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giovedì, agosto 30, 2012

Madre e figlio ovvero...

... ovvero non mettere il carro davanti ai buoi. Mi riferisco a due elementi vocali: il suono e la pronuncia. La maggioranza delle scuole allena gli studenti mediante il suono, quindi vocalizzi variamente articolati. Il suono vocalico che nasce spontaneamente o a seguito di vari consigli (apri, spingi, tira, schiaccia, ecc.) è comunque SEMPRE difettoso. I consigli e gli esercizi, anche buoni e saggiamente forniti, potranno conseguire prestazioni migliori sul piano edonistico e narcisistico (suoni più grandi, più forti, più rumorosi), ma non su quello della esemplarità fonica. La giusta vocalità è e sarà sempre quella "figlia" della pronuncia, derivante da un parlato elevato a canto, ovverosia ancora quello che si può ricavare all'interno del parlato intonato. Le vocali che si trovano disseminate nel parlato hanno le giuste "dimensioni" (o calibri), il giusto grado di pressione, di apertura, di tensione, ecc. (e tutte ridottissime). La giusta vocalità che ne deriva sarà la vocale (e la voce) VERA, non un'imitazione, un camuffamento, una parodia, una somiglianza più o meno verosimile. Mi trovo, a lezione, a fare decine e centinaia di esempi agli allievi per educare il loro orecchio e cercare di avvicinarsi alle pronuncia schietta, franca, libera, che è una pronuncia esente totalmente da spinte, da pressioni, da ogni genere di forzatura, e ciò che ne deriva risulterà un canto privo di volontà muscolare, ma quasi magico, mentale, e, come dico e dimostro, come se non fosse prodotto dal cantante ma dallo spazio acustico in cui opera. Ma ciò che è fondamentale è la ricchezza, la profondità, la vibrazione interna e la velocità che assume la voce, anni luce più bella, più sonora, più governabile e ampia di qualunque suono "falso", cioè che parte e si frena nel percorso muscolare interno. Ho voluto scrivere questo post di precisazione perché giustamente qualcuno potrebbe pensare che in fondo il canto, soprattutto il cosiddetto "belcanto", quello davvero antico, si basava in parte sulla parola musicale e in parte sul melisma, sull'agilità, sul portamento di vocale, e quindi potrebbe considerare limitativo o incompleto il nostro consiglio educativo. Tale non è! Basta mettere buoi e carri ai posti giusti!

martedì, agosto 28, 2012

La bussola del canto

In sostanza chi ha a che fare col canto, sentirà sempre da insegnanti e colleghi indicazioni e suggerimenti circa la posizione o la direzione del canto: in alto, in basso, avanti, indietro! Una bella confusione, considerando, poi, che raramente le indicazioni sono univoche ed eterne. Possiamo considerarle tutte più o meno erronee! Il suono indietro è generalmente considerato sbagliato, ma come coniugare questa valutazione con i consigli di fare girare il suono dietro alla nuca, ad esempio? o con chi dice di "tirarlo verso di sé", aprire la gola all'indietro, ecc.? Il suono basso è anch'esso considerato sbagliato, ma come si concilia con i consigli di tenere bassa la laringe o premere in giù? Il suono "in maschera" è ritenuto "alto" e "avanti", ma criticato da molti perché rischia la nasalizzazione, lo schiacciamento, la spinta; aggiungiamo anche lo spoggio e l'ingolamento. Da qualunque parte la si prenda, si rischia sempre il disorientamento!! Vero è che ciò che è sempre da evitare, perché sempre foriero di cattivo risultato, è l'estremizzazione! Premere con forza in basso, in alto, in avanti o indietro porta sempre conseguenze nefaste perché ciò che si muove sono i muscoli, non il suono, dunque qualunque movimento creerà resistenze, difese istintive, restringimenti, schiacciamenti, ecc. Qualunque tipo di risultato possa anche apparire piacevole, con queste meccaniche nasconderà sempre gravi difetti, che un buon (nemmeno ottimo) orecchio saprà individuare. La pronuncia perfetta non è mai schiacciata o spinta o tirata, ma "appare", "nasce", si forma direttamente appena fuori dalle labbra, senza nodi, senza legacci, cordoni "ombelicali" che la tengono ancorata alla muscolatura interna. Spande libera, chiara, netta, profonda, ampia. La cosa che spaventa tutti, oggi, è che per arrivare a quel risultato strabiliante occorre passare attraverso una pronuncia leggera e aerea, che darà l'impressione di una vocalità quasi infantile, puerile, da canzonetta! Questo impatto è oggetto da parte di tanti di un netto rifiuto, più o meno cosciente e manifesto. E qui nascono, naturalmente, la contestazione, la discussione, il rifiuto, i dubbi, gli abbandoni. Tutto legittimo e tutto prevedibile. E' un passo importante, che potrà portare alla scelta di un percorso successivo: quello della vera e grande Arte vocale o quello della tecnica fine a sé stessa. Una scuola artistica è perfettamente in grado di fare anche scuola tecnica, per quanto comprimissoria, ma si tratterà poi sempre di vedere quanta fiducia potrà rimanere. La scelta artistica è una scelta anche di rinunce; rinunciare al proprio ego narcisistico, ai suoni gonfiati e opulenti, ma slegati da un contesto musicale e da un risultato apprezzabile nella sua "unità". Scegliere la strada dell'Arte significa fidarsi: fidarsi, si badi bene, in primo luogo di sé stessi, delle proprie potenzialità, DEL PROPRIO FIATO!, prima che del proprio insegnante. Coloro che spingono, tirano, gonfiano, alzano, abbassano, premono, ecc. ecc., in fondo non fanno che manifestare un limite di fiducia nelle possibilità acustiche del proprio corpo e del proprio fiato. L'uomo, come tanti animali, ha la possibilità di fare udire il proprio canto - o la propria voce - a grande distanza e con grande nitidezza, perché abbiamo un perfetto apparato amplificante. Questo apparato funziona grazie a equilibri mirabili e sensibilissimi. Tutto ciò che viene fatto normalmente per farsi sentire in un grande ambiente, cioè spingere, gridare, spremersi, ecc., è del tutto opposto e contrario alle leggi che consentono, invece, quel risultato meraviglioso. Piccoli suoni con grande ampflicazione. Ma ciò che consente questo passa attraverso una meticolosa educazione del fiato, educazione che deve esplicarsi attraverso l'uso stesso della voce - segnatamente del parlato e/o della pronuncia - e con la costante riflessione sul "togliere" (si veda il post "come Michelangelo"), sull'alleggerire, alitare, fluire, consumare, ma sempre senza spinte, senza "botte", senza pressioni, il più scorrevolmente e piacevolmente possibile, come se con i nostri suoni accarezzassimo la lingua e il palato e con le labbra sussurrassimo sempre dolci e piacevoli versi. Chi non capisce o non vuol capire questo è destinato ad altro, nel bene e nel male.

sabato, agosto 25, 2012

C'è pronuncia e pronuncia

Leggo frequentemente in diversi luoghi in cui si tratta di canto che la pronuncia è importante, e bla bla bla... Se stessi a quanto viene detto e scritto sull'argomento, dovrebbe esserci una moltitudine di cantanti dotati della più bella dizione. Sono solo una minoranza, e solitamente in atteggiamento difensivo, a dire che la pronuncia non è importante. Ma la questione è che nessuno, e quando dico nessuno, voglio dire tutti, con eccezioni che posso ammettere (a livello mondiale) nell'ordine delle unità, ha realmente compreso e messo in pratica una pronuncia degna di tal nome. Eppure basta ascoltare un po' di dischi dei cantanti di un tempo per poter apprezzare modi di scolpire la parola, e col canto darne anche profonda sincerità di intenti, lontani anni luce dal pressapochismo odierno! La pronuncia è il risultato di un processo molto complesso, perché è il suono, perfetto in sé, articolato. L'articolazione non deve intervenire sul suono; ecco perché quando la pronuncia è anch'essa perfetta noi avremo due effetti: una mirabile comprensione di ogni parola, pur nell'ambito di un legato impeccabile, ma su un altro piano, anzi sul volume complessivo dell'ambiente in cui ci troviamo, noi avremo anche il suono che ci avvolgerà come fosse "sorround", da ogni direzione. E' una magia straordinaria, dovuta alla natura e alle meravigliose possibilità di cui è dotato il nostro corpo, ma che proprio esso ci priva, salvo riuscire a conquistarla a seguito di una disciplina la cui funzione è transitiva, cioè non è il fine, come molti credono, ma il mezzo. Ma il mezzo perché? Per la maggior parte delle persone che studia una qualsiasi Arte, occorre acquisire una tecnica, ma l'Arte NON E' una tecnica, ma la capacità di svolgere una attività di cui è portatore il nostro spirito; la tecnica non è necessaria per imparare quell'Arte, ma per permettere al nostro corpo e/o la nostra mente di liberarsi dai vincoli, dalle resistenze, dai limiti posti dalla Natura stessa a cui non va bene che si abbia accesso a questa libertà. Dunque la tecnica per molti è aprirsi un varco tra le mille insidie poste dall'istinto e "cavarsela" il meglio possibile. Per pochi, che ci credono e depongono l'orgoglio, il narcisismo, il pregiudizio, e trovano i "sassolini" da seguire, vuol dire liberarsi a ogni lezione di lacci e lacciuoli, e trovarsi ogni dì un po' più liberi di fare, di sentire, di capire, di percepire, di intuire. La pronuncia è uno dei mezzi più efficaci per superare alcune barriere, ma nessuno è in grado di concepire, prima di averla conquistata, cosa vuol dire pronuncia perfetta. Ci sono alcuni poco di buono (anche, ahimè, temo, tra i lettori di questo blog), che si permettono di irridere e giudicare il m° Antonietti, il sottoscritto e questa scuola nel suo insieme perché rei di affermare concetti così "strani", diversi, improbabili, originali, forti, presuntuosi, ecc. Se costoro avessero un grammo di umiltà e provassero a sottoporsi alla giusta disciplina, in breve tempo si renderebbero conto quanta distanza - abissale - divide il canto abitualmente praticato da quello vero, basato su una parola che non è suono "piegato" alla parola, ma parola pura elevata a canto, come è pensabile avessero compreso e praticato nel rinascimento e il cui seme è andato lentamente disperdendosi, obnubilando le menti di quanti si ritengono intenditori, che purtroppo sono la mala erba che infesta il mondo dell'opera e del canto in genere. Se la si smettesse di giudicare e invece di ascoltare veramente, forse ci sarebbe qualche speranza in più per l'Arte del futuro prossimo e per quanti, soprattutto giovani, vogliono dedicarsi seriamente a questo studio con animo puro e nobile. Io credo che ce ne siano tanti, ho grande fiducia nella gioventù; sono invece poco incline a dare fiducia alle generazioni passate, che per molti motivi non hanno fatto e non fanno che inquinare ogni cosa e con una prosopopea davvero fastidiosa e imbarazzante. Per concludere, quindi, il consiglio orientativo non è quello di fidarsi semplicemente di chi ritiene che nel canto ci voglia una "buona pronuncia", ma di seguire quegli insegnanti che vi guidano verso un perfetto parlar cantando, e non dar retta ai ciarlatani idioti che vi dicono che la parola non basta e non si sente e baggianate del genere.

martedì, agosto 21, 2012

Il passaggio nel tempo

Come abbiamo più volte ripetuto, il percorso di apprendimento del canto è soggetto a mutamenti. Questo è un errore, una miopia da cui sono stati affetti quasi tutti gli insegnanti e i trattatisti di canto. Dare gli stessi consigli a chi è in una condizione avanzata e a chi è agli inizi, è un errore che può costare caro; soprattutto la respirazione è soggetta (ovviamente seguendo una corretta disciplina) a un perenne e costante sviluppo, e quindi tutto ciò che è legato alla respirazione (e cosa non lo è, nel canto??) è soggetto a questo sviluppo.
Un tema fondamentale nell'educazione del fiato/voce riguarda la cosiddetta fusione (diremmo meglio, nel nostro caso, annullamento) dei registri. I primi tempi dell'educazione (e anche nei casi di rieducazione, quando si deve intervenire per riabilitare la vocalità di persone che hanno seguito insegnanti scadenti o che autonomamente hanno danneggiato la propria vocalità) sono contraddistinti da esercizi che, oltre che elevare la qualità del fiato, affrontano la discrepanza esistente tra i due registri. Nella stragrande maggioranza dei casi, i registri di petto e falsetto si presentano con peculiari caratteristiche che li rendono piuttosto diseguali. Capita che in alcuni casi, soggetti allo stato iniziale non sono in grado di affrontare il registro di falsetto-testa, se non con grande difficoltà. In ogni caso sappiamo (non staremo a ripercorrere qui tutti gli aspetti che chi vuole può trovare nei tanti post precedenti) che l'utilizzo del colore oscuro nei semitoni immediatamente seguenti il punto di passaggio (compreso) aiuta. La corda di falsetto si presenta più tesa e quindi difficile da porre in vibrazione; però il problema reale non è questo, o meglio, questa è la causa del problema. La maggiore tensione della corda e la conseguente richiesta di fiato con caratteristiche atte al bisogno, scatenano una reazione istintiva che si caratterizza con un sollevamento diaframmatico e conseguente spoggio del suono, innalzamento laringeo e altre possibili conseguenze. In alcuni casi, abbastanza rari, il passaggio si presenta facile e privo di particolari conseguenze. Questi casi sono tuttavia delicati e da considerare attentamente. Il fatto che l'istinto non entri in azione e non si manifesti in modo evidente, non significa che esso non svolga comunque la propria azione, soltanto che ha "scelto" tempi di azione diversi (le motivazioni sono da ricercarsi in una struttura fisica e soprattutto respiratoria particolarmente privilegiata del soggetto). Questo significa che se si ignora o si prende sottogamba la questione ci si troverà di fronte a una vocalità che presenterà nuovamente distinti i registri e con segni collaterali più gravi, tipo oscillazione, oppure ingolamento, indurimento vocale, ecc. La stessa situazione è da affrontare in tutte le voci femminili relativamente allo pseudo passaggio falsetto-testa (re4).
Quando, dopo un certo periodo di tempo educativo, l'attività reattiva da parte dell'istinto potrà considerarsi di molto attenuata, le cose cambieranno. Non solo diventerà sempre meno indispensabile il ricorso al colore oscuro, ma anche l'impegno andrà di molto attenuato, e, anzi, a un certo punto diventerà utile alleggerire.

domenica, agosto 05, 2012

Il non finito

Come credo sia piuttosto noto, Michelangelo a un certo punto della propria evoluzione, iniziò a lasciare alcune parti delle proprie opere non completamente terminate; questi parti andarono allargandosi fino a lasciare intere opere in uno stato di palese incompiutezza (particolarmente celebre la "Pietà Rondanini", nell'immagine).
A cosa si deve questa cosciente e originale scelta del grande artista? Dobbiamo, a mio avviso, coniugarla con quella leggenda secondo cui diede una martellata sul ginocchio del "Mosè", appena terminato, esclamando: "Perché non parli?". Tra questi due estremi ci sta una poetica filosofica e artistica fondamentale! La martellata e la domanda sono il raggiungimento di una amara consapevolezza: per quanto l'artista possa aver raggiunto un limite di perfezione, esiste comunque un "non oltre", uno "stop" individuato dalle caratteristiche materiali, fisiche, sia dell'artista che dell'oggetto. Andare "oltre" avrebbe significato per il Mosè trasformare il marmo in carne e ossa; per far ciò anche Michelangelo avrebbe dovuto avere poteri trascendenti la sua corporea umanità. Da questa presa d'atto d'impotenza, nacque una consapevolezza e una umiltà, che espresse in modo cristiano, cioè "Se la forma artistica è fatta da uomini, diviene offensivo pretendere che essa esaurisca compiutamente l’essenza del divino dandogli definitivamente forma." [A. Alfieri]. L'Arte, in quanto espressione umana, trascende, può trascendere, solo il limite istintivo e quindi animalesco dell'uomo, permettendo alla sfera spirituale di riconoscere, riconoscersi e manifestarsi [quindi liberarsi], fino al raggiungimento del limite oggettivo imposto dal non potersi disumanizzare, cioè dal non poter trascendere la fisicità che permette poi concretamente la realizzazione e manifestazione apprezzabile dell'opera, e quello è il "non oltre". Questa argomentazione crea molto imbarazzo e accende gli animi di chi si trova a discuterne, perché crea, in chi non ci crede o in chi non ci si è mai soffermato troppo a rifletterci, la conseguenza che chi lo espone si dichiara implicitamente artista perfetto. La cosa non sta necessariamente in questi termini. Partiamo da due condizioni semplici e opposte: 1) c'è una possibile Verità e quindi una possibile Arte perfetta (non oltre); 2) non c'è una sola e unica Verità, e dunque neanche un'Arte perfetta, per cui ogni opera e ogni artista è perfettibile. Chi conosce la risposta? Nel primo caso l'artista, nel secondo caso nessuno (ovviamente chi si riconosce nel secondo caso non crede nella prima risposta, ma questo non ammette soluzioni alternative). Ora, per coloro che si pongono nel caso due, non c'è soluzione, non c'è Verità e neanche chi la conosce, però mettiamo - anche se per assurdo, secondo il loro concetto - che la Verità possa esserci. Chi dei due si troverà nella condizione di poterla conquistare? Se io ammetto che una Verità esista e che sia possibile conquistarla, con tutte le difficoltà, gli ostacoli, ecc., mi troverò inserito nella giusta strada, per cui accetterò e ascolterò coloro che si riconoscono in quella traiettoria. Non è affato detto che mi ci avvicinerò, men che meno che la conquisterò, ma forse avrò molte possibilità di progredire. Potrebbe anche essere possibile una frustrazione, questo dipende da molte caratteristiche personali. Chi ritiene che ciò non sia possibile, in che prospettiva si pone? Nessuna; ritiene che ci sia sempre da imparare e che ogni cosa vada bene per apprendere, ma sostanzialmente è inutile progredire più di tanto, perché ci sono solo diverse esperienza, fortune, doti, ma alla fine è meglio accontentarsi di quella condizione che mi dà una soddisfazione materiale (successo, lavoro). Anche questa condizione può dare frustrazione, sempre in relazione alle caratteristiche psicologiche del soggetto. Michelangelo, proprio perché si rese consapevole e umile, pur credendo di rinunciare alla forma perfetta, continuò anche con il "non finito" a sfornare capolavori, così come Schipa, anziano e umiliato soprattutto da persone false e cattive, riusciva a incantare il pubblico e a fare Musica anche solo sussurrando (una sorta di "non finito" vocale). Diamo retta a Padre Guardiano: "non imprecare, umiliati!".