Translate

mercoledì, febbraio 19, 2025

La non pronuncia

 Ma come? Ci hai massacrato le orecchie a suon di ripetere "pronuncia, pronuncia", "parla, parla", e poi vieni fuori con "non pronunciare"?

Esatto, la pronuncia può essere realizzata fisicamente oppure... no. In realtà non c'è contraddizione; quando parliamo non usiamo quasi mai una pronuncia fisica, muscolare, e deduciamo questo dal fatto che normalmente parlando riusciamo a essere fluidi e a non provare fatica e sforzo. La prima causa di questa facilità consiste nel fatto che il nostro apparato respiratorio, quando parliamo, è tarato su un tipo di emissione estremamente leggero e poco continuativo, cioè esce un po' a intervalli. Come sempre ricordate che sono questioni estremamente soggettive, quindi variano tantissimo da persona a persona. 

In ogni modo, il problema si presenta quando intendiamo cantare, soprattutto con intenzioni artistiche, cioè canto lirico, operistico, classico, che non necessita di un'amplificazione elettrica o elettronica, e ancor di più quando superiamo la prima ottava della nostra estensione. Ripeto per quanti non hanno seguito i dettami di questa scuola, che mentre la prima ottava è un dono della Conoscenza, fissato nel DNA, che ci consente di parlare fluidamente, la seconda ottava è un residuo ancestrale della nostra animalità, quindi è seguito dalla parte più antica della mente, che non la considera una zona per la comunicazione corrente, ma per l'emergenza e per occasioni specifiche e particolari (aiuto, aggressione, dolore...). Ciò produce una spaccatura non solo nelle meccaniche produttrici, ma soprattutto nell'alimentazione respiratoria. Ciò comporta che nella seconda ottava risulta difficile, a volte difficilissimo parlare, perché il corpo interpreta i nostri tentativi di utilizzare vocalmente quella zona in modo espressivo, come uno sforzo e pertanto si genera una chiusura della glottide e un sollevamento del diaframma. L'errore, involontario, che fanno quasi tutti gli insegnanti, è di considerare la seconda ottava alla stregua della prima, da affrontare solo mediante un "passaggio". Un passaggio che, però, porta in una dimensione limitata, infatti la maggior parte dei cantanti in zona acuta ha soverchia difficoltà di pronuncia, tende a gridare, o comunque a cantare molto forte, e avverte notevole fatica. Infatti i danni che si producono agli apparati vocali, si realizzano più frequentemente affrontando la zona acuta. 

Ma torniamo a noi. Nel momento in cui immettiamo nella voce la volontà di cantare, compiamo più frequentemente distorsioni e modificazioni e soprattutto perdiamo quella spontaneità e leggerezza tipica del parlato fluente e tendiamo invece a spingere e cercare ausili muscolari di vario tipo, in base agli insegnamenti ricevuti o alle proprie idee. 

L'idea che la parola sia la chiave del grande canto artistico, che era presente nelle antiche scuole di canto o vocali comunque sia, oggi non sfiora quasi più alcun docente, mentre ha preso prepotentemente piede l'idea di utilizzare i movimenti interni (velopendulo, lingua, faringe, laringe, diaframma, muscolatura addominale dorsale, pelvica, ecc.). Questo fa sì che mentre un tempo tutte le voci riuscivano in tempi ragionevoli a produrre ottimamente gli acuti (lo possiamo vedere nelle cronache musicali ottocentesche sui giornali presenti anche in internet, quando in centinaia di teatri pressoché contemporaneamente si producevano opere di elevato impegno vocale), oggi abbiamo una vera crisi, per cui molte opere devono essere eseguite abbassando la tonalità, e anche con questo pessimo artificio mandare i cantanti incontro a problemi e prestazioni mediocri. 

Quindi, come ripeto, la chiave di volta per arrivare a una vocalità esemplare, è la dizione, la perfetta pronuncia. Peccato però che anche così non basti!! La tendenza istintiva, infatti, ci fa utilizzare prevalentemente la muscolatura, e la propriocezione di ogni vocale ci fa credere che ognuna di esse abbia un punto o zona interna dove "suona", dove si produce. La questione, purtroppo, è drammaticamente sbagliata! Se noi osserviamo il nostro parlato quotidiano, non possiamo fare a meno di notare che la voce suona e si produce esternamente! Questo però avviene in modo spontaneo, come camminare e respirare. Nel momento in cui vorremmo prendere coscienza del fenomeno, sleghiamo le relazioni esistenti e mandiamo tutto all'aria. Quindi, se da un lato è fondamentale eseguire esercizi i più precisi possibili sul parlato, dovremo arrivare a cogliere la verità di esso per poterlo utilizzare anche nel canto a livello espressivo e nel modo più raffinato e sensibile possibile. 

Questo significa mettere in relazione perfetta fiato e parola. Ma nel momento in cui io vi dico che dobbiamo estirpare la componente muscolare dalla pronuncia, per lasciarla unicamente al fiato, voi giustamente domanderete: ma cosa produce la pronuncia, se è esterna? 

La risposta, molto poco tranquillizzante, è che non vi sarà niente di fisico (o quasi) in questo processo. Labbra, lingua, cavità orale e faringea, potranno atteggiarsi a seconda delle vocali che andremo a pronunciare, ma in modo appena avvertibile e secondo impulsi mentali non dominabili volontariamente. Anzi, è proprio il voler "fare" volontariamente che interrompe quella fluidità indispensabile al buon canto, e quindi alla buona pronuncia.

La frase che più frequentemente pronuncio soprattutto con chi è già un po' avanti nello studio, è "lascia andare" o "lasciati andare". Non ci deve essere volontà di pronuncia. Noi dobbiamo "sentirla", viverla come spettatori. Non è un "emettere", un "proiettare", perché questo induce pressioni e spinte, ma come una sorta di magia, allorché le parole, o vocali, o sillabe, nascono davanti a noi e si muovono scivolando, senza impulsi e "botte", solo grazie al consumo di fiato e dove gli apparati si lascino percorrere inerzialmente, senza collaborare, soltanto rilassandosi. 

Dunque la pronuncia non esiste fisicamente, è un prodotto astratto della mente. Non si può chiedere "come faccio a fare quella "A", o "E", ecc. non esiste alcun modo pratico. Devo lasciare che avvenga. Poi naturalmente ci sarà anche una seconda fase: come faccio a intensificare o ridurre l'intensità? Tutto è legato al fiato, alla sua continuità, al suo consumo. Ma anche su questo dobbiamo porre attenzione: non si deve premere sul fiato, lo si deve lasciare fluire. L'unica parte del corpo che noi dobbiamo controllare è il torace. Mediante la postura "nobile", cioè col torace alto e avanzato che non ricade durante il canto, noi faremo sì che il fiato stesso "galleggi", cioè non sia premuto e non prema a sua volta su niente. La leggerezza e la purezza. La magia sarà quando riusciremo, senza volerlo praticamente, a produrre il canto con una perfetta pronuncia che si espanderà davanti a noi occupando tutto lo spazio possibile. E' l'espansione dell'amore, del coinvolgimento degli altri. Non si canta per sé, ma per la felicità condivisa.

Se non vi è chiaro qualcosa, chiedete, ma soprattutto: leggete il libro!

1 commento:

  1. Nel mio percorso ho sempre cercato un criterio, qualcosa che mi dicesse se il mio suono fosse giusto (al di là degli insegnanti che non ho mai capito dove andassero a parare facendomi vocalizzare su due ottave e più senza dirmi che spingevo e basta): in effetti la mia voce è veramente inaffidabile e cambia tantissimo la qualità a seconda delle giornate. Adesso ho capito che il criterio base deve essere la libertà della mandibola: se la mandibola è libera, consonanti e vocali escono fuori che è una meraviglia, anche sugli acuti (anzi sembra che in quella zona la voce va da sola). La grande difficoltà è quella di avere fiato a sufficienza per reggere la frase musicale, appena finisce il fiato, le vocali si stringono e il petto, per quanto mi sforzi di tenerlo, ricade sempre un po'. Se non avessi letto i tuoi articoli (il libro non so perchè, l'ho un po' accantonato), non avrei certo la costanza di continuare su questa strada, ma con gli anni mi accorgo che il fiato matura, lentamente, ma costantemente, tanto che persino la mia erre moscia è migliorata.

    RispondiElimina