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sabato, giugno 06, 2015

"Se stasera sono qui..."

... diceva la canzone: "se stasera sono qui..." e aggiungeva: "è perché ti voglio bene". Beh, forse, in senso lato, è una risposta giusta. Domanda che si può porre al pubblico in un auditorium o teatro o piazza o ovunque si stia facendo un concerto: "Come mai siete qui?". Domanda apparentemente facile, oppure terribilmente difficile. Credo che la maggior parte delle persone tentennerebbe assai nella ricerca di una risposta, che sarebbe quanto mai generica, banale, semplicistica. Ma il fatto è che effettivamente difficilmente ce la si pone e si glissa sulla risposta. Ma se ci girassimo e chiedessimo a coloro che stanno suonando: "perché siete qui?", non andremmo comunque tanto avanti. "Perché mi piace la musica", molti direbbero, da una parte e dall'altra; "e perché ti piace la musica?". "E chi lo sa?" penso risponderebbero dopo poco o tanto tempo... Studiare, sottoporsi a esercizi estenuanti, complessi, vedere miglioramenti lenti, accorgersi di quanto gli altri siano più bravi, rendersi conto di quanto lunga sia la strada... Oppure no, decidere che si hanno le qualità per diventare un grande, avere un enorme successo, diventare un numero uno, incidere dischi, andare sui giornali, ricevere premi e attestazioni. ... Da un lato, e dall'altro? Magari diventare amici o forti simpatizzanti di uno di loro; sostenerlo con presenze continue, anche in luoghi sperduti, collezionare foto, filmati, ritagli di giornali, farsi foto insieme... Insomma, due mondi che vengono spiegati per lo più come dinamiche sociali (ricordo di aver dato anche un esame di sociologia su un argomento del genere). Ma... non è solo così. Potremmo definirla un'esigenza, quella che spinge a praticare la musica o anche solo ad assistervi, diventando, in breve, un appassionato "colto", o un giornalista, o critico o musicologo (?). Certo non è un'esigenza esistenziale, non ne abbiamo certo bisogno per vivere e sopravvivere. E cosa dà tanta carica a molti di essi per sostenere con forza, determinazione, fuoco, propri o di un certo ambito punti di vista? Una carica, un'energia che non di rado sfocia nella lite, nel dialogo infuocato e improduttivo, che viene alimentato da quale combustibile? L'energia è sempre il prodotto di un contrasto, di una differenza di potenziale tra due situazioni. Gli attori oggetto di questa differenza di potenziale che dà luogo al contrasto sono sempre loro, l'ego da un lato, quindi gli aspetti materiali, i desideri di possesso, di successo, di fama e celebrità; la conoscenza pura, quindi gli aspetti più profondi della nostra intimità e della nostra specificità umana, dall'altro. Però, anche chi è pervaso dall'ego, sempre da un'esigenza è spinto, e questa spinta non può venire altro che dal profondo del nostro pensiero divino. Quindi sempre di uno spunto positivo e virtuoso si tratta; purtroppo l'ego si frappone e potremmo dire che spinge il soggetto a tradire la propria vocazione artistica, in nome di una spettacolarizzazione superficiale (e della pigrizia). Anche chi ascolta? Sì, anche chi ascolta. Cosa vanno a fare tutte quelle persone a teatro, cantanti, strumentisti, direttori e ascoltatori? Vanno alla ricerca di ... qualcuno... o qualcosa... Da quanto ho scritto negli ultimi post, un barlume di risposta forse qualcuno la può intuire; cercare l'UNO. Però qui è un po' difficile comprendere cosa vuol dire cercare l'uno. In un brano l'uno si trova nelle interazioni tra quanto segue e quanto precede, tra inizio e fine, tra quanto sta sopra e quanto sta sotto, ok. Ma un pubblico disomogeneo, che decide arbitrariamente di andare a sentire un concerto... tutti a cercare l'uno? Di che uno si tratta? Potremmo dire l'uno musicale; la nostra coscienza coglie i nessi e li unifica, o perlomeno cerca di farlo; quanto più ci riesce, quanto più il soggetto trova interessante ciò che ascolta. Quanto meno si colgono i nessi, quanto più ci annoieremo. Molte persone considerano noiosa la musica antica, oppure la classica, oppure altri generi, e ne fanno una questione culturale. E' vero ma relativamente. La coscienza è uguale in tutti, ma non è libera in tutti allo stesso modo, come ho già scritto in precedenza e accennato più sopra. Cogliere i nessi richiede un impegno, una concentrazione non alla portata di tutti, specie se non sanno cosa riconoscere. La coscienza cerca ma non sapendo l'ambito, impegna straordinariamente i nostri sensi per sintetizzare il più possibile alla ricerca dei dati da unificare; dopo un po' la "centrale" va in corto circuito, non riesce più a seguire, la musica ci sembrerà un disco rotto, una sfilza interminabile e noiosissima di suoni senza senso, senza direzione. Ma questo capita anche a chi ascolta abitualmente determinata musica e determinati brani. L'abitudine non è quella che ci aiuta, ma, al contrario, è quella che, mediante la memoria, ci allontana dall'uno, perché cogliamo solo gli aspetti formali e ripetitivi. L'ascoltatore e l'esecutore virtuoso non è colui che conosce un brano "a memoria", ovvero anche tutte le note, ma colui che ogni volta si svuota totalmente, abbandona la memoria e segue il brano come lo sentisse per la prima volta e si lasciasse conquistare da esso, riconoscendo e valorizzando le articolazioni che aggiungono o tolgono tensione al fine di seguire il tracciato che è presente potenzialmente nell'inizio e porta alla conquista di tutto quanto è presente successivamente, fino alla fine. Il nostro ego o anche solo le nostre esigenze quotidiane allontanano la nostra coscienza dalle esigenze spirituali, sicuramente meno primarie rispetto alla vita, anche se questo è un discorso relativo e soggettivo. Ma, e qui arriviamo al nodo essenziale di tutta la trattazione, trovare quest'uno sembra una attività fine a sé stessa, di nessuna importanza reale, quasi un dogma fumoso. Ma così non è; chi cerca la musica, cerca effettivamente qualcuno, e questo qualcuno... sei tu! Conosci te stesso; e per unire il principio con la fine, come fenomenologia ci insegna: "se stasera sono qui, (a sentire o a partecipare, a suonare a quest'opera, questo concerto, questa performance) è perché ti voglio bene". Non a "te" singolo, ma a te uomo (anche "a me"), e cosa si cerca non è cosa contraddistingue te, pinco pallino, e cosa ti caratterizza e rende diverso dagli altri, ma cosa c'è che ti unisce al tutto; la musica è un meraviglioso canale di comunicazione e unione, ma se lo si vuol sfruttare a pieno, la prima cosa da sapere, ed è la prima che invece si evita, è questa.

10 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  2. Grazie per la tua sagezza in questo tuo blog. É un lavoro molto ammirevole !
    A risentirci!

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  3. Ciao Fabio !
    É vero, questa domanda, "per ché canti e per ché suoni" ,sembrano di essere semplici ma non lo sono infatti. A volte mi viene in mente per ché Io cerco di impararare a cantare da tanti anni fa e per ché non ho fatto altre cose inoltre perseguire questo sonno. Ricordo da qualche anni voleva smettere di farlo. e infatti ho smesso per qualche mesi, ma sempre mi e venuta una irrequietezza dentro di me che mi é portato ad eseguire e continuare questo meraviglioso arte del canto. Alla fine di questo tuo ultimo post ci dici "cantiammo perche cherchiamo noi stessi. questa é la veritá, non puo essere nientaltro. questa veritá la si sente quando ci colleghiamo a quel allone di aria di fronte a noi e che ci dá la sensazione di quasi poter guardare il suono propio di fronte a noi . Si entra in una sorte di meditazione. Ecco per ché non smettiamo di cantare. In questa sorta di meditazione ci incontriammo noi stessi e ci fa sentirci euforici e uniti a tutto e a tutti intorno a noi.

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    1. Grazie, Luis, hai detto cose molto vere: "guardare il suono di fronte a noi", lo ripeto in continuazione. E' riconoscersi! Bravo. A presto.

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  4. Salvo9:33 AM

    Agli esordi delle mie piccole esibizioni canore, mia moglie, come ben sai Fabio ho iniziato ahimè tardi il percorso di studi ma forse l'ho fatto e lo sto facendo con molta più passione e dedizione, dicevo che mia moglie non riusciva a capacitarsi come io mi impegnassi tanto e con tanta "ossessione" a quest'arte. Spesso mi diceva pensando di rincuorarmi, per amore, "sei stato bravissimo, hai sentito la gente come applaudiva", ma io sapevo dentro di me che avevo "tentato" di cantare, la mia voce che "naturalmente" nasce importante, sapevo che ancora di più doveva essere instradata, tenuta a bada, così era solo voce e comunque la gente applaudiva per il "peso" della voce.... ma non trasmettevo nulla soprattutto a me stesso. Per quanto tentassi mi risultava molto difficile spiegare a mia moglie in particolare ed anche a qualche amico, il motivo per cui cantassi. Sì la passione, sì all'inizio anche un pò di narcisismo, ma poi tutto diventava complesso da spiegare, e chi mi voleva bene si rendeva conto di non cogliere bene le vere motivazioni della mia scelta. Spesso mia moglie mi "riprendeva" sul fatto che per cantare davo meno attenzione alla famiglia, alle cose da fare in casa, insomma secondo lei mi ero lasciato andare per qualcosa che alla fine non era così importante, così necessaria. Lavorando con lo specchio, poi, ancora di più mi guardavo, lì solo nelal stanza a ripetere ossessivamente parole, cercando di pronunciarle perfettamente e a volte un pò sconsoalto, perchè i risulatti non venivano ancora, mi dicevo che forse aveva ragione mia moglie, i miei amici... che diavolo stavo a fa'? Che perdita di tempo, di energie....
    Le risposte sono venute, appunto, col tempo.... con il lavoro, la ricerca, l'introspezione, la "rivelazione" dei suoni, delle parole, del Canto.
    Ero preso da tanta superficialità, dalla rincorsa di cose effimere, un pò con gli occhi foderati, avevo anche tanta boria... Un percorso duro, sanguigno, in cui mi sono calato davvero sapendo che avrei preso anche botte..., e mano a mano mi sono reso conto che dovevo iniziare a denudarmi, a sgrassarmi, se volevo davvero capire chi ero. Insomma dentro di me cresceva la curiosità, la voglia, l'esigenza di crescere e conoscermi e lo dovevo fare con tutta l'umiltà possibile se volevo raggiungere un risultato concreto!
    Un'esigenza vitale, insomma,.... conoscermi !
    Ma poi mi sono anche detto che gli altri vivono bene anche senza questa esigenza... ed allora in fondo mi sono sentito anche un "privilegiato"nel mio piccolo... e non è che mi faccia piacere.

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    1. E' quella vita in bilico tra quella fisica, che include il fare cose pratiche attinenti la vita quotidiana: andare a fare la spesa, pulire, andare al lavoro, portare i figli a scuola, in palestra, andare al bar, parlare di calcio o di altri sport o di salute, litigare con altri automobilisti, parlare di tasse e pagarle, ecc., e quella che sembra inutile e astratta, dove magari non solo non guadagni niente ma spendi pure. Finché studi per una finalità lucrativa, la gente tanto quanto può ancora approvarti, ma quando si accorge che lo fai solo per passione, e quindi per una esigenza interiore, non ti capisce e non ti approva più, anche se magari ha sempre belle parole: oh, ma che bravo, come sei filantropico! Ma se ne andrà dicendo: "mah!" Potremo prendere la cittadinanza nel mondo dei matti!

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  5. Salvo3:10 PM

    Caro Maestro, vorrei tornare nuovamente e brevemente sul problema dei vocalizzi che tu hai già trattato in qualche post precedente.
    Ho assistito personalmente ad alcune lezione di allievi di un'affermata maestra di canto. Questo "tenore" già da 3/4 anni con questa maestra, ha iniziato con i soliti vocalizzi (scale, arpeggi, ecc). Una voce assurda, spinte sovraumane. Voce rauca al punto che ho pensato sinceramente avesse problemi alle corde... e ci credo! La maestra dopo i vocalizzi mi ha detto letteralmente: "bella voce però eh!". Vabbè, le solite cose... rifletetvo però sul fatto che il ragazzo oltre a spingere forsennatamente, aveva un parlato orrendo a dir poco. Tutto nasale a parte che rauco.
    Rifletetvo ancora una volta sul fatto che bisogna partire dal parlato. NOn dico che eviterei tutti i vocalizzi, ma sono sicuro almeno per la mia esperienza, che i vocalizzi se fatti male sono fuorvianti e nocivi e non parlo solo per quelli alle prime armi..... Io ad esempio, ceh già canto da un pò, "sintonizzo" sul aprlato e mi basta pochissimo per mettere a fuoco al voce. Credimi, non sono presuntuoso, ma penso che sia facile dopotutto metetre a fuoco la propria voce se si parte da concetti semplici: La voce deve essere piccola e viaggiare sulla linea di galleggiamento dell'arcata superiore dei denti quelli davanti; le labbra devono essere morbide ed assecondare il fiato e al parola concepita giusta mentalmente.... cioè, secondo me, la parola esce giusta perchè è corretta già mentalmente. Gli scalini vanno "livellati" concependo ed educando un fiato unico. E questo spesso non accade se all'inizio della lezione o dell'esibizione ti alleni cercando di vocalizzare per superare i gradini... questo è l'errore, secondo me, tipico di quando si canta senza cognizione. Il gradino non esiste se tu consideri il tutto come una passerella, come uno scivolo. Il fiato se "puntato" bene già nel parlato con la giusta dose ed entità energetica, trova automaticamente la strada facile che deve servire ada un acnto nobile, "portato". La spinta nasce dalla paura e dalla volontà di voler superare l'ostacolo sbattendoci senza scendere a patti con l'istinto! E' bellissimo invece sentire la propria voce, piccola, che s'amplifica, che raggiunge note anche rilevanti, ma in tutta dolcezza, senza sentire le frenate o le sgommate!!! Allora, si può anche vocalizzare ma dopo aver compreso che con un suono piccolo e un parlato perfetto si sintonizza il canto vero.
    Scusami, mi sarò un pò ripetuto, ma quando sento e vedo fare certe cose, un pò di rabbia mi sale... ;-) Grazie Fabio.

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    1. Caro Salvo; cominciamo col dire che un 95%, a essere ottimisti, di insegnanti di canto considera il parlato come il fumo negli occhi o, nel migliore dei casi, come qualcosa di inutile! Non hanno la più pallida idea di cosa farsene del parlato, perché non dà subito quel senso di "gonfiore", di potenza, di tracotanza sonora, mentre col vocalizzo puoi subito schiacciare, allargare, spingere e far finta di avere un vocione. Che questo conduca a situazioni di pericolo per lo strumento vocale, a situazioni di fallimento sul piano dell'emissione o quanto meno a situazioni di scoordinamento complessivo, per loro è secondario. L'importante è quell'effimero momento in cui la voce sembra "lirica". Per il resto non posso non essere d'accordo con te.

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  6. Salvo2:18 PM

    Grazie Maestro.
    Vorrei adesso, se possibile, che esprimessi il tuo parere su una mia riflessione.
    Ho sentito qualche sera fa, in un teatro periferico, un tenore che si stava cimentando in un concerto operistico. Bene, lungi da me fare l'omofobo, razzista, ecc. al contrario mi si riconosce una tolleranza ed umanità a volte anche eccessiva ma fa parte del mio carattere, questo tenore dicevo, marcatamente omosessuale, cantava pezzi di una certa interpretazione virile, verdiani in particolare, con movenze e soprattutto un enfasi che riproduceva nel canto, abbastanza imbarazzante per quelli che l'ascoltavano.
    Quindi, fermo restando che anche in campo operistico ci sono tanti interpreti più o meno dichiaratamente gay, ma che riescono a cantare con timbro e piglio "maschile", ci sono autori invece la cui voce, purtroppo, ed è il problema interessante, subisce delle inflessioni tali che insomma inficiano il canto stesso.... suoni spoggiati in particolare.
    Non è curiosità pruriginosa la mia, al contrario vorrei cercare di capire.....

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    1. Eh, Salvo, il tema è delicato più che altro perché affrontandolo alcune persone si sentono automaticamente discriminate e altre si sentono in diritto di intervenire in modo pesante. Mi è già accaduto in più d'una occasione sul forum di Edumus. Comunque le questioni riguardano due aspetti: la vocalità e quello posturale e scenico. Sulla prima questione non penso si possano dare valutazioni fondate di natura strutturale; credo molto dipenda dalle condizioni psicologiche del soggetto, dal tipo di canto che segue e che vorrebbe riprodurre. Sull'altro tema invece ritengo sia una questione di apprendimento, cioè in scena (pur anche in concerto) è necessaria una postura equilibrata, semplice, "nobile", non inficiata da alcun tipo di sovrastruttura inopportuna, che renda distraente la visione e l'ascolto.

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