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venerdì, ottobre 30, 2020

Camminare in progressione

    Un brano musicale è un percorso che si snoda nel tempo e nello spazio. Potremmo riassumerlo con il celebre motto: da dove veniamo, chi siamo e dove andiamo. Per la precisione sono i due poli del passato e del futuro che individuano chi siamo, cioè il presente, che è anche la cosa più difficile da vivere con coscienza, presi come siamo dal nostro passato e a proiettarci nel futuro. 

Quando affrontiamo un brano musicale, dovremmo sempre considerare che anch'esso ha un passato un presente e un futuro, che non riguarda il suo tempo di esecuzione!, ovvero dove e come nasce, come si evolve (fino al punto massimo) e come termina. Il "seme" nascente è fondamentale perché determina tutto ciò che avverrà nello svolgimento; le due fasi, prima e dopo il punto massimo, le possiamo chiamare: fase implicita e fase esplicita. Ciò che avviene dopo (a parte eventuali code, che sono un po' piccoli brani a sé stanti) è una manifestazione di materiali già noti, già sentiti, a volte ripetuti tali e quali a volte variati. Peraltro, come abbiamo già scritto diverse volte, in musica la ripetizione non esiste, quindi la dobbiamo considerare sempre nell'ottica della tensione che, soprattutto nel finale, una mera ripetizione senza porsi il problema di come affrontarla in modo saggio, significa molto spesso "uccidere" il brano. 

Non sto a (ri)fare una lezione di fenomenologia; ciò che volevo puntualizzare è che nell'affrontare lo studio e la realizzazione di una pagina musicale cantata, dobbiamo avere consapevolezza di percorrere un itinerario che non è piatto, non è statico e non è calmo, ma segue un continuo progresso. Sono, in questo senso, molto eloquenti molte arie di Verdi, che iniziano "sottovoce", a volte con pochi o addirittura nessuno strumento, che si aggiungono via via, fino a una grande "esplosione"; ma non è necessario e non è detto che l'esplosione sia sonora, nella dinamica; ciò che esplode è la tensione, ci dobbiamo sentire proiettati, espulsi da una gabbia! L'arte e ciò che comunica, è libertà, e noi dobbiamo vivere questo anelito di libertà. La vita non ci può offrire lo stesso risultato; la fisica ci relega sempre alla nostra dimensione, però possiamo per un tempo limitato sentirci librare nello spazio infinito e vivere l'eternità. A patto di avere gli strumenti: la voce libera e la libertà musicale, ovvero cogliere, riconoscere, il percorso continuativo e unificante segnato dalla tensione, fino al suo punto massimo e il ritorno con i piedi per terra. 

Sento talvolta delle spiegazioni di brani musicali, più o meno celebri, con "storielle", immagini, emozioni. Beh, va tutto bene, ma questi racconti mi mettono malinconia! Relegare brani di grande profondità, di amore per l'umanità, di respiro universale ed eterno in sciocche vicende, non è "semplicità", è banalità, è sminuire i brani e i loro autori. Certo, c'è da capire che solitamente chi fa questo racconti non ha propriamente un'idea della dimensione della musica, non sa come coglierne gli aspetti fondamentali, e si nasconde (e la nasconde) dietro all'esteriorità, cioè agli elementi che stanno fuori dall'uomo, o alla superficie delle sue percezioni.

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