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domenica, agosto 05, 2012

Il non finito

Come credo sia piuttosto noto, Michelangelo a un certo punto della propria evoluzione, iniziò a lasciare alcune parti delle proprie opere non completamente terminate; questi parti andarono allargandosi fino a lasciare intere opere in uno stato di palese incompiutezza (particolarmente celebre la "Pietà Rondanini", nell'immagine).
A cosa si deve questa cosciente e originale scelta del grande artista? Dobbiamo, a mio avviso, coniugarla con quella leggenda secondo cui diede una martellata sul ginocchio del "Mosè", appena terminato, esclamando: "Perché non parli?". Tra questi due estremi ci sta una poetica filosofica e artistica fondamentale! La martellata e la domanda sono il raggiungimento di una amara consapevolezza: per quanto l'artista possa aver raggiunto un limite di perfezione, esiste comunque un "non oltre", uno "stop" individuato dalle caratteristiche materiali, fisiche, sia dell'artista che dell'oggetto. Andare "oltre" avrebbe significato per il Mosè trasformare il marmo in carne e ossa; per far ciò anche Michelangelo avrebbe dovuto avere poteri trascendenti la sua corporea umanità. Da questa presa d'atto d'impotenza, nacque una consapevolezza e una umiltà, che espresse in modo cristiano, cioè "Se la forma artistica è fatta da uomini, diviene offensivo pretendere che essa esaurisca compiutamente l’essenza del divino dandogli definitivamente forma." [A. Alfieri]. L'Arte, in quanto espressione umana, trascende, può trascendere, solo il limite istintivo e quindi animalesco dell'uomo, permettendo alla sfera spirituale di riconoscere, riconoscersi e manifestarsi [quindi liberarsi], fino al raggiungimento del limite oggettivo imposto dal non potersi disumanizzare, cioè dal non poter trascendere la fisicità che permette poi concretamente la realizzazione e manifestazione apprezzabile dell'opera, e quello è il "non oltre". Questa argomentazione crea molto imbarazzo e accende gli animi di chi si trova a discuterne, perché crea, in chi non ci crede o in chi non ci si è mai soffermato troppo a rifletterci, la conseguenza che chi lo espone si dichiara implicitamente artista perfetto. La cosa non sta necessariamente in questi termini. Partiamo da due condizioni semplici e opposte: 1) c'è una possibile Verità e quindi una possibile Arte perfetta (non oltre); 2) non c'è una sola e unica Verità, e dunque neanche un'Arte perfetta, per cui ogni opera e ogni artista è perfettibile. Chi conosce la risposta? Nel primo caso l'artista, nel secondo caso nessuno (ovviamente chi si riconosce nel secondo caso non crede nella prima risposta, ma questo non ammette soluzioni alternative). Ora, per coloro che si pongono nel caso due, non c'è soluzione, non c'è Verità e neanche chi la conosce, però mettiamo - anche se per assurdo, secondo il loro concetto - che la Verità possa esserci. Chi dei due si troverà nella condizione di poterla conquistare? Se io ammetto che una Verità esista e che sia possibile conquistarla, con tutte le difficoltà, gli ostacoli, ecc., mi troverò inserito nella giusta strada, per cui accetterò e ascolterò coloro che si riconoscono in quella traiettoria. Non è affato detto che mi ci avvicinerò, men che meno che la conquisterò, ma forse avrò molte possibilità di progredire. Potrebbe anche essere possibile una frustrazione, questo dipende da molte caratteristiche personali. Chi ritiene che ciò non sia possibile, in che prospettiva si pone? Nessuna; ritiene che ci sia sempre da imparare e che ogni cosa vada bene per apprendere, ma sostanzialmente è inutile progredire più di tanto, perché ci sono solo diverse esperienza, fortune, doti, ma alla fine è meglio accontentarsi di quella condizione che mi dà una soddisfazione materiale (successo, lavoro). Anche questa condizione può dare frustrazione, sempre in relazione alle caratteristiche psicologiche del soggetto. Michelangelo, proprio perché si rese consapevole e umile, pur credendo di rinunciare alla forma perfetta, continuò anche con il "non finito" a sfornare capolavori, così come Schipa, anziano e umiliato soprattutto da persone false e cattive, riusciva a incantare il pubblico e a fare Musica anche solo sussurrando (una sorta di "non finito" vocale). Diamo retta a Padre Guardiano: "non imprecare, umiliati!".

2 commenti:

  1. Anonimo6:46 PM

    Il “non finito” è la caratteristica del genio. Come il “non luogo”, il “non nome”, il “non tempo”, ecc… L’astuto Ulisse crea un “non nome”, Nessuno, per ingannare Polifemo, e un “non luogo”, il cavallo di legno, per ingannare i troiani. Queste entità frutto di processi ricorsivi, giochi di specchi, sono state usate anche da Gesù e Leonardo da Vinci. Per Michelangelo più che nelle Prigioni è evidente nella Pietà Rondanini. Cfr. Ebook (amazon) di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

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