delle conseguenze. Le quali arriveranno, ma con l'esercizio, cioè replicando frequentemente determinate azioni, si può ottenere di migliorare il risultato, perché esiste una tolleranza, cioè l'istinto allarga le maglie dell'accettazione. Senza per questo cessare di considerare intrusiva, indesiderata, quell'azione, quindi tornare a combatterla appena cesseranno gli esercizi. Alla base delle correnti didattiche, c'è un ulteriore equivoco, e cioè che gli apparati debbano compiere delle azioni volontarie per cantare; in questo si fa una grave confusione, cioè non si considera che il fiato deve assumere il ruolo erroneamente attribuito alla muscolatura degli apparati. Naturalmente non il fiato fisiologico, che non possiede le virtù, le capacità intrinseche, di produrre il vero canto artistico, anche quando molto sviluppato, ma quello che definiamo evoluto, cioè che ha assunto un più alto valore conoscitivo. Le fasi dell'evoluzione respiratoria possiamo sintetizzarle schematicamente in due periodi: una fase in cui grazie a esercizi vocali mirati, si creano esigenze respiratorie diverse da quelle fisiologiche, legate a un uso elevato della parola, che richiederà sonorità, ampiezza, espansione, espressività; una seconda fase in cui queste esigenze determinano anche modificazioni fisiologiche e persino anatomiche per consentire l'evoluzione vocale auspicata ("galleggiamento"). Riprendendo quanto detto sopra, noi dobbiamo raggiungere una condizione in cui non ci sia alcuna azione che possa generare reazione, perché la reazione è quella che ci impedisce di esperire una vocalità libera. La situazione che più ci penalizza riguarda la ricaduta delle costole in fase espiratoria. Una volta preso fiato, la gabbia toracica tenderà a richiudersi e quindi a premere sui polmoni e quindi sul fiato, ma quindi anche sul diaframma. Questa chiusura determina condizioni decisamente negative riguardo l'emissione vocale, e in particolare determinerà una mancanza di omogeneità nel tempo, nel corso dell'emissione stessa, perché si modifica la pressione dell'aria, che sarà minore all'inizio e maggiore man mano che le costole ricadono. Gli antichi trattatisti parlavano di "sostenutezza del petto", proprio a ricordare che il torace, "scatola" dei polmoni, non si deve richiudere nel tempo del canto, ma deve rimanere ampia e aperta, onde consentire al fiato di non restare oppresso, schiacciato. Questa azione meccanica (nell'azione fisiologica naturale) ha anche un serio risvolto nel canto: va a insistere alla base della laringe (pressione sottoglottica), incentivando la sua azione valvolare fisiologica, che è decisamente opposta a quella "musicale" che invece noi vogliamo esaltare. La soluzione di tutto questo sta nel "galleggiamento", che non è una ricetta miracolosa, non è l'escamotage, non è l'ennesima trovata "segreta" che risolve ogni e qualsiasi problema, come tante se ne sentono. E' un percorso con solide basi e che richiede un impegno non facilmente affrontabile da chiunque. Non c'è nulla da "fare", c'è da seguire un piano programmatico fatto di concentrazione e di ascolto. Non è facendo due ore di esercizio al giorno che si ottiene, è riflettendo ed esercitandosi costantemente anche pochi minuti, ma con quell'attenzione che richiede un completo coinvolgimento. Quando la fase uno va a terminare, cioè dopo un certo tempo in cui ci si è esercitati con la parola e con tutte quelle pratiche che portano a una modificazione qualitativa del fiato, si dovrà passare, nei tempi e modi imposti dall'insegnante, a un cambiamento posturale. Il m° Antonietti utilizzava un'esortazione per far assumere rapidamente la giusta postura: "datti delle arie". In effetti, anche guardando alcune silouette di cantanti ottocenteschi, si nota questa postura "nobile", che può anche far pensare a un atteggiamento un po' snobistico, presuntuoso, che è invece proprio quella "sostenutezza" del petto che è indispensabile, a un certo punto, per escludere dal processo vocale quella pressione che impedisce alla laringe di operare in libertà. Affinché il canto sia puro e vario nei colori e nelle dinamiche, ogni più piccola vicinanza all'apnea deve essere eliminata. Il che significa che il petto non deve mai ricadere, durante tutto l'atto vocale, vuol dire che la muscolatura relativa all'inspirazione deve sempre rimanere attiva, vuol dire che il fiato entra ed esce senza coinvolgere la muscolatura espiratoria, ma solo grazie all'elasticità polmonare. Polmone il quale per poter operare nel modo più efficace, dovrà orientarsi maggiormente nelle componenti orizzontali, cioè svilupparsi verso le ascelle e verso il petto e la schiena. Dopodiché alcuni muscoli esterni, in particolare i "dentati" dovranno sostenere il petto affinché il fiato galleggi e non prema da nessuna parte. Deve essere una vera condizione di galleggiamento, un po' impegnativa per qualche tempo, ma molto piacevole ed entusiasmante, poi. Quindi una respirazione toracica, che molti demonizzano perché porterebbe a quella respirazione apicale che può risultare dannosa. Ci può essere del vero; la respirazione toracica è da considerare INTEGRATIVA, cioè non deve essere praticata in tempi precoci, come si è detto sopra, interviene solo nella seconda fase, quando grazie a sapienti esercizi, si sono ridotte le possibili azioni e contestuali reazioni. Sarà come elevarsi su un cuscino d'aria, su una nuvola. Premere su quel cuscino sarebbe letale per una buona vocalità. Molti trattatisti, docenti, cantanti, mal interpretando il concetto di "sostenutezza" (ovvero omettendo quel "del petto"), hanno inventato di sana pianta il "sostegno della voce", che in realtà non ha alcun significato, se non omologo dell'appoggio. Ma anche su questo la trattatistica ha fatto a pezzi il senso artistico del concetto: appoggiare non significa, non DEVE significare, premere, fare forza o una qualsivoglia pressione. L'appoggio è qualcosa di naturale, soffice e involontario. Nessun cantante deve appoggiare in senso attivo, cioè provocare azioni verso il basso, che contrastano la normale e naturale fuoriuscita del fiato; è vero il contrario, cioè che l'appoggio esiste da sè, e non dobbiamo mettere in atto attività che contrastino, o meglio non dobbiamo provocare reazioni che ci portino verso lo spoggio.
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