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venerdì, luglio 30, 2010

Chi ha orecchie da intender... intenda!

Mi capita non raramente di sentire qualcuno affermare: "le orecchie le ho anch'io". Interessante; non so se lo dicono più per convincere gli altri o sè stessi (ovvero entrambi). Ma con quale criterio affermano ciò? Nessunissimo, se non il fatto che da anni e anni ascoltano dischi o vanno a teatro. Basta ciò? No! Si può passare che una lunga frequentazione di luoghi musicali, essendo concentrati nell'ascolto, può migliorare, sensibilizzare un pochino l'udito, ma da qui a pensare che con quelle orecchie si possa realmente insegnare canto o semplicemente sentire, con sicurezza, errori di impostazione o di intonazione, a meno che non si abbia una dote di natura particolare, questo no. La vera sensibilizzazione dell'orecchio può avvenire solo e unicamente studiando BENE il canto o suonando uno strumento che richieda accordatura.
Ad agosto aggiungo: L'apparato uditivo - così come quello fonatorio - non sottostando a un'esigenza di particolare raffinatezza (come può essere per taluni animali), nella specie non è adeguato a percepire la perfezione vocale. Può essere sensibilizzato oltre che per motivi soggettivi, da ascolti concentrati e ripetuti, PERO' potrà progredire solo nell'ambito della tolleranza propria dell'istinto umano. Perché possa effettivamente evolversi oltre le esigenze comuni di specie, occorre quell'esigenza artistica e quella disciplina che, pur non essendo rivolta prioritariamente all'orecchio, ma alla voce, ne causerà comunque una sensibilizzazione relativa, perché diventa uno strumento necessario al progresso (infatti noi diciamo fin dalla prima lezione che diventerà indispensabile ascoltarsi con l'orecchio esterno, e non tramite sensazioni).

mercoledì, luglio 28, 2010

Portata, calibro, canna.

Nel gergo un po' grossolano di certo pubblico, ma anche insegnanti e cantanti stessi, il "calibro" della voce, specie se rilevante, è da molto tempo definito "canna". Credo faccia riferimento a una suggestione, anche uditiva, di cantanti con voci molto potenti, che rivelano una fuoriuscita di fiato sonoro di forte impatto. Questa caratteristica secondo alcuni è tipica esclusivamente di voci cresciute alla scuola dell'affondo. Devo dire che la scuola dell'affondo... non esiste; nel senso che il m° Melocchi ebbe qualche celebre allievo, dopodiché, leggendo qua e là, mi pare che le scuole successive siano state piuttosto personalizzate; non mi pare che esista un criterio comune e condiviso, un manuale di riferimento. Comunque sia, ritengo che certa scuola dell'affondo, nel costante lavoro di spinta verso il basso, si ritrovi col tempo con problemi di allargamento del suono che creano non pochi problemi: intanto un frequente ricorso al portamento specie negli intervalli verso l'alto, di cui erano affetti sia Del Monaco che Corelli, sia una storpiatura di diverse vocali verso la E larga, difetto che si riscontra in tutte le tarde esecuzioni di Del Monaco. Su Corelli bisogna però fare un distinguo, perché alla fine degli anni 50 si sottopose a una sostanziosa cura di Bel Canto targata Lauri Volpi, che contribuì su due fronti (ma non si deve dimenticare che L.V. non era comunque un maestro di canto): pulizia stilistica e messa a fuoco dell'intera gamma, particolarmente delle note di passaggio e conseguentemente degli acuti. Sul primo fronte bisogna dire che il risultato fu solo parziale. Certo furono tolti molti singulti e vezzi di bassa caratura, però i portamenti proseguirono. Molto interessante invece è lavoro di messa a fuoco, che riguarda l'argomento in oggetto.
Quello che storicamente si definisce "Belcanto" è un periodo della storia del teatro in musica contraddistinto da un uso rilevante dell'agilità, del canto malinconico e a fior di labbro che andrà a sparire sempre più nel corso del secondo Ottocento. In quel periodo poco o nulla interessavano suoni di grande portata, che erano perlopiù intesi come volgari. Ora la domanda è la seguente: sappiamo se nella scuola del belcanto è possibile emettere suoni di grande volume e intensità, possendone, ovviamente, le caratteristiche fisio-anatomiche, e se nella scuola dell'affondo è possibile cantare ruoli di agilità e a fior di labbro? Credo che questa domanda non sia mai stata posta con serietà, e le relative risposte siano state intuite, ma senza una oggettiva considerazione. L'equivoco si basa sul un malposto e mal interpretato concetto di "cavità". Credo che la maggior parte dei docenti, allievi, cantanti odierni, ritenga che la differenza tra canto più antico e più recente (sempre in ambito operistico, ovviamente), si basi semplicemente su diverso uso della "cavità". Niente di più erroneo. E' vero che le voci più drammatiche fanno maggior uso di cavità, in quanto il colore oscuro è considerato più idoneo al genere, ma senza un adeguato appoggio e caratteristiche fisio-anatomiche relative, la cavità non serve a niente. Non è la cavità che genera appoggio (e potenza), ma l'opposto. La grande scuola del Belcanto (cui faccio riferimento), ovvero l'antica scuola italiana, pone l'appoggio non "affondato" verso il basso, ma proiettato in avanti, sì che la pressione dell'aria concentrata sull'osso mandibolare possa riflettersi sul diaframma e ottenere grande appoggio e conseguentemente ampiezza di suono. Posto questo, ciò che può distinguere il risultato finale dipende dal repertorio. Se sono soprano e devo cantare la regina della notte, tanto per dire, devo fare i conti con una tessitura acutissima e agilità funamboliche. Un'ampia portata di suoni renderebbe impossibili l'uno e l'altro. Diventa indispensabile portare il "calibro" di ciascun suono (cioè la grandezza della pronuncia delle singoli vocali) al minimo; così facendo avrò un peso minore da sopportare e da muovere. Se invece devo cantare... che so, Turandot, avrò bisogno della massima portata possibile. Ma, e qui arriviamo a sciogliere il nodo, non avrò bisogno di "girare" la frittata, cioè puntare verso il basso (o... dentro!!) e allargare il più possibile, ma continuare a far pressione sull'osso mandibolare, ampliando verticalmente e un po' anche orizzontalmente la bocca, e dando il massimo apporto di fiato. Se l'educazione è stata corretta, e ci sono le doti di base necessarie, avrò un canto "romantico" scuro, potente, legato e incisivo; avrò anche perfetta pronuncia, possibilità di intervento dinamico su ciascun suono, e sempre pienezza di estensione. Non so se nella scuola dell'affondo si possano ottenere risultati analoghi in relazione al belcantismo; ho dei dubbi, ma non sta a me rispondere!

lunedì, luglio 26, 2010

Bel canto = voce piccola?

Sto cominciando a perdere il filo del percorso svolto su questo blog, quindi mi scuso se molti pensieri si ripeteranno. Il M° Antonietti diceva che la ripetizione è indispensabile, non bisogna aver timore di ribadire e ripetere i concetti, sia per scritto che a lezione, perché per quanto un concetto sembri chiaro, sarà infine una sfutamatura a far veramente assimilare quel particolare aspetto che si vuol far comprendere. Devo dire che sposo in toto questo pensiero, perché fu proprio grazie a una lettura quasi maniacale di alcuni scritti del M° che iniziai a penetrarne i "segreti" (che tali non sono affatto).
Ordunque torno, grazie a un input fresco fresco, su un luogo comune purtroppo molto diffuso. Differenze tra la cosiddetta "scuola del bel canto" e scuola dell'affondo, che, a detta di molti, darebbero differenze piuttosto rilevanti nella portata di suono. Comincio a porre una domanda, che potrà apparire paradossale. Una cantante come la Devia, che credo si possa annoverare pienamente tra le belcantiste, in altra scuola avrebbe potuto cantare Wagner? o Aida o Macbeth?. Analogamente Florez potrebbe, avendo seguito altro tipo di scuola, cantare Trovatore o Lohengrin? Mancando la prova provata, possiamo solo fare congetture, ma mi pare evidente che non è stata la scuola a creare il soggetto, ma il soggetto a cercarsi la scuola idonea alle proprie caratteristiche. E fin qui credo si possa essere tutti d'accordo, e ritengo che il discorso valga anche per l'opposto: un Martinucci difficilmente avrebbe potuto essere un credibile Nemorino, e la Marton Adina!
Però diciamo che sono esistiti cantanti che hanno saputo gestire campi "misti", come Wunderlich o Maria Callas... uhm, già... la Callas! Come la mettiamo che un soprano lirico spinto, con una voce di certo non piccola, non esile, non chiara, di portata rilevante, poteva cantare con una certa disinvoltura Sonnambula, Puritani, Lucia, ecc. ecc.? Si dirà che era una fuoriclasse, un caso eccezionale. E siamo d'accordo, ma siccome non era marziana, il fatto è che dimostrò che si può fare! E infatti ci sono stati prima, ma soprattutto dopo, di lei alcuni soprani che senza ripercorrerne esattamente le orme, hanno dimostrato che le strade del belcantismo e del romanticismo più avanzato non sono tra loro contrastanti (vedi la Scotto e la Gencer, tanto per fare due nomi, ad es.). Ma credo che il discorso venga maggiormente sposato alle voci maschili e miratamente ai tenori! (come se fossero qualcosa di particolare). Infatti qui non sono pochi i cantanti, gli appassionati, (i fanatici!), gli insegnanti che dichiarano senza dubbi che la scuola del belcanto non avrebbe potuto partorire una voce alla Del Monaco, così come una scuola alla Melocchi difficilmente avrebbe prodotto una Toti o uno Schipa. Qual è il punto della questione? Che una voce, per fare agilità, deve essere più leggera e per cantare il verismo o il tardo romanticismo deve avere tanta "canna" e quindi più "peso"? Ma qui trattiamo un aspetto stilistico. Il belcanto deve basarsi su pulizia, nitidezza di suono. Inoltre le tessiture non permettono troppo suono, perché il peso diverrebbe insostenibile, se perdurasse a lungo, come avviene in una Lucia o Sonnambula. Quindi, così come fece, più in virtù di istinto che d'altro, la Callas, la voce, se sapientemente educata, può cambiare il rapporto di peso, e quindi una stessa voce può modificare le proprie caratteristiche, e rapportarsi al tipo di repertorio. E' chiaro che se parliamo di una voce in natura già di modesta portata, non avrà molto da aggiungere. Ma se parliamo di una voce già di medio spessore, con la giusta scuola potrà, se ne avrà le caratteristiche culturali, oltreché vocali, e intellettive, affrontare repertori molto diversi, come fece, caso abbastanza unico, Giacomo Lauri Volpi. Dunque, per concludere, rigetto come fondamentalmente sbagliato il concetto che nella scuola di belcanto si possa solo cantare repertorio "belcantistico", e per cantare repertorio tardoromantico ci si debba rivolgere a scuole "affondiste". Ci sono solo buone scuole e cattive scuole. Affrontare un repertorio o un altro, è questione di gusto personale, di scelte culturali e stilistiche non superficiali. Nella mia scuola ci sono allievi con voci molto ampie, più inclini a repertorio verdiano o del primo Novecento, ed altri che si spingono più verso l'agilità e il periodo classico e barocco; sono anche scelte dettate dalla salvaguardia della vocalità di ciascuno, e che assecondano le inclinazioni, che entro certi limiti è bene assecondare. La scuola però deve anche badare ad allargare i confini conoscitivi, culturali di ciascun allievo, e se possibile di repertorio. In un prossimo post vedrò di scendere maggiormente in alcuni dettagli tecnici sulle differenze educative di queste scuole.

domenica, luglio 11, 2010

Passaggi diversi

Una domanda senz'altro interessante riguarda il motivo per cui gli uomini hanno passaggi al falsetto su note diverse a seconda delle classi, mentre le donne passano tutte sul fa. La ragione che possiamo presumere è che per ragioni di equilibrio occorre che il cantante utilizzi sempre una certa percentuale di petto e una di falsetto; pensiamo a un basso, che ha i propri acuti su fa e fa#; se passasse sul fa praticamente utilizzerebbe solo una nota o due in falsetto, cioè una percentuale quasi nulla; peraltro se un tenore passasse su un re, utilizzerebbe una percentuale eccessiva di falsetto. Per le donne invece la cosa è diversa in quanto tutte percorrono l'intera estensione del falsetto, indipendentemente dall'estensione generale.

giovedì, luglio 01, 2010

Le difficoltà

Quando si inizia lo studio del canto, quante e quali possono essere le difficoltà incontrate, e quanto possono incidere sul percorso formativo e su una possibile carriera nel mondo del canto? Posto che può avere una certa importanza anche l'età, la difficoltà più usuale che incontrano gli aspiranti cantanti riguarda la possibilità di eseguire i suoni acuti. Nel canto lirico risulta fondamentale l'utilizzo di tutti i registri vocali, e sappiamo come il registro di falsetto negli uomini e di falsetto-testa nelle donne costituisca o possa costituire un ostacolo a volte davvero di difficile superamento. Il motivo di fondo è naturalmente sempre legato a aspetti respiratori e istintivi, ma resta il fatto che ci possono essere casi in un cui occorrono anche mesi per raggiungere l'estensione standard della propria classe vocale. Questa difficoltà, se gli altri parametri risultano accettabili, non è pregiudizievole a un normale percorso di studi e di carriera. Possono esserci, seppur poco frequenti, casi in cui l'estensione rimane "corta" (per motivi perlopiù di carattere anatomico), e in questo caso certo una carriera solistica può risultare difficilmente ipotizzabile, ma anche in questo caso non è detto se ci fossero altre qualità rimarchevoli. La limitatezza del volume e dello smalto vocale, escludendo naturalmente difficoltà di ordine tecnico, sono cause molto frequenti di esclusione da concorsi e audizioni. In alcuni casi può essere comprensibile, in altri no, specie se sono voci che spandono bene nell'ambiente, però al giorno d'oggi è più considerato un pessimo cantante con grande voce che un ottimo cantante con voce piccola. Questo, oltre ad essere artisticamente sbagliato, lo è anche sotto un aspetto educativo, perché tutti i ragazzi che studiano canto tendono a spingere e a cercare tanta voce, volume, armonici, ricorrendo alle fantasie più diaboliche e lasciandosi irretire da slogan di insegnanti di pochi scrupoli o comunque poco coscienziosi.
In qualche caso la difficoltà di sviluppo del canto può anche essere indotta da insufficienza respiratoria. In questo caso, oltre a consigliare attività fisica, potrebbe risultare necessario esercitare anche una tecnica respiratoria.