Translate

domenica, giugno 28, 2015

Dell'integrità

Individualità e individualismo sono due termini pressoché opposti. L'individualismo è, come penso tutti comprenderanno, sinonimo di egoismo, cioè mettere l'individuo al centro e al di sopra di tutto sempre, indipendentemente dalle competenze, dal livello evolutivo conquistato, dall'impegno e dalla volontà esercitata in uno o più ambiti. Significa voler avere successo, celebrità e popolarità per il solo fatto di esistere, quindi cedere a qualunque tipo di ricatto, di manovra, significa avere il coraggio (!) di voltar la faccia a amici, parenti, situazioni pur di conquistare una posto in vetrina, anche senza prospettive temporali, in un "limbo" fuori sia dal mondo materiale che da quello artistico-spirituale. Essi sono preda puramente dei loro desideri. Peraltro a livello "naturale" non si è nemmeno realmente individui, scossi dai mille pensieri, dalle pulsioni, sogni, ricordi, desideri e idee. C'è del buono e del meno buono dove l'individuo non sa scegliere, non sa individuare percorsi, non sa scremare, selezionare, riconoscere. E' la molteplicità. La via dell'arte è anche la via dell'integrità e della coerenza. Essere integri significa aver "cristallizzato" l'unicità, cioè aver individuato e riconosciuto il percorso puro e semplice. Quando l'individuo è teso a promuovere la propria immagine, cioè la propria esteriorità, è perché non ne ha una interiore. Quest'ultima è ignorata, probabilmente evitata in quanto fonte di timori, di evidenza di qualcosa che potrebbe non piacerci, ma comunque non ne vogliamo o vorremmo assumere consapevolezza. L'interno è (ancora) buio, quindi non ci piace, potrebbe nascondere trappole e lati spiacevoli. La crescita, l'evoluzione, la coscienza, consistono proprio nell'illuminare questo spazio. Non vi è dubbio che in ognuno di noi si nasconde un lato negativo, fatto di tentazioni, di sensi di colpa, di piccoli o meno piccoli fallimenti, di bugie, di incapacità riconosciute, più o meno vere, di gaffe, di mancanze, ecc. ecc. Ogni giorno della vita ai lati piacevoli si affiancano quelli spiacevoli e meno nobili, che possiamo, come dicevo, ignorare (ci sono persone bravissime in questo) possiamo far diventare importanti, e quindi vivere nell'afflizione, nella disistima, nella depressione, oppure riconoscere e rimuovere virtuosamente. Lasciarsi sopraffare dal passato non è diverso dal vivere nel perenne desiderio di ciò che vorremmo fare o vorremmo essere. Irrealtà. La realtà è vivere il presente correttamente, e vivere il presente significa scegliere. E' un'attività che molte volte eviteremmo volentieri, ma è appunto tramite le scelte che evolviamo e cresciamo in consapevolezza. Andare da un insegnante (di canto) spesso non è una scelta, perché non sapremmo scegliere, ci affidiamo perlopiù al caso, ma è comprensibile. Il tempo però ci mette e ci deve mettere in un tragitto entro il quale ciascuno si deve porre domande e a queste domande occorre far seguire scelte. Ci interessa l'individualità o l'individualismo? Essere individui significa far scelte anche dolorose, ma significa anche coerenza e assenza di rimpianti. L'arte è quella dimensione che ci pone tra due dimensioni "monodimensionali", cioè tra la scienza, l'intellettualismo, il raziocinio, e lo spiritualismo ascetico. L'arte ci dà la possibilità di vivere una sorta di tridimensionalità perché in essa ci troviamo a gestire con equilibrio scienza e spiritualità. Laddove prevale l'aspetto scientifico, come sta accadendo ormai nella gran parte della scuole di canto, lo squilibrio diventa patente, viene meno la risorsa umana più importante, che non è l'intellettualismo, cioè il dominio della ragione, ma quella del pensiero profondo, che ci porta a un'evoluzione, a un livello più alto. La mente ci porta forse a un livello comunicativo più forbito e denso, ma anche più caotico e a un uditorio più ristretto, perché verrà a mancare la semplicità. La scienza ci porta informazioni più dettagliate, ma il loro utilizzo deve sempre essere filtrato dalle esperienze e dalle conoscenze insite nella nostra natura umana. Se riusciamo a integrare queste tre dimensioni, noi aspiriamo a unificarle, a cristallizzare, diciamo così, un pensiero univoco, che non cede alle debolezze dell'ego e non scivola nell'interiorità isolata, che in un certo senso può avere conseguenze simili all'esteriorità e al narcisismo, anzi, in alcuni casi può diventare narcisismo, perché vuol mostrarsi come una sorta di primato dell'anti esteriorità. Voler primeggiare è sempre una forma di esteriorità, anche quando fatta con intenzioni opposte. Riporto questa frase, secondo me molto acuta: "Esistono due tipi di persone: quelle estremamente colte ma che in realtà non sanno nulla, possiedono una sorta di sapere ignorante. E quelle che non sono colte, ma che sanno, possiedono una sorta di ignoranza sapiente. Se vuoi veramente conoscere, dovrai lasciar cadere tutto il tuo sapere, dovrai tornare a disimpararlo. Dovrai tornare a essere ignorante, simile a un bambino, con occhi colmi di meraviglia, assolutamente all’erta. In questo caso, non solo conoscerai il tuo essere, ma anche l’essere che esiste nel mondo... l’essere che esiste negli alberi e negli uccelli e negli animali e nelle rocce e nelle stelle. Se riesci a conoscere te stesso, arrivi a conoscere tutto ciò che esiste".

venerdì, giugno 19, 2015

Sveglia!

Sarà capitato anche a voi... di leggere un libro e visualizzare i vari personaggi, renderli vitali nella vostra fantasia, poi magari assistere a un film o a uno sceneggiato basato su quel libro, e rimanerci male perché il regista ha scelto attori del tutto diversi da quelli che vi eravate immaginati. La nostra mente è un po' una radio un po' una tv perennemente in funzione, non si ferma mai. In particolare vuole rendere appropriabile in forma sensibile (cioè nota ai nostri cinque sensi) anche ciò che non lo è direttamente. Un libro è fatto di parole, ma noi vogliamo visualizzare anche ciò che quelle parole esprimono. I concetti non vogliono essere soltanto fatti di parole, termini, ma anche di immagini e suoni. Non per nulla esistono alcuni libri di canto che vorrebbero insegnare il canto "per immagini", o individuare zone anatomiche dove andrebbero focalizzate determinate vocali o anche l'intera emissione vocale. La realtà è l'esatto opposto; occorre spegnere la radio, far cessare quel caos di chiacchiere e immagini che ingombra la nostra mente, e smettere, per quanto si riesce, di legare il canto, o aspetti di esso, all'anatomia e alle sensazioni corporali. L'unico senso da mantenere desto è l'udito, attraverso il quale (grazie anche a una sua lenta evoluzione) si coglieranno le giuste pronunce e le giuste espansioni sonore nell'ambiente. Come ci insegnano diverse discipline, e come sempre diceva anche il m° Sergiu Celibidache, occorre svuotare la mente, ridurla al silenzio. Questo non significa e non deve significare non valutare, non avere spirito critico. Chi studia una qualsiasi disciplina è tenuto a sapere quale obiettivo si prefigge lo studio, e a cosa serve ciascun esercizio. Questa deve essere una premessa, e ogniqualvolta manchi un senso di finalità all'azione che si sta intraprenendo, l'allievo ha il dovere di chiedere. Questa non è contestazione, è una relazione tra la propria necessità di crescita, evoluzione, e quanto si sta facendo, che non deve mai essere fine a sé stesso. Ma dal momento in cui è ben delineato il percorso da intraprendere e la fine è contenuta nell'inizio, cioè abbiamo chiaro "dove stiamo andando", cioè la finalità (appunto), ogni pensiero inquinante deve essere cautamente allontanato, messo a tacere, in modo che ci si possa realmente concentrare sull'esito di ciò che si sta producendo; purtroppo la mente è talmente impegnata a pensare che passa in secondo piano ciò che si sta facendo. Non si colgono più non solo le sfumature ma l'intera emissione; per quanto l'insegnante dica insistendo, anche esemplificando, di pronunciare, niente! si continua a girare attorno, si finge, si accenna e non si entra nel merito. In un certo senso si potrebbe dire che "si dorme", cioè si è assopiti in una dimensione istintiva e non si riesce a cogliere la portata di quanto si può fare e di quanto si fa. Quando finalmente si arriva a dire (intonando) realmente una parola con tutta la sincerità, la verità della sua pronuncia, ci si desta! All'inizio è un risveglio piacevole, ma breve, brevissimo; si dorme più volentieri, anche se quell'attimo di risveglio è stato bello. In ogni modo a suon di brevi risvegli a un certo punto si cominceranno a pronunciare intere frasi, arcate, e infine brani e tutto quanto. Mi sovvengono le parole di una canzonetta fiorentina che mio padre canticchiava spesso quand'era allegro: "Svegliatevi dal sonno o’ briaconi / che giunta l’è per noi la gran cuccagna ..." (scopro intitolarsi: il trescone, che è una danza popolare toscana).

sabato, giugno 13, 2015

I sogni son desideri

Una delle cose più difficili per l'uomo, non solo recentemente, è vivere il presente! Leggevo un'interessante riflessione (termine anche questo su cui tornerò tra poco): il cuore delle persone vive perennemente il presente, infatti deve incessantemente battere, e non può farlo che nel presente; viceversa le persone tendono a vivere sempre di più nella testa, che invece non è mai nel presente, dibattuta tra un passato, a volte rimpianto a volte odiato, e il futuro che si vorrebbe. Il termine "riflessione" è anch'esso un buono spunto per il presente, infatti l'immagine riflessa non fa che metterci di fronte al presente; essa non ci può mostrare il futuro o il passato. Anche la musica, in modo più elaborato, ci porta in questa direzione. La tonalità d'impianto di un brano è il presente, il piano base, dove si vive; la fenomenologia ci spiega con accortezza che gli armonici, nascendo alcuni istanti dopo il suono principale, costituiscono il futuro del tono (attenzione: ne sono la conseguenza, non arrivano "a caso"); il primo tono è l'ottava superiore (dove solitamente viene ripetuto il tema dopo la prima esposizione) mentre la quinta superiore è il secondo, la prima nota diversa da quella fondamentale che costuituirà appunto il futuro più prossimo. Il tono, a questo punto, è sì il futuro ma può essere considerato il futuro (la conseguenza) della quinta inferiore, che può quindi essere considerata il passato. Nel momento in cui si compie la cosiddetta "conferma" della tonalità (cosa che avviene sempre, in tutti i brani composti con i principi della tonalità), noi abbiamo la assoluta necessità (ma guarda un po'...) di toccare armonicamente, anche in modo indiretto, le due quinte: inferiore e superiore, per poter, quindi, stabilire dove siamo, cioè nel presente. Un grande scienziato della musica, Heinrich Schenker, mediante una interessante analisi, ci porta a osservare che un'intera partitura, sfrondata da abbellimenti, ripetizioni, ecc., altro non è che un... primo, quarto e quinto grado, cioè per l'appunto passato (quinta inferiore o quarta ascendente) e futuro (quinta ascendente o quarta inferiore) che inquadrano il presente, tono che quasi sempre si trova all'inizio e pressoché sempre al termine del brano. Ora vedete un po' l'uomo, che ha difficoltà a vivere il presente e non accetta volentieri la natura effimera di un brano musicale che inizia e finisce nello spazio di un breve tempo, cosa fa? inventa la registrazione, il disco, nell'illusione di fermare il tempo, o anche per continuare a rivivere un passato ritenuto migliore, il che può anche essere vero per molti aspetti, ma nondimeno non può essere il nostro presente (da cui forse vuole fuggire). Quindi da un lato un perenne tentativo di far rivivere un passato interiorizzato, già vissuto e più comodo (quindi asseconda la nostra pigrizia) anche perché già noto quindi meno impegnativo perché non devo sforzarmi di impararlo e viverlo, e la fabbrica dei desideri, la mente che ci proietta in un futuro fatto di successi, di guadagni, di celebrità, di facili amori e vita rosea. In questo perenne stato di non gravità, perché non si cade mai sul punto ma si barcolla avanti e indietro tra passato e futuro, il presente diventa sempre più intollerabile, sempre più difficile, lontano dalla memoria e dai desideri. Ma la memoria sono anche momenti negativi, insuccessi, brutte figure, ecc., e questo si può coniugare con il difficile presente nella depressione, nella lamentela e difficoltà di vivere il quotidiano. Quindi il difficile presente è anche il difficile vivere sé stessi. In tutto ciò il ruolo della musica è importante, ma anch'essa deve essere vissuta come è. Quante persone vogliono vederci storie, ambientazioni, rappresentazioni, cose, e non volerla ascoltare semplicemente. D'altra parte la musica non è semplice da "digerire"; se non comprendiamo il suo tracciato, ci sfuggirà, e ci perderemo, e per questo occorre educazione ma occorre anche avere esecutori realmente competenti e liberi dalle stesse pregiudiziali da cui deve liberarsi chi ascolta, cioè ascoltare il presente, eseguire il presente; ascoltare il proprio respiro, il proprio cuore.

sabato, giugno 06, 2015

"Se stasera sono qui..."

... diceva la canzone: "se stasera sono qui..." e aggiungeva: "è perché ti voglio bene". Beh, forse, in senso lato, è una risposta giusta. Domanda che si può porre al pubblico in un auditorium o teatro o piazza o ovunque si stia facendo un concerto: "Come mai siete qui?". Domanda apparentemente facile, oppure terribilmente difficile. Credo che la maggior parte delle persone tentennerebbe assai nella ricerca di una risposta, che sarebbe quanto mai generica, banale, semplicistica. Ma il fatto è che effettivamente difficilmente ce la si pone e si glissa sulla risposta. Ma se ci girassimo e chiedessimo a coloro che stanno suonando: "perché siete qui?", non andremmo comunque tanto avanti. "Perché mi piace la musica", molti direbbero, da una parte e dall'altra; "e perché ti piace la musica?". "E chi lo sa?" penso risponderebbero dopo poco o tanto tempo... Studiare, sottoporsi a esercizi estenuanti, complessi, vedere miglioramenti lenti, accorgersi di quanto gli altri siano più bravi, rendersi conto di quanto lunga sia la strada... Oppure no, decidere che si hanno le qualità per diventare un grande, avere un enorme successo, diventare un numero uno, incidere dischi, andare sui giornali, ricevere premi e attestazioni. ... Da un lato, e dall'altro? Magari diventare amici o forti simpatizzanti di uno di loro; sostenerlo con presenze continue, anche in luoghi sperduti, collezionare foto, filmati, ritagli di giornali, farsi foto insieme... Insomma, due mondi che vengono spiegati per lo più come dinamiche sociali (ricordo di aver dato anche un esame di sociologia su un argomento del genere). Ma... non è solo così. Potremmo definirla un'esigenza, quella che spinge a praticare la musica o anche solo ad assistervi, diventando, in breve, un appassionato "colto", o un giornalista, o critico o musicologo (?). Certo non è un'esigenza esistenziale, non ne abbiamo certo bisogno per vivere e sopravvivere. E cosa dà tanta carica a molti di essi per sostenere con forza, determinazione, fuoco, propri o di un certo ambito punti di vista? Una carica, un'energia che non di rado sfocia nella lite, nel dialogo infuocato e improduttivo, che viene alimentato da quale combustibile? L'energia è sempre il prodotto di un contrasto, di una differenza di potenziale tra due situazioni. Gli attori oggetto di questa differenza di potenziale che dà luogo al contrasto sono sempre loro, l'ego da un lato, quindi gli aspetti materiali, i desideri di possesso, di successo, di fama e celebrità; la conoscenza pura, quindi gli aspetti più profondi della nostra intimità e della nostra specificità umana, dall'altro. Però, anche chi è pervaso dall'ego, sempre da un'esigenza è spinto, e questa spinta non può venire altro che dal profondo del nostro pensiero divino. Quindi sempre di uno spunto positivo e virtuoso si tratta; purtroppo l'ego si frappone e potremmo dire che spinge il soggetto a tradire la propria vocazione artistica, in nome di una spettacolarizzazione superficiale (e della pigrizia). Anche chi ascolta? Sì, anche chi ascolta. Cosa vanno a fare tutte quelle persone a teatro, cantanti, strumentisti, direttori e ascoltatori? Vanno alla ricerca di ... qualcuno... o qualcosa... Da quanto ho scritto negli ultimi post, un barlume di risposta forse qualcuno la può intuire; cercare l'UNO. Però qui è un po' difficile comprendere cosa vuol dire cercare l'uno. In un brano l'uno si trova nelle interazioni tra quanto segue e quanto precede, tra inizio e fine, tra quanto sta sopra e quanto sta sotto, ok. Ma un pubblico disomogeneo, che decide arbitrariamente di andare a sentire un concerto... tutti a cercare l'uno? Di che uno si tratta? Potremmo dire l'uno musicale; la nostra coscienza coglie i nessi e li unifica, o perlomeno cerca di farlo; quanto più ci riesce, quanto più il soggetto trova interessante ciò che ascolta. Quanto meno si colgono i nessi, quanto più ci annoieremo. Molte persone considerano noiosa la musica antica, oppure la classica, oppure altri generi, e ne fanno una questione culturale. E' vero ma relativamente. La coscienza è uguale in tutti, ma non è libera in tutti allo stesso modo, come ho già scritto in precedenza e accennato più sopra. Cogliere i nessi richiede un impegno, una concentrazione non alla portata di tutti, specie se non sanno cosa riconoscere. La coscienza cerca ma non sapendo l'ambito, impegna straordinariamente i nostri sensi per sintetizzare il più possibile alla ricerca dei dati da unificare; dopo un po' la "centrale" va in corto circuito, non riesce più a seguire, la musica ci sembrerà un disco rotto, una sfilza interminabile e noiosissima di suoni senza senso, senza direzione. Ma questo capita anche a chi ascolta abitualmente determinata musica e determinati brani. L'abitudine non è quella che ci aiuta, ma, al contrario, è quella che, mediante la memoria, ci allontana dall'uno, perché cogliamo solo gli aspetti formali e ripetitivi. L'ascoltatore e l'esecutore virtuoso non è colui che conosce un brano "a memoria", ovvero anche tutte le note, ma colui che ogni volta si svuota totalmente, abbandona la memoria e segue il brano come lo sentisse per la prima volta e si lasciasse conquistare da esso, riconoscendo e valorizzando le articolazioni che aggiungono o tolgono tensione al fine di seguire il tracciato che è presente potenzialmente nell'inizio e porta alla conquista di tutto quanto è presente successivamente, fino alla fine. Il nostro ego o anche solo le nostre esigenze quotidiane allontanano la nostra coscienza dalle esigenze spirituali, sicuramente meno primarie rispetto alla vita, anche se questo è un discorso relativo e soggettivo. Ma, e qui arriviamo al nodo essenziale di tutta la trattazione, trovare quest'uno sembra una attività fine a sé stessa, di nessuna importanza reale, quasi un dogma fumoso. Ma così non è; chi cerca la musica, cerca effettivamente qualcuno, e questo qualcuno... sei tu! Conosci te stesso; e per unire il principio con la fine, come fenomenologia ci insegna: "se stasera sono qui, (a sentire o a partecipare, a suonare a quest'opera, questo concerto, questa performance) è perché ti voglio bene". Non a "te" singolo, ma a te uomo (anche "a me"), e cosa si cerca non è cosa contraddistingue te, pinco pallino, e cosa ti caratterizza e rende diverso dagli altri, ma cosa c'è che ti unisce al tutto; la musica è un meraviglioso canale di comunicazione e unione, ma se lo si vuol sfruttare a pieno, la prima cosa da sapere, ed è la prima che invece si evita, è questa.