Si dice che una lingua non più in uso costante sia "morta", e per contro quella in uso sia "viva". Bisogna però riconoscere che una lingua viva, come l'italiano, va incontro a usura e anche a un possibile decadimento. Già parecchi anni fa ci fu una sorte di allarme sulla possibile morte dell'italiano, principalmente per il poderoso inserimento e utilizzo di frasi e termini inglesi. Molti, me compreso, spesso protestano per questo indiscriminato uso, soprattutto se e quando si ha la possibilità di utilizzare termini e frasi italiane del tutto appropriate. Ma la storia è vecchia. Tempo fa scaricai da una biblioteca in rete un volume di Pietro Fanfani sul Lessico della corrotta italianità, del 1877. E' una sorta di vocabolario dove voce per voce si fa notare che un certo termine è di derivazione francese o di altra lingua, e/o è improprio, suggerendo altre forme più corrette, appropriate ed eleganti. Se si scorre tale lista si resta più che meravigliati dalla incredibile quantità di termini e locuzioni, per lo più ancora in uso, sia da considerare fuori posto e quanto sono belle, luminose e appropriate quelle proposte come più corrette. Da qui già si può comprendere quanto la lingua italiana sia effettivamente in decadenza, ma credo che un po' tutti ne siano coscienti. Purtroppo è un fatto implicito che, certamente, la scuola potrebbe e dovrebbe saper frenare, ma a mio modo di vedere non si comprende che c'è un divario (un po' come avviene anche in musica) tra l'italiano aulico che si fa studiare e l'uso corrente, troppo diverso. Se qualcuno parla o scrive come nell'800 è evidente che può suscitare ilarità e scherno, proprio perché la lingua si adatta ai cambiamenti sociali e lavorativi, alle attività ludiche e, giustamente, anche alle influenze straniere. Non c'è niente di male, basta che non sia una ingiustificata soppressione di termini corretti. Il computer e tutto il mondo che ruota attorno è giustificato che preveda maggiormente l'uso dell'inglese, perché è un ambiente che si è fortemente sviluppato nei paesi anglosassoni. Lo posso giustificare anche nel mondo dell'economia e soprattutto della finanza. Molto meno, o per niente, in quello dell'arte. Nel mondo del canto e dell'opera, stiamo risentendo molto dello sviluppo che si è originato soprattutto nel campo del musical americano. Ma questo non vale a giustificare che l'insegnante di canto ora si chiami coach, che è un termine nato in campo sportivo. La storia si fa lunga e non è questo il luogo per dilungarmi sull'argomento, anche perché non è la mia materia, mi limito a fare qualche osservazione da cittadino. Però questo post mi è stato provocato pochi minuti fa da un annuncio su facebook di un concerto dove è protagonista una "grande soprana". Posso capire che persone totalmente digiune di glossario musicale possano avere dubbi sull'uso dei termini relativi ai cantanti e si facciano tentare dall'uso di desinenze che a senso possono apparire più appropriate. Del resto qualche anno fa, con l'incredibile avallo dell'istituto della Crusca, si permise di declinare alcuni termini come Sindaco o Ministro con la A finale, come se fosse un affronto al mondo femminile. Giustamente alcuni fecero notare che per analogia non si dovrebbe più dire dentista in campo maschile, ma dentisto!!!! Si chiarisce subito la stupidità di queste argomentazioni. In italiano, rispetto al latino e a tante altre lingue, non esiste il neutro, il che è un male, perché ha un senso logico non dare a molti vocaboli un genere, riferendosi ad attività o situazioni astratte, non conferibili necessariamente a uomini o donne. Qualcuno potrà, allora, contestare l'uso di "soprano", visto che i soprani sono pressoché sempre donne, preferendo l'uso di "sopranista" nel caso dei falsettisti. A parte che soprani sono anche i bambini prima della muta, indipendentemente se maschi o femmine, la questione è che "cantante" è propriamente un termine neutro, si può utilizzare indiscriminatamente per uomini e donne, ma il tipo di voce è legato al REGISTRO. Quindi è un cantante, o una cantante (quindi è l'articolo che definisce il genere) che canta NEL REGISTRO DI SOPRANO, che è maschile, e non c'entra con la persona. Infatti non si usa solo nel canto; sono Soprani, così come tenori, baritoni, bassi, contralti, ecc. anche molti strumenti musicali, ma anche settori degli stessi; nel pianoforte, o nel violino e altri strumenti, si fa riferimento a corde (corda di tenore o di contralto, ecc.) o zone dell'estensione. Dire sopranA è un vero delitto linguistico, che poi, per estensione, come si declinerebbero gli altri termini? ContraltA? mezzosopranA? Mon Dieu...
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sabato, agosto 27, 2022
giovedì, agosto 11, 2022
la pietra del paragone
Per saggiare la qualità di un elemento, si fa riferimento a un campione di accertata qualità. Il campione è il massimo della purezza, quindi diciamo che vale 100. Mettendo a confronto i due elementi, si può così determinare se anche quello da esaminare sia pari a 100 o abbia impurità che ne riducono il valore. Ovviamente nessun campione può essere maggiore di quello di riferimento.
Nel caso del canto, il campione è la voce dell'insegnante, quella è la pietra del paragone e per lui quello è l'obiettivo da raggiungere. Il mio primo insegnante più d'una volta mi disse: "tu puoi cantare anche meglio di me---". vero ma lui come può portare a un livello superiore al proprio? è impossibile, perché la propria posizione è un limite che potrebbe superare solo se incontrasse un insegnante in grado di portarlo a un livello superiore. Allora la questione è la seguente: io conto, con esempi e suggerimenti, di portare tutti al mio livello, e tutto ciò che è inferiore è carenza, è difetto. La qual cosa significa che se io sono al livello 100, cioè perfezione, non ammetto niente al di sotto del 100, ovverosia tutto ciò che è al di sotto di tale soglia per me è difetto. Quindi chi venisse con l'idea di imparare "grossomodo" a cantare, cioè ad avere una preparazione generica sul canto, si troverebbe in difficoltà, perché qui si punta alla perfezione... e basta! Ma non è una mia volontà, non posso farne a meno, perché è il mio udito/cervello che mi segnala come erroneo ogni suono che esuli dal mio 100.
Io penso che tantissime persone non si rendano conto di cosa questo vuol dire. A parole tutti vogliono imparare il canto in modo perfetto, ma cosa questo significhi non è chiaro. E' un progetto di vita che non ammette genericità, distrazioni, approssimazioni. Significa dedicarsi al canto a 360° e al 100%. Se non è così, i progressi non solo saranno modesti, ma addirittura potranno verificarsi degli arretramenti, per questioni legate all'apprendimento stesso. Come dovrebbe essere noto a chiunque segua questa scuola o almeno questo blog, raggiungere la perfezione non è un fatto tecnico, ma significa far nascere un nuovo senso, il senso fonico, onde superare la barriera dell'istinto, il che significa avere un'esigenza talmente forte da poter vincere un sistema fortemente radicato in noi, vitale. Spero sia chiaro cosa significa questo! Non è questione di volontà, ma di una potente forza interiore, che non si può "volere", ma c'è... o non c'è! E se non c'è non la si può creare e di conseguenza manca l'esigenza per poter superare l'istinto e sviluppare un senso fonico. Ciò, a sua volta, significa che si rimane preda dell'istinto, ovvero udito e vocalità non possono compiere il salto artistico, si rimarrà a un livello "tecnico", cioè difettoso, rispetto al livello 100.
Cosa voglio dire e cosa significa tutto ciò? Che questa scuola ha un senso e si motiva se si punta alla perfezione. Ho sempre detto: questa scuola è come una strada che ha una fine, un traguardo. Ognuno, però, può prendere un'uscita precedente quando ritiene di aver raggiunto un livello soddisfacente. Questo livello, però, sarà sempre avversato da me, che lo avverto e lo segnalo come carente. Il pericolo, quindi, è di rimanere "vita natural durante" (si fa per dire) attaccati all'insegnante che continua a segnalare errori e difetti. Ma se l'allievo non possiede quel "fuoco" quella spinta o forza interiore che lo fa agognare come esigenza vitale il raggiungere la perfezione, la questione è irrisolvibile. Quindi dovrà essere l'allievo a rendersi conto quando il proprio livello gli è sufficiente, tenendo anche conto che a un certo punto i progressi si arresteranno, perché, come ho spiegato, spero chiaramente, in un post poco tempo fa, l'ultimo passo lo deve fare lui; nessun maestro è in grado di far percorrere quell'ultimo miglio. E' una sfida personale tra il proprio io spirituale e il proprio fisico, cioè è il trascendere la fisicità del canto. Questo vuol dire diventare coscienti, ammettere la propria situazione, senza infingimenti e false speranze. Con umiltà e coraggio.
Il m° Celibidache diceva, a proposito delle prove, che sono un susseguirsi di "NO"; "no così, non quello strumento più forte dell'altro, non così debole, .... no questo, non quello... no, no...quanti "Sì"? solo uno; tutti quei no per far sì che possa emergere quell'unico SI'. Questo è lo stesso che accade in una lezione di canto, sono infiniti NO per poter apprezzare quel SI' che è la verità. Ma chi canta ed eventualmente chi assiste devono concentrarsi per capire perché il maestro dice "no", fino a che sapranno anticipare loro stessi quel no. Significherà che la loro coscienza, il loro udito e la loro voce si stanno evolvendo.