Il vero e unico passaggio è quello dai suoni sbagliati, ingolati, frenati, nasali, "immascherati", schiacciati, ecc, ai suoni giusti, ovvero libero, fluidi, puri, piacevoli, E ho detto tutto.
Translate
mercoledì, febbraio 26, 2025
mercoledì, febbraio 19, 2025
La non pronuncia
Ma come? Ci hai massacrato le orecchie a suon di ripetere "pronuncia, pronuncia", "parla, parla", e poi vieni fuori con "non pronunciare"?
Esatto, la pronuncia può essere realizzata fisicamente
oppure... no. In realtà non c'è contraddizione; quando parliamo non usiamo
quasi mai una pronuncia fisica, muscolare, e deduciamo questo dal fatto che
normalmente parlando riusciamo a essere fluidi e a non provare fatica e sforzo.
La prima causa di questa facilità consiste nel fatto che il nostro apparato
respiratorio, quando parliamo, è tarato su un tipo di emissione estremamente
leggero e poco continuativo, cioè esce un po' a intervalli. Come sempre
ricordate che sono questioni estremamente soggettive, quindi variano tantissimo
da persona a persona.
In ogni modo, il problema si presenta quando intendiamo
cantare, soprattutto con intenzioni artistiche, cioè canto lirico, operistico,
classico, che non necessita di un'amplificazione elettrica o elettronica, e
ancor di più quando superiamo la prima ottava della nostra estensione. Ripeto
per quanti non hanno seguito i dettami di questa scuola, che mentre la prima
ottava è un dono della Conoscenza, fissato nel DNA, che ci consente di parlare
fluidamente, la seconda ottava è un residuo ancestrale della nostra animalità,
quindi è seguito dalla parte più antica della mente, che non la considera una
zona per la comunicazione corrente, ma per l'emergenza e per occasioni
specifiche e particolari (aiuto, aggressione, dolore...). Ciò produce una
spaccatura non solo nelle meccaniche produttrici, ma soprattutto
nell'alimentazione respiratoria. Ciò comporta che nella seconda ottava risulta
difficile, a volte difficilissimo parlare, perché il corpo interpreta i nostri
tentativi di utilizzare vocalmente quella zona in modo espressivo, come uno
sforzo e pertanto si genera una chiusura della glottide e un sollevamento del
diaframma. L'errore, involontario, che fanno quasi tutti gli insegnanti, è di
considerare la seconda ottava alla stregua della prima, da affrontare solo
mediante un "passaggio". Un passaggio che, però, porta in una
dimensione limitata, infatti la maggior parte dei cantanti in zona acuta ha
soverchia difficoltà di pronuncia, tende a gridare, o comunque a cantare molto
forte, e avverte notevole fatica. Infatti i danni che si producono agli
apparati vocali, si realizzano più frequentemente affrontando la zona
acuta.
Ma torniamo a noi. Nel momento in cui immettiamo nella voce
la volontà di cantare, compiamo più frequentemente distorsioni e modificazioni
e soprattutto perdiamo quella spontaneità e leggerezza tipica del parlato
fluente e tendiamo invece a spingere e cercare ausili muscolari di vario tipo,
in base agli insegnamenti ricevuti o alle proprie idee.
L'idea che la parola sia la chiave del grande canto
artistico, che era presente nelle antiche scuole di canto o vocali comunque
sia, oggi non sfiora quasi più alcun docente, mentre ha preso prepotentemente
piede l'idea di utilizzare i movimenti interni (velopendulo, lingua, faringe,
laringe, diaframma, muscolatura addominale dorsale, pelvica, ecc.). Questo fa
sì che mentre un tempo tutte le voci riuscivano in tempi ragionevoli a produrre
ottimamente gli acuti (lo possiamo vedere nelle cronache musicali ottocentesche
sui giornali presenti anche in internet, quando in centinaia di teatri
pressoché contemporaneamente si producevano opere di elevato impegno vocale),
oggi abbiamo una vera crisi, per cui molte opere devono essere eseguite
abbassando la tonalità, e anche con questo pessimo artificio mandare i cantanti
incontro a problemi e prestazioni mediocri.
Quindi, come ripeto, la chiave di volta per arrivare a una
vocalità esemplare, è la dizione, la perfetta pronuncia. Peccato però che anche
così non basti!! La tendenza istintiva, infatti, ci fa utilizzare
prevalentemente la muscolatura, e la propriocezione di ogni vocale ci fa
credere che ognuna di esse abbia un punto o zona interna dove
"suona", dove si produce. La questione, purtroppo, è drammaticamente
sbagliata! Se noi osserviamo il nostro parlato quotidiano, non possiamo fare a
meno di notare che la voce suona e si produce esternamente! Questo però avviene
in modo spontaneo, come camminare e respirare. Nel momento in cui vorremmo
prendere coscienza del fenomeno, sleghiamo le relazioni esistenti e mandiamo
tutto all'aria. Quindi, se da un lato è fondamentale eseguire esercizi i più
precisi possibili sul parlato, dovremo arrivare a cogliere la verità di esso
per poterlo utilizzare anche nel canto a livello espressivo e nel modo più raffinato
e sensibile possibile.
Questo significa mettere in relazione perfetta fiato e
parola. Ma nel momento in cui io vi dico che dobbiamo estirpare la componente
muscolare dalla pronuncia, per lasciarla unicamente al fiato, voi giustamente
domanderete: ma cosa produce la pronuncia, se è esterna?
La risposta, molto poco tranquillizzante, è che non vi sarà
niente di fisico (o quasi) in questo processo. Labbra, lingua, cavità orale e
faringea, potranno atteggiarsi a seconda delle vocali che andremo a
pronunciare, ma in modo appena avvertibile e secondo impulsi mentali non
dominabili volontariamente. Anzi, è proprio il voler "fare"
volontariamente che interrompe quella fluidità indispensabile al buon canto, e
quindi alla buona pronuncia.
La frase che più frequentemente pronuncio soprattutto con
chi è già un po' avanti nello studio, è "lascia andare" o
"lasciati andare". Non ci deve essere volontà di pronuncia. Noi
dobbiamo "sentirla", viverla come spettatori. Non è un
"emettere", un "proiettare", perché questo induce pressioni
e spinte, ma come una sorta di magia, allorché le parole, o vocali, o sillabe,
nascono davanti a noi e si muovono scivolando, senza impulsi e
"botte", solo grazie al consumo di fiato e dove gli apparati si
lascino percorrere inerzialmente, senza collaborare, soltanto
rilassandosi.
Dunque la pronuncia non esiste fisicamente, è un prodotto
astratto della mente. Non si può chiedere "come faccio a fare quella
"A", o "E", ecc. non esiste alcun modo pratico. Devo
lasciare che avvenga. Poi naturalmente ci sarà anche una seconda fase: come
faccio a intensificare o ridurre l'intensità? Tutto è legato al fiato, alla sua
continuità, al suo consumo. Ma anche su questo dobbiamo porre attenzione: non
si deve premere sul fiato, lo si deve lasciare fluire. L'unica parte del corpo
che noi dobbiamo controllare è il torace. Mediante la postura
"nobile", cioè col torace alto e avanzato che non ricade durante il
canto, noi faremo sì che il fiato stesso "galleggi", cioè non sia
premuto e non prema a sua volta su niente. La leggerezza e la purezza. La magia
sarà quando riusciremo, senza volerlo praticamente, a produrre il canto con una
perfetta pronuncia che si espanderà davanti a noi occupando tutto lo spazio
possibile. E' l'espansione dell'amore, del coinvolgimento degli altri. Non si
canta per sé, ma per la felicità condivisa.
Se non vi è chiaro qualcosa, chiedete, ma soprattutto:
leggete il libro!
sabato, febbraio 08, 2025
La gola morta
"Gola morta" è un termine che veniva usato anticamente dagli insegnanti di canto. Ritengo sia un attributo eccellente per caratterizzare lo stato interno degli apparati durante l'emissione. Purtroppo non è così facile da conquistare, ma è ciò che provo e che sento in chi canta esemplarmente quando la voce dà il massimo delle sue possibilità. Tutta la voce risuona esternamente e dentro si ha la sensazione di una incredibile rilassatezza dei tessuti e degli organi, compresa la laringe, il faringe, il velopendulo, la lingua... E' come se non avessero più alcun ruolo attivo, puri testimoni passivi di un evento demandato unicamente al fiato, che andrà a generare il canto nell'acustica esterna. Alleggerire, diminuire, togliere, ecc. sono i termini che devo utilizzare di continuo con gli allievi per far sì che evitino di partecipare e far partecipare il fisico al processo di emissione, al di là delle sole componenti respiratorie. L'atteggiamento o postura "nobile" è l'unica indicazione fisica che può essere consigliata per far sì che il fiato "galleggi", cioè non sia compresso o spinto in nessun mondo. Per il resto... basta la parola (senza riferimento all'antica pubblicità televisiva)!