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lunedì, agosto 26, 2013

"Credere....."

Riprendo, ovvero do il via a una nuova stagione, con un post che si prefigura alquanto difficile, impegnativo, ma forse necessario.
Nel patrimonio genetico dell'uomo, tra le tante cose, fisiche e psicologiche, c'è una necessità istintiva forte che viene sempre fuori, più o meno esaltata, anche in quelle tante persone che, in nome della libertà, vorrebbero sfuggirla, ed è la necessità di credere. Non sto parlando del credere religioso, o per lo meno non solo di quello.
In genere è l'attributo di "maestro" al centro della questione. Chi abbraccia la passione per una certa forma artistica, non può fare a meno, dopo poco, di aderire all' "adorazione" di un idolo. Chi si avvicina alla musica sinfonica deve trovare un leader carismatico in un direttore d'orchestra (la mia generazione l'ha focalizzato in Karajan, il grande fascinatore con le mani e gli occhi chiusi), chi si avvicina alla musica strumentale in un pianista come Michelangeli o Gould o Horowitz, chi nel canto alla Callas o Del Monaco o Caruso o più recentemente in Florez, nella Caballé, in Domingo e poi metteteci voi tutti i nomi che volete. In genere questi "amori" iniziano presto, sono "colpi di fulmine" che colgono le persone ancora ignare, per piccoli dettagli che si insinuano e radicano nella psiche. A volte sono semplicemente legati al "primo passo", cioè si conosce una certa arte grazie a quel certo artista, e, quasi per riconoscenza, li si premia con una fedeltà inossidabile. Per me fu così con Karajan, che negli anni 60/70 era onnipresente in tutte le manifestazioni sinfoniche e quindi nei primi dischi acquistati. Talvolta il credo si limita al seguire l'attività, acquistare libri e supporti, al conoscere tutti i particolari dell'esistenza (questo è particolarmente esaltato nel campo della musica leggera, del rock, del musical, ma anche del cinema e dello spettacolo televisivo), ma assai spesso si spinge anche alla necessità di un contatto più ravvicinato, alla conoscenza, al possesso di cose proprie, che non di rado si trasformano in azioni persino persecutorie per cui è ragionevole che certe "star" si proteggano con sistemi di sorveglianza. Nel campo dell'opera e della musica classica la cosa di solito non raggiunge limiti di follia, ma è comunque abbastanza impressionante per quanto rende del tutto ciechi e intollerabili a qualsivoglia cenno di critica al punto di instaurare litigi furibondi. In genere, più l'oggetto di venerazione si presta a osservazioni, più la massa dei sostenitori è "ignorante", priva di reali capacità di analisi, di discussione, irrigidita su stereotipi banali e superficiali, senza per questo negare che motivi di stima e ammirazione il più delle volte ci siano. Il problema è che la fede cieca ed esaltata provoca di contro movimenti che tendono a distruggere il mito, anch'essi molto spesso poco obiettivi e ragionevoli. Ma veniamo ancora più vicini al nostro campo. Fenomeni di "credo" avvengono in gran quantità proprio nel mondo dell'insegnamento del canto. Anche qui, come dicevo, spesso è il solo "primo incontro" a generare fenomeni di idolatria. Ho conosciuto insegnanti di canto capaci di trascinare stuoli di allievi semplicemente per il loro modo di fare, senza alcuna reale motivazione didattica. Il mito della scuola non è del tutto negativo; se non ci fosse una certa forza istintiva al raggruppamento si rischierebbe un "ondeggiamento" senza méte, un perenne peregrinare. Quindi è giusto trovare un luogo e una persona che possa ottemperare ai nostri bisogni di imparare un'arte. Ciò che l'intelligenza artistica ci deve aiutare a fare è non rimanere ciechi e acritici. Ci vuole tempo e bisogna dare tempo. Ma anche tenere occhi e orecchie aperte, informarsi e analizzare sé stessi e gli altri e ricordarsi che la meta non è solo e tanto l'impare a cantare, in questo caso, ma diventare maestri, ovvero, se non necessariamente insegnanti, per lo meno avere coscienza che quanto si sta facendo è frutto di un certo lavoro e risponde a certi criteri. Questo è duro, perché significa anche... sapere di non sapere, ma bisogna cogliere la distanza che ci separa da colui che ci insegna. Non deve essere ammirazione e gratitudine, ma reale riconoscimento di ciò che sappiamo fare e della finalità che ci ripromettiamo, mettendoci tutto ciò che di nostro è possibile per arrivare a quella meta senza travalicare quanto ci è stato posto come limite dal nostro insegnante. Il dubbio non deve essere un metodo, specie nei primi tempi, perché questo è un impedimento quasi insuperabile. Chi vive nel dubbio non ha molte speranze di raggiungere un obiettivo importante, però se ci sono dubbi è bene cercare risposte anche forzando quella necessità istintiva di ammirazione e gratitudine: bisogna cambiare. E bisogna anche avere il coraggio di tornare, ammesso che sia possibile, sui propri passi se si arriva alla conclusione che si era sbagliato. E un buon sistema di riconoscimento del vero maestro è anche quello di verificare se, tornando, ci riammette. L'insegnante che si "offende" perché l'abbiamo lasciato per ottemperare alla necessità di risolvere dubbi e domande, e non ci riammette dopo questa prova, non merita. Si è fatto bene a lasciarlo.

mercoledì, agosto 21, 2013

Grazie

In questi giorni ho battuto un po' la fiacca; non sono andato al mare o ai monti, ma ho voluto, come suol dirsi, staccare un po' la spina, dedicarmi ad altro. Rimettendo il naso nel blog, vedo che le visite hanno superato i 20.000 scatti! Ringrazio e saluti tutti voi per il seguito e l'interesse che dimostrate. Ho risposto a alcune domande che erano rimaste in sospeso, e presto mi rimetterò a scrivere. A presto! Buon rientro a tutti.

martedì, agosto 13, 2013

"Il gratin"

No, non è francese, è piemontese! E non è una ricetta di cucina ma un fastidio che coglie spesso le persone in gola, una sorta di prurito che stimola quel noto "ehm ehm " di schiarimento. Capita anche ai cantanti, naturalmente, ma vediamo qualche particolarità che può interessare gli allievi. Cominciamo col distinguere un normale fastidio causato da presenza di catarro da invece il problema causato dal cantante stesso. La presenza di muco può essere addebitata a una normale situazione stagionale, quando i fluidi cercano di proteggere le vie respiratorie dalle possibili consguenze del freddo e delle attività microbiche e virali, che si esaltano quando ci sono più o meno importanti attività patologiche (raffreddori, influenze...). La situazioni più negative si hanno con bronchiti, tracheiti e laringiti; nel caso della bronchite e tracheite si ha una risalita di catarro che infiamma tutta la parte inferiore del faringe e facilmente anche della laringe che determina un ispessimento delle pareti, può causare un forte fastidio e anche dolore. Il canto in questa situazione è decisamente sconsigliabile. Il raffreddore causa una formazione corposa di muco nelle vie superiori, tappa il naso, e talvolta il muco può scendere, posteriormente, sulle c.v. Anch'esso può procurare infiammazione, dunque occorre molta cautela ed evitare di cantare se si avverte fastidio. La chiusura delle vie nasali può avere controindicazioni perché il suono può risultare più ovattato, meno squillante, e il soggetto è indotto a spingere di più, con prevedibili conseguenze. L'attività canora, soprattutto se prolungata, anche se di buona qualità può produrre un po' di muco, che però non è particolarmente nocivo; è una sorta di "olio" che lubrifica l'intenso lavoro; può destare preoccupazione, pensando di star facendo male; comunque è consigliabile, quando appare, riposarsi qualche minuto. Fin qui le situazioni "esterne". Ora vediamo invece un caso in cui il "gratin" (che si legge come si scrive) si può generare senza fluidi, ed è più frequente di quanto si creda. Il caso si crea quando il rapporto tra quantità-densità del fiato e ampiezza glottica sono particolarmente discordanti. Quando si spinge, l'aria preme sulla laringe; questo è fastidioso e crea grossi difetti; se la pressione è eccessiva, per effetto "valvola", invece di ampliarsi la gola si stringe. Questa diminuita portata provoca un ulteriore aumento di pressione dell'aria sotto la laringe, che crea un fastidio fortissimo, persino dolore e può indurre alla tosse. Un caso analogo si crea, molto spesso, per carenza di appoggio. Quando non si sa (ancora...?) tenere ben appoggiato il suono, la diminuzione di densità dell'aria crea un indebolimento della stessa che in sostanza può non essere in grado di far vibrare le corde sulla nota o sul colore voluto; questo crea due fenomeni: la gola tende a chiudersi - e vedi il caso suddescritto - ma c'è anche il problema che la volontà di mantenere quel colore e/o quella nota, induce l'apparato nervoso a sopperire per quanto può alla carenza alimentante del fiato. Questo super lavoro nervoso e muscolare delle corde provoca vibrazioni disordinate e appunto quella sorta di "gratin", quel fastidio dovuto all'inefficenza respiratoria. C'è un punto in particolare dove ciò avviene spesso, e cioè negli intervalli e nelle scalette discendenti. Quando si fanno intervalli e scalette ascendenti, la tendenza è sempre a spingere e ad aumentare intensità e volume; nel 99% dei casi ciò è sempre di molto superiore al necessario, accompagnandosi all'altro difetto, di far alzare il suono. C'è, in questi casi, anche una buona dose di induzione psicologica, cioè il legare il salto ascendente con l'aumentare la forza e il pensare su. Nel caso dei salti discendenti, avviene l'opposto, cioè si tende a tirare indietro, in basso, e a "mollare" la pronuncia e il consumo dell'aria, come se anch'esso potesse "tornare indietro". Ovviamente ciò non può essere e non deve essere! L'aria continua a uscire con la stessa velocità e pressione con cui si sono fatte le note ascendenti. Ecco, dunque, che molto spesso quando, in una scala o un arpeggio, si inizia la fase discendente, si determina un rallentamento, un trattenimento dell'aria che causa un restringimento della gola (perché diminuisce anche l'appoggio) che causa il "gratin". Dunque ricordarsi sempre di consumare fiato durante ogni esercizio e in particolare quando si fanno salti discendenti, senza arresti o trattenimenti; fare - e poi immaginare - di fare portamenti di suono, in questo modo si è obbligati a continuare l'azione di consumo dell'aria. Fare attenzione, anche, a evitare colpi, che influiscono sempre sul fiato e sulla gola e possono dare anche in quei casi fastidio e irritazioni. Accennerò infine a un altro effetto piuttosto comune. Dopo una lezione intensa o una sessione di canto impegnativa, può accadere che alla fine si avverta la voce "alta", un po' velata. Questo fenomeno non è da considerare particolarmente negativo (che è diverso dal diventare afoni o perdere addirittura la voce per un po'). Soprattutto nei tenori e nei soprani e mezzi, che magari hanno lavorato parecchio in corda di falsetto, possiamo dire che il baricentro, soprattutto per l'impegno respiratorio, tenda ad alzarsi e dunque si senta una certa tendenza ad andare a parlare di falsetto, o comunque più in alto del solito. Questo, non accompagnandosi a una respirazione adeguata, perché il soggetto riterrebbe ridicolo parlare forte e acuto, fa si che la voce resti sottotono, e quindi si veli un po'. Nel giro di poco tutto tornerà normale.

lunedì, agosto 12, 2013

Aperto per ferie!

Il titolo doveva essere un altro, ma visto il periodo ho poi optato per questo, più spiritoso; si sarebbe dovuto chiamare: "Aperto, chiuso, chiaro, scuro, avanti, indietro, luminoso, spinto, leggero, alto", riproponendo un po' sempre le stesse tematiche, che sono molto difficili da illustrare per iscritto, e che penso la maggior parte delle persone che si occupano di canto non abbiano minimamente avvicinato realmente.
Se chiedo a un cantante, maschio o femmina, di fare una A nella zona che si può definire di falsetto-testa, mettiamo un sol4, tendenzialmente si sentirà una "AO". Nel caso delle donne è anche possibile un suono piuttosto velato, poco incisivo. Nel caso si chieda una A più reale, quindi anche più chiara, si potrà assistere a varie conseguenze: la A potrà retrocedere alla zona faringea, potrà diventare più aspra, con orizzontalizzazione della forma orale, il suono perderà fuoco e sonorità.Insomma, un risultato apparentemente molto difficoltoso da raggiungere. Perché avviene questo? Insistere sulla precisione della pronuncia, purtroppo porta spesso a un peggioramento, perché il soggetto per cercare di dire più A, esercita in realtà una pressione e una tensione sempre più forti nella muscolatura oro-faringea, peggiorando sempre di più la situazione. La sensazione, nella loro mente, è che la A è molto indietro, e quindi necessita di aprire sempre di più la gola, trovare più spazio. Purtroppo per questa strada si va poco lontano; la A diventa bruttissima e sguaiata, e per questo nasce il suggerimento di "arrotondarla", ovvero fonderla con la O, e poi arriviamo all'omogeneizzazione delle vocali, ovvero al peggio del peggio. Qui confluiamo in altre problematiche e altre terminologie. Aprire il suono, per quasi tutti, significa mantenere il registro di petto anche su note acute. Siccome il registro di petto è il registro della voce parlata, è più facile pronunciare correttamente anche laddove quel registro diventa un po' urlato, per questo nella musica leggera (o "moderna") si fa uso privilegiato di questa meccanica. In genere però l'uso del petto in zona acuta si associa alla spinta, ma purtroppo anche nel falsetto! Quello che non si vuol accettare è che per entrare correttamente nel falsetto, o chiamatelo come meglio vi pare, cioè nella modalità propria dei suoni acuti, è necessario passare per un alleggerimento, sempre senza far venir meno la pronuncia (e questo crea quell'apparente contraddizione che se si pronuncia di più ci vuole più forza, il che non è vero, confondendo suono e pronuncia, come dicevo nel post precedente). Dunque: alleggerendo il peso sonoro ed evitando accuratamente OGNI TENSIONE della cavità oro-faringea in tutta la sua conformazione, quindi rinunciando momentaneamente a ogni pretesa di sonorità roboante, seguendo invece la strada del sospiro, dell'alitare fluido e piacevole, noi arriveremo senza problemi alla giusta posizione della A fuori della bocca, ampia, impeccabile nella pronuncia, e aperta, ovvero giusta in quanto luminosa, chiara, amplissima. Resta, o può restare, però un problema, e cioè il timbro o corposità del suono, che in falsetto rimarrà, per l'appunto, "falso", cioè inconsistente, "sollevato", povero. E questo causa dei difetti perché non lo si accetta; il fatto è che 'dicendo', cioè pronunciando perfettamente, si può arrivare a dare al falsetto la stessa consistenza del petto. La parola pura parlata richiede - e richiama - un appoggio consistente, a causa della corda più tesa, ma assolutamente non spinta, non pressata, quindi la difficoltà, che richiede un lavoro paziente, è quello di sviluppare la consistenza dell'aria alimentante in modo che possa far suonare correttamente le corde nella meccanica di falsetto SENZA SPINGERE, perché questo vanifica l'altra condizione. Quando finalmente, con grandissima, enorme, forza di volontà, si sarà giunti a parlare intonato, si avrà la sensazione che il falsetto sia più "basso", persino molto, rispetto all'idea istintiva, e questo è un altro di quei "segreti" che bisogna pur tener presente. I suggerimenti costanti al suono "alto", sono molto spesso deleteri, soprattutto nell'affrontare le differenze tra i due registri. Nel famoso "esercizio speciale" di Garcia per la fusione dei registri, dove indica una stessa nota (iniziando da re4, dice lui), in cosa consiste la differenza tra il fare quella nota una volta di petto e una volta di falsetto? Istintivamente viene da alleggerire, sfocare, e... alzare (non per nulla nelle scuole dell'ultimo secolo si scurisce, perché questo aiuta a tenere il suono basso, ma senza coscienza!). Invece il segreto sta nel NON alzare il suono, ma "buttarlo" avanti - senza spingere, ma pronunciando - aiutandosi con le labbra, che devono assicurare che il suono non "scappi". Ricordo, il m° su questo era inflessibile, che le labbra sono "briglie e timone" del suono vocale e occorre esercitarsi di continuo per riprendere il pieno possesso dei muscoli della faccia, che io definisco la tastiera del cantante. Quando si sarà entrati in questa ottica, impensabile, inimmaginabile, ecco che ci si accorgerà che la pronuncia va in alto, finalmente, ma fuori e davanti a noi, e si perderà totalmente quella condizione interiore - che è quella che rende difettoso il canto - e ci si ritroverà ad avere un "tubo vuoto" che getta aria-suono senza interferenze, senza ostacoli, ampia, larga, e tutta la pronuncia impeccabile sta fuori di noi, alta anche altissima di fronte, come se ascoltassimo qualcun altro che canta, e noi dobbiamo solo volere, senza fare fisicamente quasi più niente. Naturalmente, e su questo insisto sempre, NON SI PUO' e NON SI DEVE cercare questa sensazione quando non si ha disciplinato il proprio fiato e quindi, pazientemente, non si è andata producendo quella condizione respiratoria che, solo lei, può portare a quel risultato artistico da noi agognato.

giovedì, agosto 08, 2013

Suoni e rumori

Dunque, mi accingo a scrivere un post piuttosto lungo, ma spero interessante, di ampie vedute. Non so se rimarrò su una sola pagina o lo dividerò, deciderò scrivendo.

Dunque, che differenza c'è tra un suono e un rumore. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono due cose diverse; il suono possiamo definirlo un sottoinsieme dei rumori; il suono è un rumore "strutturato". Che vuol dire? Vuol dire che si presenta con delle caratteristiche di particolare ordine, per cui modificando alcuni parametri si ottengono una serie di suoni riconoscibili e a cui possiamo assegnare un significato. Anche il rumore può avere parametri modificabili; può essere più chiaro, più scuro, più basso o più alto, più forte, più intenso, più cupo, più brillante, però tali modificazioni da un suono a un altro non permettono una strutturazione, cioè non si può fare musica, perché non è possibile creare delle "scale" assegnando a ciascuno di essi un significato specifico. Sarebbe alquanto noioso, privo di senso, fare una sonata per triangolo o tamburello basco, anche avendo a disposizione più versioni dello strumento con diverse dimensioni. Il rumore non è estraneo alla musica, però; esso può essere utilmente utilizzato come rinforzo, come aspetto caratterizzante un determinato episodio: per dare maggiore enfasi a un accordo si può usare il colpo di piatti, per dare un senso di brillantezza e gioiosità il triangolo; poi ci sono caratteri locali specifici, come le nacchere e oggetti simili. Il corpo umano, come ogni oggetto, può essere - ed è - una fucina di rumori e suoni. Battendo le mani tra di loro o su parti del corpo, si possono ottenere centinaia di rumori diversi (chi ha seguito "la corrida" o trasmissioni analoghe nel tempo si ricorderà di performances più o meno imbarazzanti sull'argomento). Ora avviciniamoci alle nostre tematiche. Se io batto leggermente su una guancia ottengo un rumore; se apro la bocca: OPS! ottengo DUE cose: un rumore, cioè lo schiaffetto sulla guancia, e un suono, proveniente dalla bocca. Come già scrissi parecchio tempo fa (La bocca intonante), la cavità orale ha la possibilità di intonare suoni provenienti da zone periferiche semplicemente in virtù delle dimensioni e della conformazione delle parti elastiche e rigide di cui è composta. Cambiando apertura e forma alla bocca, otterrò suoni diversi (persino battendo sul cranio si ottengono suoni dalla bocca!). Con questo voglio dire che suoni e rumori possono coesistere pur in un singolo atto. In realtà questo è comunissimo anche negli strumenti. L'unghia o il plettro con cui si suona la chitarra, il martelletto che sollecita la corda del pianoforte (senza contare tutta la complessa meccanica), producono rumori contemporaneamente all'emissione di uno o più suoni. E' sottinteso che lo strumento può essere accettabile fin quando il rumore non è percepibile in modo così netto e ripetuto da infastidire i suoni. I rumori non sono necessariamente negativi o fastidiosi; così come in orchestra si usano percussioni a suono indeterminato, spesso anche gli strumentisti provocano volontariamente, o non impediscono, piccoli e occasionali rumori che possono accompagnare il suono per qualche ragione espressiva (mi pare di ricordare che Modugno nel "vecchio frack" accompagna gli accordi con un insistente leggero "tambora" sulla chitarra). Ora arriviamo alla voce. L'emissione vocale è in genere straordinariamente piena di rumori! Comprensibile! ossa che si articolano, muscoli che si tirano e si rilasciano, cartilagini che si piegano, spazi che si dilatano e si richiudono, tessuti che si incontrano e si allontanano... eh, c'è di che fare un bel concerto! Anche in questo caso possiamo dire che la maggior parte di questi rumori è ben poco avvertibile, specie da una certa distanza. Il rumore che si ascolta più spesso, e a cui occorre fare attenzione, riguarda l'attacco. Può esserci un rumore secco o aeriforme. L'attacco può quindi originarsi per uno "schiocco", per un'improvvisa apertura, per la vittoria di una tensione su una tensione che cede (dell'aria su quella delle corde vocali) oppure una più tranquilla emissione sospirata o espirata. In ogni caso è sempre necessario analizzare questi rumori per sapere se sono nocivi e in che misura ed eventualmente fare in modo di annullarli o ridurli al minimo.
Fin ora però abbiamo parlato di rumori istantanei. Esiste però la possibilità che a suoni lunghi si accompagnino rumori lunghi. In effetti questo avviene molto più spesso di quanto si creda e non è sempre un male, anzi..., anzi..., è uno degli effetti più importanti per poter far musica. Diciamo che in ogni situazione positiva, noi abbiamo un suono principale e poi una serie di rumori che però, grazie alla perizia artistica di chi ha costruito gli strumenti, diventano a loro volta suoni, o per lo meno rumori "intonati", accordati con i suoni principali. Però non è escluso che uno o vari rumori (non suoni!) accompagnino il suono principale mescolandosi ad esso e creando quindi una timbrica particolare che a molti può piacere. Ovviamente non consideriamo positiva questa soluzione (ne scrissi molto tempo fa: "molto rumor per nulla"), che veramente troppe persone, anche considerate (o che si considerano) esperte ritengono essere "armonici", timbri "lirici" e quisquilie consimili. Il nostro strumento, la laringe, deve emettere solo suoni puri. La conformazione mirabile delle forme sopraglottiche compirà il miracolo di amplificare e arricchire quel suono. Attenzione però che il suono prodotto dalle corde dovrà "accordarsi" con la forma. Come abbiamo detto, le cavità oro-faringee sono "intonate", dunque se l'ampiezza di queste e il suono non si accordano, oltre a questioni varie di pressione, schiacciamento, blocchi, ecc., noi avremo comunque una discordanza armonica che impedirà la piena realizzazione sonora. Quindi l'armoniosità anche del volto e in relazione a ciò che si dice/canta è fondamentale.
Ora facciamo un ulteriore passo avanti. Suono e vocale. Analogamente al discorso precedente, noi possiamo considerare le vocali un sottoinsieme dei suoni. Una selezione, una scrematura, una qualificazione. La parte più nobile dei ruomori, e all'interno di questi, dei suoni, sono le vocali. Così come possono coesistere rumori e suoni, possono anche coesistere suoni e vocali, oppure possono alternarsi. La vocale pura è la nobilitazione di un suono puro. Se il suono non è puro, non si può accedere alla perfetta vocale.
E' comune, ahimè, che ciò che viene percepito, nel canto, come vocale, sia spesso un suono somigliante a una vocale. Questo è un caso; in altri casi si hanno due livelli, un suono/rumore, solitamente posizionato in zona interna (bocca, faringe, gola), e una discreta pronuncia posizionata più avanti. Qui si pone anche un problema di ascolto, perché alcuni ascoltano l'uno, altri l'altro! Il buon canto non crea divisioni, anche se questo necessita di un duro lavoro, perché la separazione diminuisce il "peso", il lavoro respiratorio (a causa di ciò si stringe la gola e si crea l'effetto divisorio).

venerdì, agosto 02, 2013

Pesi e misure2

Prosecuzione dal post precedente.
Dunque ci troviamo di fronte a una o più contraddizioni in essere, che si devono in qualche modo superare. Naturalmente noi sappiamo che l'obiettivo ultimo e fondamentale è l'elevazione della respirazione ad arte, il che vuol dire educare e sviluppare la coscienza respiratoria e la respirazione stessa affinché diventi perfetto mezzo di alimentazione di suoni vocali, qualunque sia il colore, l'intensità, la frequenza, ecc. nell'ambito della gamma vocale soggettiva. Questo è potenzialmente possibile e previsto, per cui consideriamo che in nuce non c'è alcuna contraddizione! Essa nasce dal fatto che i registri si presentano divisi, "rotti", separati, e apparentemente, nella maggior parte dei soggetti, sembrano non esserci punti di contatto. Il caso più frequente è quello della voce femminile (ma anche tanti contraltini non scherzano) dove il divario tra voce di petto e falsetto è sovente molto accentuato. Questo porta molte cantanti per conto loro o molti insegnanti a evitare l'approccio al petto, quindi a "sfondare" il falsetto, con ingolamenti e sforzi d'ogni tipo, e in altri casi a mantenere una sorta di dualità tra i due registri, quasi una compresenza di due voci nella stessa persona, in mancanza di criteri e strategie, o meglio coscienza, di cosa fare per superare perfettamente questo scalino. Ma il problema non è esente anche in tenori, mezzosoprani, baritoni e bassi. L'azione più banale e più frequente che si fa quando si pensa di salire agli acuti è spingere. Questo rende molto difficile, se non impossibile, il passaggio, per questioni "valvolari". Questo è anche il motivo per cui ad esempio molti tenori pensano che si passi sul fa# se non sul sol e persino oltre!!! Ci sono però diversi insegnanti che consigliano di alleggerire (mi pare ci sia anche sul libro "coscienza del canto" della Maragliano Mori). Di per sè non è detto che sia un buon consiglio, specie se poi l'insegnante non ha un eccellente orecchio. E' infatti più che normale che alleggerendo... non si passi!! Cioè si rimanga sulla corda di petto, addolcita e schiarita, fino ad assomigliare tantissimo al falsetto. Naturalmente essendo petto, il suono risulterà più pieno e timbrato del falsetto, e quindi i due soggetti, allievi e insegnanti, restano piuttosto soddisfatti (e ciucci). Salvo andare incontro a incidenti d'ogni tipo nelle note successive, quando il petto, oltretutto leggero, non regge la tessitura. Ovviamente nessun tipo di vera educazione è possibile in tal modo, e si andrà sempre incontro a difetti più o meno rilevanti. Il falsetto, specie nei primi tempi di studio, deve essere leggerissimo e chiaro, fanciullesco, soprattutto nelle donne. Non si deve aver alcun timore a togliere voce finché il suono resti flautato, puro, e soprattutto esente da tensioni interne di ogni tipo (sganciato). Il suono deve ascendere con totale fluidità, senza legami, tiramenti, singhiozzi di qualsivoglia specie, attaccando sempre leggero, avanti, sul sospiro. Ma per far sì che il tutto funzioni, una parte decisiva la riserva la bocca, ovvero l'ampiezza orale. Ad esempio un esercizio che faccio fare spesso in campo femminile riguarda l'inizio dell'aria antica "O cessate di piagarmi", dove, dopo poche battute, sulle parole "o lasciatemi morir" si presenta un salto discendente dal si3 al re#3. A rigore la prima è in falsetto e la seconda di petto. La preoccupazione di tutti è che si verifichi un salto brusco e di cattivo gusto, per cui cercano di sopperire mantenendo il falsetto. La cosa però non funziona, di solito, perché il falsetto, specie nei primi tempi, quando non si ha ancora un sufficiente incremento, è enormemente debole, inconsistente, e oltretutto mangia un mare di fiato. E qui veniamo, dunque, al cosiddetto "allineamento". Ciò che crea tantissima confusione è il percepire o il pensare che il mi, ad esempio, di petto, stia "su un pianeta" e il fa di falsetto, su un altro. In particolare si pensa che il petto sia "giù", appunto perché petto, sotto, e il falsetto - che molti definiscono testa - su, per aria, in alto. E, conseguentemente, ecco l'idea "stupenda" della Simionato o della Barbieri, che affermano scandalizzate di non aver mai cantato di petto ("ma se non ha mai fatto altro", replica, stralunata, l'intelligente e attenta Gencer), cioè "tenere il suono alto in maschera". Non dice niente questa cosa, è un artificio che spesso conduce a pessimi risultati. La verità è che i due registri si devono allineare, cioè non si deve percepire, a distanza di mezzo tono, una stessa vocale a altezze diverse, ma entrambe davanti alla bocca, all'altezza del labbro superiore (in seguito anche oltre). Ciò che può aiutare e rendere facile ciò riguarda lo spazio, quindi l'ampiezza orale. Se compiendo il salto mi-fa3 (vale per voci femminili e tenori) si amplia parecchio la bocca verticalmente (allungare evitando assolutamente di allargare!), si produce un maggior spazio che permetterà lo sfogo aria-suono dovuto alla maggior tensione della corda. Quindi: la tensione del falsetto NON deve essere contrastata spingendo o dando più forza, più intensità, ma semplicemente più spazio! In quest'azione talvolta può anche essere necessario alleggerire un po'; questo è relativo alla elasticità della corda (i contraltini e i soprani leggeri sovente hanno corda molto sottile e quindi può richiedere meno impegno rispetto alla corrispondente nota di petto, nonostante la maggior tensione, in ogni caso, specie negli uomini, c'è una componente psicologica, per cui spingono tantissimo perché pensano la nota più 'acuta' di quanto non sia realmente, quindi bisogna togliere per riequilibrare rispetto alla percezione istintiva). La chiave dell'acqua, però, come suol dirsi, sta sempre (SEMPRE) nel grande "segreto": la pronuncia, la parola. Nel brano suindicato, ci sono due A (LA-sciA) suelle due note dell'intervallo; in genere dicono sufficientemente bene la prima, il si3, e fanno un pasticcio sul re#, andando a cercare... chissà che! Allora si dovrà far prendere coscienza - quando è il momento giusto - della buona emissione e pronuncia della A sul si, che si troverà all'incirca davanti alla bocca un po' in alto, e facendo fermare sulla nota l'allievo per alcuni secondi, dopodiché chiedere semplicemente di fare la seconda A (sciA, non trascurando minimamente lo "SCI") con la stessa precisione dell'altra, senza "scendere", senza cercare niente. Si può anche fare staccando i due suoni. Dopo pochi tentativi, l'allievo si renderà conto che la seconda A, più bassa come nota, è in realtà altissima, se ben pronunciata, ma soprattutto si sarà resa/o conto che per fare bene, ha dovuto lasciar libera la bocca, che si sarà un po' più aperta (tendenzialmente cercano di chiudere e tirare indietro). In un salto verso l'alto, avviene qualcosa di molto simile. La A più bassa, di petto, ben pronunciata risulterà allineata alla bocca o poco più su; volendo fare la nota successiva ad es. su un sol o un la3, istintivamente e psicologicamente sarà tentata di andare a cercarla alta e stimbrata, alzando in realtà laringe e diaframma, e magari anche lingua. La soluzione sarà invece quella di mantenere la stessa linea della prima A, aprendo un po' più la bocca (sempre e solo verticalmente!) e non spingendo e incrementando l'intensità (poi è semplice questione di equilibrio che si troverà in poco tempo) ma soprattutto DICENDO A (ci vogliono ANNI perché ciò avvenga realmente).

Lo squilibrio dei registri è dovuto alla persistente esistenza di due meccaniche laringee che richiedono due impegni respiratori diversi. Per quasi, se non tutti, i trattatisti, insegnanti e cantanti navigati, tutta la questione si affronta e si risolve in un'area, considerata "mista". E' UNA BALLA!!! datemi retta. Di mista c'è solo l'insalata. Quasi l'intera gamma vocale è da considerarsi mista, nella voce maschile, e oltre metà in quella femminile, perché, coscienti o meno, i due registri percorrono grossomodo la stessa estensione, come ben diceva già il Garcia parecchi decenni fa. Quando si sale, il registro centrale si sente sempre meno appropriato, la tensione dei muscoli vocali diventa eccessiva e quindi diventa sempre più necessario "passare la mano" a quelli esterni che possono svolgere più appropriatamente il lavoro di tensione delle corde. Ecco che quindi in molti soggetti nasce quell'incertezza timbrica che fa dire "misto". Ma si ignora tolalmente che il problema non è meccanico, ma SOLO e UNICAMENTE respiratorio! Allora il "metodo" offerto da Garcia di esercitare re-re#-mi-fa di petto e falsetto, è buono, ma non è conclusivo ai fini educativi, perché la respirazione atta ad eliminare i registri deve riguardare tutta o gran parte dell'estensione dei due registri. Sarà più semplice e corretto sviluppare il falsetto nella note centrali scendendo e sarà più semplice sviluppare il petto nelle note centro acute salendo, mentre si dovrà cercare di evitare per molto tempo di tornare di petto scendendo, perché in genere lo si fa "con singhiozzo", ovvero lasciando andare il suono (indietro). Unica possibilità per questo esercizio è farlo tenendo molto fortemente le labbra, che guidano e "imbrigliano" il suono. Il tutto sempre sotto attentissima ed esperta guida.