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venerdì, giugno 19, 2015

Sveglia!

Sarà capitato anche a voi... di leggere un libro e visualizzare i vari personaggi, renderli vitali nella vostra fantasia, poi magari assistere a un film o a uno sceneggiato basato su quel libro, e rimanerci male perché il regista ha scelto attori del tutto diversi da quelli che vi eravate immaginati. La nostra mente è un po' una radio un po' una tv perennemente in funzione, non si ferma mai. In particolare vuole rendere appropriabile in forma sensibile (cioè nota ai nostri cinque sensi) anche ciò che non lo è direttamente. Un libro è fatto di parole, ma noi vogliamo visualizzare anche ciò che quelle parole esprimono. I concetti non vogliono essere soltanto fatti di parole, termini, ma anche di immagini e suoni. Non per nulla esistono alcuni libri di canto che vorrebbero insegnare il canto "per immagini", o individuare zone anatomiche dove andrebbero focalizzate determinate vocali o anche l'intera emissione vocale. La realtà è l'esatto opposto; occorre spegnere la radio, far cessare quel caos di chiacchiere e immagini che ingombra la nostra mente, e smettere, per quanto si riesce, di legare il canto, o aspetti di esso, all'anatomia e alle sensazioni corporali. L'unico senso da mantenere desto è l'udito, attraverso il quale (grazie anche a una sua lenta evoluzione) si coglieranno le giuste pronunce e le giuste espansioni sonore nell'ambiente. Come ci insegnano diverse discipline, e come sempre diceva anche il m° Sergiu Celibidache, occorre svuotare la mente, ridurla al silenzio. Questo non significa e non deve significare non valutare, non avere spirito critico. Chi studia una qualsiasi disciplina è tenuto a sapere quale obiettivo si prefigge lo studio, e a cosa serve ciascun esercizio. Questa deve essere una premessa, e ogniqualvolta manchi un senso di finalità all'azione che si sta intraprenendo, l'allievo ha il dovere di chiedere. Questa non è contestazione, è una relazione tra la propria necessità di crescita, evoluzione, e quanto si sta facendo, che non deve mai essere fine a sé stesso. Ma dal momento in cui è ben delineato il percorso da intraprendere e la fine è contenuta nell'inizio, cioè abbiamo chiaro "dove stiamo andando", cioè la finalità (appunto), ogni pensiero inquinante deve essere cautamente allontanato, messo a tacere, in modo che ci si possa realmente concentrare sull'esito di ciò che si sta producendo; purtroppo la mente è talmente impegnata a pensare che passa in secondo piano ciò che si sta facendo. Non si colgono più non solo le sfumature ma l'intera emissione; per quanto l'insegnante dica insistendo, anche esemplificando, di pronunciare, niente! si continua a girare attorno, si finge, si accenna e non si entra nel merito. In un certo senso si potrebbe dire che "si dorme", cioè si è assopiti in una dimensione istintiva e non si riesce a cogliere la portata di quanto si può fare e di quanto si fa. Quando finalmente si arriva a dire (intonando) realmente una parola con tutta la sincerità, la verità della sua pronuncia, ci si desta! All'inizio è un risveglio piacevole, ma breve, brevissimo; si dorme più volentieri, anche se quell'attimo di risveglio è stato bello. In ogni modo a suon di brevi risvegli a un certo punto si cominceranno a pronunciare intere frasi, arcate, e infine brani e tutto quanto. Mi sovvengono le parole di una canzonetta fiorentina che mio padre canticchiava spesso quand'era allegro: "Svegliatevi dal sonno o’ briaconi / che giunta l’è per noi la gran cuccagna ..." (scopro intitolarsi: il trescone, che è una danza popolare toscana).

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