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lunedì, settembre 30, 2013

Una furtiva lagrima 2

Ripartiamo con l'analisi delle furtive lagrime su YT. Inizio con un cantante storico, Alessandro Bonci. La prima cosa che verrebbe da dire all'inizio dell'ascolto è: ma è lentissimo!! Bene, ma in base a che? All'abitudine o a criteri oggettivi? Ascoltiamolo e l'impressione di lentezza dopo poco sparirà. Perché? Perché quel tempo a Bonci è congeniale, è relativo ai suoi fiati, all'espressione e alla ricchezza di suono che è in grado di esprimere. E' un'ottima realizzazione. Anton Dermota presenta un'ottima pronuncia, è morbidissimo nell'attacco e in quasi tutta la parte dolce, mentre indurisce un po' troppo nei forti. Tra le migliori presenti, comunque. Giuseppe Filianoti nel 2010 la fa già versare a noi la lagrima, per questo tesoro di voce sprecato; tutto di gola, duro anche nelle presunte mezzevoci. E' invece molto bravo Richard Werrault! Come, e peggio, di Kaufmann, non riesco a superare l' "Una" in una registrazione dal vivo di Villazon (che io rinomino Villanzon). A parte l'ingolamento assurdo, non si possono dire le vocali a caso...!
Salvatore Fisichella è accompagnato da un piano stonato, ha un certo livello di ingolamento, però riconosco che ci mette del buono sul piano espressivo-dinamico, riuscendo a superare o per lo meno a dar l'impressione di superare il limite tecnico. Gigioneggia un po' col tempo, l'acuto è bruttino, però è uno dei pochi a non eseguire due volte il La. C'è una registrazione di Richard Tucker; non era il suo repertorio e direi che non dice nulla di interessante.Di Kraus ce ne sono naturalmente diverse versioni. Ne avevo aperta una degli anni 90 in concerto, che ho chiuso quasi subito, non ritenendola degna del nome di questo grande cantante. Nel 68 le cose stavano diversamente, ma non poi così tanto. Non c'è quel sognante abbandono di altri cantanti della sua statura, la voce non è propriamente sul fiato, si sente un certo lavoro muscolare, una certa durezza di emissione, una non raggiunta libertà. E' bravo ma, almeno me, non entusiasma affatto. Siragusa avrebbe la morbidezza giusta, ma inficia tutto con continue prese dal basso ("cucchiaiamenti") e stucchevoli ricorsi a risonanze nasali. Non c'è scritto l'anno, spero sia migliorato. Notiamo l'onnipresente "ape" in scena, che ormai penso resti sempre dietro le quinte di ogni teatro, visto che ce la si ritrova ovunque!! Anche Luigi Infantino trovo, in questa registrazione, inferiore al livello mostrato in altri momenti. Se volete sentire quale differenza c'è tra tutte queste "normali" esecuzioni, anche quelle buone e discrete, e una grande esecuzione, ascoltate Cesare Valletti nel 49. Non è perfetta, ci sono alcune libertà sul piano musicale e qualche "pizzicotto" su quello vocale discutibili (ma... non so da chi...!), ma siamo su altri mondi! Ne esiste anche una successiva edizione in video che magari inserisco in calce. Sono riuscito ad ascoltare un'intera frase di Sabbatini. Poi basta, però. Stefano Secco un po' di anni fa (caricamento del 2006) non era niente male; direi soprattutto poco curato il fraseggio, è cantato un po' d'istinto; qualche ricorso ai cucchiaiamenti, comunque tra i cantanti dell'ultima generazione questa è tra le migliori (ma il La finale è parecchio indietro e il finale in genere alquanto duro). Però vorrei sentirlo oggi. Meli, al Tiberini d'oro del 2010, denuncia una voce vacillante, durezze sparse, prese dal basso (quelle le ha sempre avute), piattezza espressiva, genericità di accento. Di Pavarotti ci saranno 100 registrazioni. Ne prendo una del 79 alla Scala, un po' a metà carriera, anche se non è stato il suo periodo migliore. Infatti fin dall'inizio la voce risulta dura, sbaglia quasi tutti gli accenti rinforzando quasi tutte le vocali atone. La voce è quella sua, bellissima, per la carità, la capacità di addolcire c'è, ma spesso casuale, con i suoi conseuti crescendo in fine frase. Quanto poi sia coinvolto non è chiaro; aveva comunicativa, però a me non ha mai dato da pensare che si sentisse realmente nella parte. Gli acuti sono leggermente "stretti". Può piacere, ma non la considero una versione da esempio, anche se il pubblico va in delirio. Per simmetria chiudo nuovamente con Di Stefano, però edizione 1944. L'inizio è cantanto come meglio non si potrebbe. Dolcissimo, lieve, sospirato, senza accenti sparsi, senza alcun ricorso a pressioni vocali. E' forse il miglior incipit registrato. Purtroppo finisce lì; già la seconda frase è dura e sguaiata. Subentra una certa gutturalità che si libera sul primo "m'ama", ma torna subito, anche se poi esibisce una filatura da primo premio! L'aria procede con questi alti e bassi di voce sognante e ingolata, dolce e urlacchiata ma con sorprendenti filature "marziane". Genio e sregolatezza!!
Metterò in video una versione con Cesare Valletti. Per capire quanto è grande, sentite come "alita" la A di "una", ma anche le successive di "furtiva" e "lagrima" - correttamente accentata. Poi sentitene altri 10 a caso, a parte Schipa, e vi accorgerete di cosa vuol dire cantar sul fiato!

Poi c'è Salvatore Gioia, un cantante siciliano quasi sconosciuto ma di grandezza rara. Il timbro è quasi identico a quello di Tagliavini ma molto più solido e "naturale", e la vocalità assai scorrevole. Non è una realizzazione grande come l'Arlesiana, però è di livello notevole. E' dal vivo e si notano un paio di calamenti, appeni percettibili, e nell'insieme non è accuratissima, ma ritengo di metterla a disposizione dei lettori per sentire che razza di voci e di talenti c'erano, e che MODO di cantare si perpetuava, altro che Villanzon!

2 commenti:

  1. Che dire..., la versione di Valletti la conoscevo già quella di Gioia è altrettanto piacevole. Chiudi gli occhi, ti senti cullare dolcemente e quasi preghi che non termini mai...
    Senti le altre e ti risvegli in preda ad una tensione, ad una agitazione.
    Sarà questa la differenza?

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    Risposte
    1. certo; anche nei brani drammatici ciò che angoscia non deve stare nel MODO di cantare, ma in ciò che viene cantato, nelle melodie, nelle armonie, nei contrasti, ecc. Quando poi il brano è dolce e malinconico, figuriamoci!

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