Sto cominciando a perdere il filo del percorso svolto su questo blog, quindi mi scuso se molti pensieri si ripeteranno. Il M° Antonietti diceva che la ripetizione è indispensabile, non bisogna aver timore di ribadire e ripetere i concetti, sia per scritto che a lezione, perché per quanto un concetto sembri chiaro, sarà infine una sfutamatura a far veramente assimilare quel particolare aspetto che si vuol far comprendere. Devo dire che sposo in toto questo pensiero, perché fu proprio grazie a una lettura quasi maniacale di alcuni scritti del M° che iniziai a penetrarne i "segreti" (che tali non sono affatto).
Ordunque torno, grazie a un input fresco fresco, su un luogo comune purtroppo molto diffuso. Differenze tra la cosiddetta "scuola del bel canto" e scuola dell'affondo, che, a detta di molti, darebbero differenze piuttosto rilevanti nella portata di suono. Comincio a porre una domanda, che potrà apparire paradossale. Una cantante come la Devia, che credo si possa annoverare pienamente tra le belcantiste, in altra scuola avrebbe potuto cantare Wagner? o Aida o Macbeth?. Analogamente Florez potrebbe, avendo seguito altro tipo di scuola, cantare Trovatore o Lohengrin? Mancando la prova provata, possiamo solo fare congetture, ma mi pare evidente che non è stata la scuola a creare il soggetto, ma il soggetto a cercarsi la scuola idonea alle proprie caratteristiche. E fin qui credo si possa essere tutti d'accordo, e ritengo che il discorso valga anche per l'opposto: un Martinucci difficilmente avrebbe potuto essere un credibile Nemorino, e la Marton Adina!
Però diciamo che sono esistiti cantanti che hanno saputo gestire campi "misti", come Wunderlich o Maria Callas... uhm, già... la Callas! Come la mettiamo che un soprano lirico spinto, con una voce di certo non piccola, non esile, non chiara, di portata rilevante, poteva cantare con una certa disinvoltura Sonnambula, Puritani, Lucia, ecc. ecc.? Si dirà che era una fuoriclasse, un caso eccezionale. E siamo d'accordo, ma siccome non era marziana, il fatto è che dimostrò che si può fare! E infatti ci sono stati prima, ma soprattutto dopo, di lei alcuni soprani che senza ripercorrerne esattamente le orme, hanno dimostrato che le strade del belcantismo e del romanticismo più avanzato non sono tra loro contrastanti (vedi la Scotto e la Gencer, tanto per fare due nomi, ad es.). Ma credo che il discorso venga maggiormente sposato alle voci maschili e miratamente ai tenori! (come se fossero qualcosa di particolare). Infatti qui non sono pochi i cantanti, gli appassionati, (i fanatici!), gli insegnanti che dichiarano senza dubbi che la scuola del belcanto non avrebbe potuto partorire una voce alla Del Monaco, così come una scuola alla Melocchi difficilmente avrebbe prodotto una Toti o uno Schipa. Qual è il punto della questione? Che una voce, per fare agilità, deve essere più leggera e per cantare il verismo o il tardo romanticismo deve avere tanta "canna" e quindi più "peso"? Ma qui trattiamo un aspetto stilistico. Il belcanto deve basarsi su pulizia, nitidezza di suono. Inoltre le tessiture non permettono troppo suono, perché il peso diverrebbe insostenibile, se perdurasse a lungo, come avviene in una Lucia o Sonnambula. Quindi, così come fece, più in virtù di istinto che d'altro, la Callas, la voce, se sapientemente educata, può cambiare il rapporto di peso, e quindi una stessa voce può modificare le proprie caratteristiche, e rapportarsi al tipo di repertorio. E' chiaro che se parliamo di una voce in natura già di modesta portata, non avrà molto da aggiungere. Ma se parliamo di una voce già di medio spessore, con la giusta scuola potrà, se ne avrà le caratteristiche culturali, oltreché vocali, e intellettive, affrontare repertori molto diversi, come fece, caso abbastanza unico, Giacomo Lauri Volpi. Dunque, per concludere, rigetto come fondamentalmente sbagliato il concetto che nella scuola di belcanto si possa solo cantare repertorio "belcantistico", e per cantare repertorio tardoromantico ci si debba rivolgere a scuole "affondiste". Ci sono solo buone scuole e cattive scuole. Affrontare un repertorio o un altro, è questione di gusto personale, di scelte culturali e stilistiche non superficiali. Nella mia scuola ci sono allievi con voci molto ampie, più inclini a repertorio verdiano o del primo Novecento, ed altri che si spingono più verso l'agilità e il periodo classico e barocco; sono anche scelte dettate dalla salvaguardia della vocalità di ciascuno, e che assecondano le inclinazioni, che entro certi limiti è bene assecondare. La scuola però deve anche badare ad allargare i confini conoscitivi, culturali di ciascun allievo, e se possibile di repertorio. In un prossimo post vedrò di scendere maggiormente in alcuni dettagli tecnici sulle differenze educative di queste scuole.
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